Lavoro sociale

Piemonte banco di prova per un welfare sostenibile

Aumentano i costi, in un contesto di bisogni crescenti. Il mondo della cooperazione sociale piemontese (ma non solo) si interroga sulla tenuta del sistema e sulla valorizzazione delle professioni di cura. Per Barbara Daniele, responsabile di Legacoopsociali Piemonte e vicepresidente di Legacoopsociali nazionale, «si deve lavorare per una soluzione strutturale e identificare le buone prassi per attivare soluzioni costruttive»

di Daria Capitani

I costi che aumentano e il bisogno che cresce, servizi sempre più essenziali che rischiano di diventare insostenibili. È il tema che ha tenuto banco in Piemonte (e non solo) negli ultimi mesi. A Torino e alla regione in generale si guarda oggi con attenzione: banco di prova per attivare nuove strategie nella gestione del welfare. Non è un caso che Legacoopsociali abbia scelto Biella per la tappa di maggio, la prima, di #Controvento, gli Stati Generali della cooperazione sociale (ne abbiamo scritto qui) che fino a dicembre attraverseranno l’Italia. Al centro, il lavoro sociale, tra peculiarità e criticità, rilancio e sperimentazione.

«Abbiamo deciso di porre un’attenzione particolare al lavoro sociale e alla sua valorizzazione», spiega Barbara Daniele, responsabile di Legacoopsociali Piemonte e vicepresidente di Legacoopsociali nazionale, «tenendo conto anche dello snodo che stiamo vivendo in questo territorio. Il rinnovo del contratto collettivo nazionale dei lavoratori delle cooperative sociali (con l’aumento del costo del personale di circa il 15% da raggiungere entro il 2026, nda) è il simbolo di una situazione che investe il costo del personale ma non solo. Proprio nelle giornate di Biella abbiamo riflettuto con diversi esperti su una retribuzione che non è all’altezza del carico di responsabilità, un fenomeno che non riguarda soltanto l’Italia bensì tutta l’Europa».

Barbara Daniele, responsabile di Legacoopsociali e vicepresidente di Legacoopsociali nazionale, durante il suo intervento a Biella agli Stati Generali della cooperazione sociale.

Accanto alle fragilità

Perché il lavoro di cura non viene riconosciuto? «Credo che la causa principale sia da attribuire a una scarsa consapevolezza da parte della società del tipo di professionalità richiesta in occupazioni che hanno a che fare con l’assistenza, l’accompagnamento, la presa in carico della persona», spiega: «ci vogliono studio ed esperienza, capacità di relazione e di gestione dello stress. Stiamo parlando di lavori che possono portare al burnout sia per gli orari e i ritmi sostenuti sia per la vicinanza con la fragilità, una prossimità che sottopone a una pressione di tipo emotivo piuttosto importante».

Mettere in luce il patrimonio di competenze che è nel dna del lavoro sociale, secondo Daniele non basta. «Il rischio è perdere di vista l’identità valoriale associata ai mestieri di cura, soprattutto quando vengono svolti all’interno di una cooperativa. In questo caso, va sottolineato il perseguimento di un interesse generale che è proprio della cooperazione sociale. È importante affermare la professionalità per evitare di cadere nell’equivoco che si tratti di una questione di buona volontà, ma anche riconoscere la peculiarità di un mestiere che ha una forte connotazione di senso: è un equilibrio sottile da preservare. Ne va della capacità che abbiamo oggi di trattenere e valorizzare i talenti in una stagione di inverno demografico e alto tasso di turnover».

Co-progettazione e alleanze strategiche

Come si affronta una simile complessità? «La strada che abbiamo intrapreso agli Stati Generali di Biella è stata quella di identificare le buone prassi, le esperienze di co-progettazione e innovazione sociale e culturale che hanno un impatto sui territori. È un messaggio di positività che può essere contagioso: restituisce alle comunità, ai fruitori dei servizi, alle cooperative che li erogano e agli stessi lavoratori», continua Daniele. «Di fronte alle criticità, cercare percorsi virtuosi e creare alleanze con il pubblico e con il privato porta un valore aggiunto alla collettività».

Una soluzione strutturale per il Piemonte

È notizia di una decina di giorni fa una svolta sui fondi per il welfare piemontese: il presidente della Regione Alberto Cirio ha individuato 18 milioni di euro sul Fondo sociale europeo per le strutture che ospitano pazienti convenzionati con il servizio sanitario regionale. «Si tratta di un primo passo verso una maggiore sostenibilità del sistema», spiegano da Legacoopsociali Piemonte, «ora si deve lavorare per una soluzione strutturale e nel frattempo attivare strade propositive e costruttive. La cooperazione sociale deve puntare a una maggior solidità, che va ricercata in tutte le buone esperienze che già esistono».

Un momento della tappa piemontese degli Stati Generali della cooperazione sociale promossi da Legacoopsociali.

In Piemonte verrà istituito un Osservatorio permanente guidato direttamente da Cirio che avrà il compito di trovare ulteriori risorse finanziarie. «L’approccio di Legacoopsociali in questo tavolo di lavoro è sicuramente collaborativo perché crediamo che il dialogo, dopo il silenzio dei mesi scorsi, sia il primo strumento per attivare soluzioni. Il nostro obiettivo è quello di aprire anche i tavoli tecnici di revisione normativa su anziani, disabilità e a seguire anche su tutte le fragilità, non ultimo sui profili sanitari e sulla formazione. Dagli anni ‘90 a oggi, al di là delle tariffe, sono cambiate tante cose: sono cambiati i bisogni delle persone, i modelli di gestione delle imprese e i modelli operativi di erogazione dei servizi. Per questo siamo disponibili e propositivi a entrare nella discussione per cercare modelli più coerenti con il contesto attuale, che possano contribuire a razionalizzare e a rendere più efficienti i servizi».

Le fotografie sono di Legacoopsociali Piemonte

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