Sanità
Dall’intelligenza artificiale un push per la ricerca sul cancro: «Ma non aspettiamoci rivelazioni notturne»
La ricerca sul cancro ricorre da tempo ai sistemi di intelligenza artificiale in ogni sua fase. Ne abbiamo parlato con Stefano Piccolo, biologo molecolare dell'Università degli Studi di Padova, massimo esperto di progressione tumorale, che dice «Il futuro è già qui. Bisogna ricavarne il meglio, pur con scetticismo e con cautela».

«Il futuro è già qui. I processi, anche quelli biomedici e clinici, sono saranno sempre più governati da oceani di dati e dobbiamo essere pronti a ricavarne il meglio, pur con scetticismo e con cautela. L’intelligenza artificiale ha già portato a risultati importanti per i pazienti; tuttavia, queste nuove tecnologie impongono anche un ripensamento delle nostre priorità e ci portano inevitabilmente a interrogarci su che cosa significhi essere ricercatore e docente, su che cosa insegnare e come farlo. In tutto ciò, dobbiamo accentuare la componente umana, una volta capito quale essa sia».
A parlare è Stefano Piccolo, docente di biologia molecolare dell’Università degli studi di Padova e dell’Istituto Airc di oncologia molecolare Ifom di Milano. Il ricercatore guida non solo il suo Lab nella Città del Santo, ma è anche responsabile di uno dei programmi speciali di Airc 5 per mille dedicati allo studio delle metastasi, guidando una squadra formata da 17 unità di ricerca dislocate su tutto il territorio nazionale.

Di intelligenza artificiale e nuove tecnologie a servizio della ricerca sul cancro Piccolo ha parlato al Galileo Festival dell’Innovazione di Padova: «Poter individuare, già al momento della diagnosi, chi risponderà ai trattamenti e chi svilupperà metastasi è fondamentale ai fini di una corretta decisione terapeutica» ha detto il ricercatore. «Risparmiare la chemio a chi non ne trarrà alcun beneficio significa evitare inutili effetti collaterali, sofferenze e anche costi». Piccolo studia l’ecosistema del cancro, in particolare l’impatto dei segnali di natura fisica e meccanica nella regolazione della plasticità cellulare e nel processo di trasformazione e migrazione neoplastica. «Immaginate il cancro come una malattia sociale, dove la cellula è solo una delle componenti di una società distopica profondamente corrotta ma con le sue proprie regole. Affinché il seme del cancro germogli il terreno deve essere appropriato» spiega. Di conseguenza, gli elementi da valutare sono un’infinità ed è per questo le grandi potenze di calcolo e i sistemi di Ia sono di grande aiuto.
Infatti, l’intelligenza artificiale, l’apprendimento automatico e l’analisi dei big data costituiscono un potenziale in crescita anche nelle scienze della vita. «I sistemi artificiali individuano connessioni, associazioni e pattern significativi laddove il cervello umano non vede nulla, che quindi sarebbero altrimenti non individuabili» spiega Piccolo che parla per questo di «oracolo capace di prevedere il futuro perché allenato a riconoscere analogie e coerenze tra eventi». Oggi «ciò sta già avvenendo in tutte le varie fasi della ricerca oncologica, dall’individuazione di un nuovo target terapeutico e di una nuova molecola, le cosiddette target and drug discovery, fino alla previsione della sua efficacia sul singolo paziente». In altre parole, i sistemi di Ia vanno a supporto della diagnosi, in termini di precocità e accuratezza, a supporto della prognosi, predicendo meglio gli esiti di un trattamento soprattutto quando valutano anche i dati di real world, e a supporto del trattamento con la personalizzazione e l’individuazione del miglior algoritmo terapeutico sulla base dei dati dei pazienti, dai quali i software basati sull’Ia estraggono informazioni chiave. Ciò consente anche di adattare il trattamento in base alla risposta del tumore del singolo, la cosiddetta adaptive therapy, e stabilendo il dosaggio più efficace, per evitare il sovratrattamento. L’implementazione, tuttavia, è lenta e a macchia di leopardo, senza una regia che garantisca equità di accesso. Eppure, le ricadute sulla sostenibilità del sistema sanitario sono significative.
L’Ia ci aiuta in tutte le varie fasi della ricerca oncologica, nella target and drug discovery, a supporto della diagnosi, della prognosi e del trattamento, individuando il miglior algoritmo sulla base di dati di varia natura, anche di real world, del singolo individuo
Stefano Piccolo
Spesso, poi, si evidenzia, la questione della qualità dei dati. A guardare al funzionamento dei sistemi di intelligenza artificiale, tuttavia, «è la quantità di dati a contare. Anche se i dati sono sporchi, parziali, incompleti, proprio il connettere tantissime evidenze che non sarei mai stato in grado di associare consente di rilevare un pattern, che si andrà poi eventualmente a verificare e validare» spiega Piccolo. I sistemi intelligenti lavorano in modo multiparametrico e analizzano e integrano dati di natura diversa, come ad esempio immagini, segnali e testi: si va dall’imaging molecolare, alla trascrittomica spaziale fino ai contenuti delle cartelle cliniche e ai dati di real world.
Al contempo, è proprio l’incompletezza dei dati che deve farci tenere alta l’attenzione e richiede verifiche e validazioni costanti. Il rischio è quello della sottostima di alcuni aspetti e quindi di concrete ricadute, ad esempio, discriminatorie, come avviene quando la sanità ricorre a software di stratificazione del rischio di malattia che tipicamente sono applicati negli Stati Uniti da assicurazioni e ospedali. «Tutto dipende dai set di dati usati per addestrarli: la loro risposta sarà probabilmente grandemente influenzata da tanti bias e condizionamenti della cui eventualità dobbiamo essere coscienti. Bisogna coltivare lo scetticismo e, al contempo, concedere una certa autonomia al sistema, che significa delegare conoscenza che non possediamo più» dice Piccolo, riferendosi al problema della scatola nera, di quei software chiusi, dei quali non sappiamo con quali dati sono stati alimentati, in che modo hanno appreso e quali regole applicano per fornire un verdetto. Sfuggendoci al momento l’interezza di meccanismi e dinamiche, dobbiamo stabilire in quali casi fidarci del processo decisionale.
Non conta tanto la qualità: è la quantità di dati a contare. Anche se i dati sono sporchi, parziali, incompleti, il sistema rileva pattern potenzialmente significativi, che toccherà a noi verificare e validare
Stefano Piccolo
Infine, lo scienziato invita a cambiare prospettiva: «La tecnologia, contrariamente a quello che spesso si ritiene, non è figlia della scienza ma è motore di scienza» dice Piccolo. «Fu grazie al cannocchiale che Galileo vide un mondo nuovo». Ma quando osservò il cielo e scoprì le quattro lune di Giove, decisive nel confutare il modello geocentrico, sapeva esattamente dove puntarlo. Così, di fronte a tali sistemi digitali potenti nel predire il futuro, sia esso una progressione tumorale o una risposta alla terapia, vien da domandarsi quanto queste metodiche stanno cambiando la ricerca e la logica della scoperta scientifica. Si lavora ancora in modo hypothesis driven? Per Piccolo, non c’è dubbio. «Non ho mai visto un foglio Excel darmi rivelazioni nella notte, se non quando ho interrogato i dati ponendo la domanda giusta» dice, e aggiunge: «Non escludo però che un domani, con tutto questo oceano di dati, i sistemi diventino così intelligenti da farsi anche tutte le domande giuste o quantomeno di affinare le mie domande».
Foto di Google DeepMind su Unsplash (Illustrazione artistica dell’intelligenza artificiale (IA). Questa immagine esplora modelli multimodali. È stata creata da Twistedpoly nell’ambito del progetto Visualizing AI lanciato da Google DeepMind).
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