L'altro sviluppo

Stefano Granata: «Apriamo l’Agenda agli imprenditori sociali»

Il neopresidente del Sia (Social Impact agenda per l'Italia) anticipa a VITA la strada che ha in mente per il futuro degli investimenti ad impatto in Italia: rapporti diretti con il Terzo settore, nuovi ponti con il mondo della finanza etica e stimolo alle istituzioni grazie all’avvio di progetti su scala industriale

di Nicola Varcasia

Stefano Granata è il nuovo presidente di Social impact agenda per l’Italia. L’organizzazione ha lo scopo di promuovere e diffondere a tutti i livelli, da quello istituzionale a quello sociale e imprenditoriale, gli strumenti della finanza d’impatto, o impact investing. Questo comparto, che in Italia sfiora i 10 miliardi di euro di valore e rappresenta circa il 9% di questo genere di investimenti fatti in Europa, può essere considerato una via di mezzo tra la pura filantropia e gli investimenti tradizionali. Il che la rende molto interessante per favorire l’incontro tra mondi diversi. Granata approda a questo nuovo ruolo nel segno della continuità, facendo parte del board di Sia, come vicepresidente, già da alcuni anni. Con ampie prospettive di evoluzione.

Che eredità raccoglie dalla presidenza di Giovanna Melandri?

Grazie al suo lavoro, in questi anni il Sia ha avuto il merito di portare e far entrare nel dibattito italiano la questione dell’investimento d’impatto.

Prima era quasi sconosciuta.

A livello di advocacy, il Sia ha raggiunto il suo primo obiettivo ed è effettivamente diventato un luogo di pensiero su questi temi, oltre che di rappresentanza. Anzitutto nel network internazionale Gsg impact di cui fa parte e nel conseguente riconoscimento a tutti i tavoli in materia.

Quali sono i prossimi passi e cosa porterà con la sua esperienza di cooperatore?

Se guardiamo il panel dei nostri soci, oggi troviamo soprattutto istituti di credito, fondazioni, fondi pensionistici e altre realtà importanti di questo tipo quali Abi o Cassa depositi e prestiti. In sostanza, è molto presente l’offerta finanziaria. Proseguendo il lavoro fatto in questi anni, la mia esperienza e visibilità nei nostri mondi potrà aiutare a rendere più presente e forse anche meno scettica la domanda.

A chi pensa in particolare?

A tutto il mondo dell’imprenditoria sociale, cioè a chi poi dovrebbe essere oggetto degli investimenti nell’attività che si intende sviluppare. In questo ambito c’è un gap da coprire.

Perché?

I nostri modi sono arrivati alle valutazioni d’impatto sui finanziamenti spesso perché obbligati dalle circostanze. Pensiamo ad esempio alle fondazioni bancarie che, per aggiudicare un bando, chiedono di seguire un set di indicatori per la valutazione dell’impatto dell’attività che andrà a sostenere. Ma c’è sempre stata una qualche diffidenza verso il mondo della finanza. Anche verso quella finanza che parla di obiettivi non sono solo economici negli investimenti, come per missione fa la finanza d’impatto.

Come si fa a rompere questa diffidenza?

Dobbiamo puntare ad avviare sperimentazioni su larga scala, non tanto o non solo sulle micro organizzazioni, in modo da far assumere a questo movimento una vera dimensione industriale.

Sarà facile nello scenario di oggi?

Siamo in un momento storico complicato. Dopo un periodo in cui si è parlato tanto di ambiente, oggi assistiamo a un crollo. Mentre sul fronte sociale, diciamocelo, non c’è mai stata davvero una grande spinta. A livello globale gli investimenti sembrano andare in tutt’altra direzione. Se il vento tira da un’altra parte, dobbiamo continuare a seguire la nostra rotta.

Potrà servire qualche aggiustamento per prendere meglio il vento, ma senza mai perdere di vista la meta. I nostri obiettivi restano ben chiari e sarebbe un peccato abdicare proprio ora.

Lei fa parte anche del Consiglio di Banca Etica, ci potrebbero essere collaborazioni ancora più strette?

Finora anche il movimento della finanza etica ha in parte risentito di quella diffidenza di cui parlavamo, perché la finanza etica è ancora una cosa ben distinta da quella che chiamiamo alta finanza. Ma quello di creare nuovi anelli di congiunzione tra la finanza etica e la finanza d’impatto è un obiettivo importante. Proprio per generare delle contaminazioni che operino delle vere trasformazioni. Nella mia vita di cooperatore, l’obiettivo da sempre è passare dalla testimonianza alle trasformazioni vere.

Riaprendo “l’agenda” quali sono gli obiettivi più importanti per il vostro movimento in Italia?

Riprendendo la dimensione di advocacy, che è la vocazione principale di Sia, l’obiettivo è quello di provare a smuovere l’agenda istituzionale che è ancora abbastanza ferma. L’altro tema è proprio quello dell’attivazione di esperienze a grande dimensione, che comincerebbero a generare un’attenzione diversa anche a livello istituzionale, uscendo dal semplice apprezzamento. Progetti industriali che possano cambiare veramente il mondo.

Quali potrebbero essere?

Ci sono enormi possibilità di investimento d’impatto nella funzione pubblica. Ad esempio, quando si parla di coprogettazione, la finanza d’impatto potrebbe intervenire di più, apportando quei capitali che il Terzo settore fatica ad acquisire. I dati mondiali mostrano che la finanza a impatto comincia ad avere una certa consistenza, occorre farla diventare una prassi consolidata anche in Italia.

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