Armi di distrazione, da nascondere al mondo. Prima impedendo di godere della bellezza dei loro volti, più recentemente anche della grazia della voce di ognuna di loro. Che le donne, in molti paesi del mondo non abbiano diritti, è risaputo. Ce lo dicono le tante storie che arrivano da Afghanistan, Siria, Yemen, Arabia Saudita, Pakistan e vari paesi dell’Africa Sub-Sahariana, ma non solo.
In Afghanistan, per esempio, dopo la presa del potere da parte dei Talebani, i divieti che impediscono soprattutto alle donne di sentirsi libere sono stati codificati in un’unica legge, praticamente la prima dichiarazione formale delle leggi sul “vizio e la virtù” che pretenderebbe di regolare la moralità dei cittadini.
Per le donne in particolare, inoltre, la voce viene considerata privata, quindi non può essere ascoltata in pubblico mentre canta, recita o legge ad alta voce, per evitare di attirare o essere causa di tentazione. Non tutte le voci, però, riescono a tacere, a silenziarsi e, come un’eco, partono dal profondo dell’anima e volano alte, lontane, sino a quando qualcuno le percepisce, cogliendo il loro profondo dolore.
Arriva, infatti, con tutta la potenza che può in quanto giovane, ma anche perchè il suo è un bagaglio pesante, nel quale c’è l’abbandono della propria terra per potere rivendicare la libertà di essere donna, ma anche artista, la voce di Elena Yaqubee, 24 anni afgana, oggi residente in Germania. La sua è una storia che parte dai luoghi più nascosti dell’anima e arriva come il vento quando giunge come una carezza, ma poi, senza che te ne sia accorto, ti ha già avvolto e travolto, portandoti via con sè. La storia di Elena si lega a Palermo dove, nel 2024, è protagonista del progetto “34 Afghan Windows“, performance in cui le arti diventano veicolo di pace, giustizia e solidarietà. Elena canta il suo dolore per la guerra, le ingiustizia e l’oppressione nel suo paese, dal quale è fuggita per fare approdo in Iran, poi Turchia, Grecia e, finalmente Germania, dove ha recentemente ottenuto l’asilo politico.
A Palermo Elena tornerà domenica 11 maggio al Teatro Politeama, tra le protagoniste dell’evento di beneficenza di “My Voice for You – Eco di cuori liberi“, che le donerà una borsa di studio per consentirle di continuare a studiare musica. Un progetto corale che nasce dal cuore per dare voce a chi non può più cantare.

“Contro il silenzio imposto alle donne afgane – si legge nel manifesto che sottolinea il progetto voluto e promosso da quattro energiche donne del mondo musicale e sociale come Monica Faja, Rossella Bonomo, Lydia Giannitrapani e Rosellina Segreto – la musica diventa resistenza, solidarietà, speranza. Un inno corale a chi non può più parlare, un abbraccio sonoro per restituire dignità e ascolto, la negazione dei diritti in un canto di libertà”.
Che ricordi ha di quel tragico 15 agosto del 2021, quando i talebani presero il controllo di Kabul?
Un incubo. Basta guardare i video di quei giorni, non riesco più a vederne uno. Eravamo tutti all’areoporto in cerca di un posto sugli aerei. Decine e decine di famiglie, padri, madri, figli, nipoti. Siamo arrivati lì, senza sapere dove saremo andati a finire. Pensate quanto possa essere incredibile salire su un aereo e non sapere dove ti porterà. Oggi la mia famiglia vive in Europa, ma non è stato facile.
L’Iran la prima di tante tappe che la portano alla scoperta del proprio talento
In Iran mi sono trasferita prima con tutta la famiglia, poi sono rimasta con mio fratello. Non è stato facile perchè parliamo di un Paese in cui gli afgani vengono molto discriminati. Lavoravamo tutti in un’industria tessile e ogni giorno erano continue umiliazioni. Noi, lo posso dire, siamo stati fortunati perchè i miei genitori trovarono una fondazione gestita da una donna che aiutava i rifugiati insegnando loro la lingua inglese, proponendo corsi sulla consapevolezza, il teatro, l’arte. Fu proprio lì che ho cominciato a coltivare la mia passione, la musica, abbandonando quella tristezza che mi stava dando essere un’operaia tessile. Ho anche avuto modo di prendere lezioni di chitarra e di voce, in altre parole di assaporare la bellezza dell’arte. Sino a quel momento credevo di non potere avere più diritto a sognare. Purtroppo l’organizzazione venne chiusa dal governo iraniano perché accusata di non essere in linea con le norme del Paese che, anche qui, non è per la libertà della persona.

Fuggire dall’Afganistan per un regime che delle libertà fa carta straccia, per approdare in un altro Paese altrettanto repressivo
Le persone ne sono consapevoli, ma paradossalnente la qualità di vita è molto migliore in Iran perché all’epoca c’era più lavoro, più cibo rispetto al mio Paese di origine. Le donne hanno più scelta, più libertà in Iran rispetto all’Afghanistan dove oggi, lo sappiamo, la situazione è precipitata. Per più di 50 anni sono stati milioni i rifugiati afgani in Iran. E sempre discriminati siamo stati. Lo ricordo molto bene, quando prendevo la metro, erano uno scontro continuo. Fortunatamente oggi la mia famiglia vive, come me, altrove. chi in Australia, chi in America, in Canada, in Danimarcaa, pure in Sudafrica, e siamo felici di avere resistitio.
Resistenza che, per le donne, è stata più dura anche perchè, quando si impedisce di parlare o di cantare, si impedisce di esistere
Assolutamente. Purtroppo, nonostante tutti questi anni di oppressione da parte dei talibani, oggi esercitati in maniera ancora più estrema, non si è riusciti a sviluppare un movimento di donne. Donne come me, che si sono riprese la propria libertà, sono pochissime. Quando mi è stato proposto di fare parte del progetto ““My Voice for You” mi sono sentita emozionata, onorata, stupita che qualcuno si interessasse a quello che vivono le donne afgane. Sento che il mondo si interessa a noi e non lo avrei mai creduto possibile.
Quanto oggi si sente veramente libera e quanto una donna che ha dovuto strappare dal proprio cuore le sue radici?
In Europa ho ricominciato a vivere consapevole di potere realizzare i miei sogni, ma anche di riflettere quelli delle altre donne afgane, che sono oppresse nel mondo. Ho, però, lavorato molto nella mia vita per arrivare a questo punto, anche perché la Germania era la mia ultima destinazione. Volevo venire proprio qui a studiare, a migliorarmi e diventare più forte nella vita. Oggi ho una casa sicura, ho il cibo che mi serve, ma sento di avere perso il mio potere interiore. Percepisco di dovere rallentare e prendermi cura di me stessa. A volte i traumi fanno tanta strada senza che te ne accorga, poi ti fermano, ma sono certa che tornerò più forte di prima.
Che tipo di donna si sente di essere oggi?
Sicuramente una messaggera di libertà, decisa a combattere le ingiustizie nei confronti delle donne. E voglio farlo attraverso l’arte, la musica, affinchè parlino per tutte noi.
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