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Piemonte: prove tecniche di alleanza per il welfare
Un fitto pomeriggio di lavoro torinese promosso da Confcooperative Piemonte lancia l’invito a costituire un patto per una unità d'azione, volto a ridare riconoscimento e valore al lavoro sociale. Una convocazione per tracciare percorsi per possibili soluzioni dopo mesi di dibattito attorno alla tenuta del sistema socio sanitario nella regione

È caldo il tema del welfare in Piemonte, e non è colpa delle temperature caraibiche esplose nell’ultima settimana. Il tema è caldo perché da mesi si discute di tariffe e coperta corta. Servono risorse per tenere in piedi i servizi socio sanitari dopo il rinnovo del contratto collettivo nazionale dei lavoratori delle cooperative sociali che ha previsto un aumento del costo del personale pari al 15% entro il 2026, ma soprattutto servono nuovi modelli in una regione che ha un tasso di invecchiamento tra i più alti in Italia. Se ne è parlato ieri pomeriggio in un incontro alla Fondazione Casa di Carità a Torino, intitolato “Dialoghi sul welfare – Protagonisti del Terzo settore e del pubblico a confronto”.
Promosso da Confcooperative Piemonte, insieme alle realtà regionali di Anffas, Uneba, Diaconia Valdese, Fish, associazione Case di Riposo del Cuneese, Cnca, Ceapi, La bottega del possibile e Special Olympics, è stato moderato dal direttore di VITA Stefano Arduini. Punto di partenza, il numero di marzo del nostro magazine, che con la provocazione Provate a fare senza aveva raccontato un mondo distopico senza Terzo settore. Un titolo che in questo territorio si è propagato in modo capillare, è diventato la voce di un ambito d’azione che chiede di uscire dall’invisibilità.
Il welfare siamo noi
«Il welfare siamo noi quando i nostri figli ventenni non riescono a trovare un lavoro nonostante eccellenti risultati scolastici, quando un parente anziano ha bisogno di assistenza e i piccoli di casa frequentano l’asilo nido», ha detto Marco Fiorito della cooperativa Stranaidea in un monologo di fronte al pubblico e ai relatori del convegno. «Siamo la cura che ci sembra scontata e invece non lo è, il tempo messo a disposizione del benessere di una comunità, bene comune anziché commodity. Senza i servizi, ci si sente scomodi come quando manca un posto in cui sedersi: in piedi, le mani alzate, e il desiderio di riposare. Forse è arrivato il momento di renderci visibili, tenere scomodo e attivo il pensiero».
È partito da qui un fitto pomeriggio di lavoro torinese, una convocazione «per iniziare un dialogo sul welfare», per usare le parole di Enrico Pesce, presidente di Federsolidarietà Piemonte. «Le tariffe sono un tema fondamentale ma in realtà quello che è in gioco è l’intero ecosistema. Siamo abituati a una cultura dell’individualità. La giornata di oggi invece è un appello alla collettività, perché i problemi si risolvono soltanto camminando insieme. Vi chiedo lo sforzo di provare a rappresentare la complessità di questo mondo e a tracciare percorsi per possibili soluzioni».
Per un patto di unità d’azione
Le voci che si sono susseguite in quattro ore suddivise in due tavole rotonde hanno ufficialmente aperto un cantiere. Non si torna più indietro in una Torino che, come hanno ricordato diversi relatori, è stata la culla del welfare grazie ai santi sociali che duecento anni fa hanno messo in piedi un sistema di supporto che prima non esisteva. Il welfare è ancora bene comune?, si sono chiesti i primi interlocutori sul palco. Per Giuseppe Milanese, presidente Confcooperative Sanità, «guardiamo ancora troppo agli specchietti retrovisori, dobbiamo cogliere gli elementi innovativi se vogliamo generare un cambiamento». Giancarlo D’Errico, presidente regionale Anffas e membro del coordinamento del Forum del Terzo settore piemontese, ha definito la giornata «un’occasione da non perdere per costituire un patto di unità d’azione tra chi è fruitore dei servizi e chi li eroga».

Un appello accorato all’unità che è stato condiviso da Christian Zegna, presidente di Réseau Entreprendre Piemonte, Amedeo Prevete, presidente di Uneba Piemonte e Chiara Magrini di Ceapi («Andiamo nelle piazze aperte. Facciamoci conoscere e riconoscere»). Daniele Massa, presidente della Commissione sinodale per la Diaconia, in una sintesi efficace ha ribadito che «il welfare è un bene comune se lo trattiamo come tale. Momenti come questo servono a ricostruire cultura anche sui diritti delle persone. Non possiamo mettere delle toppe. Bisogna cambiare prospettiva: il welfare è un investimento per la democrazia di questo paese. E allora creiamo un’alleanza per incominciare a riflettere in concreto, bisogna avere la capacità di adottare buone pratiche che sono state introdotte altrove. In Toscana un anno fa, a un convegno come questo, sono state gettate le basi per il patto per la difesa e lo sviluppo del welfare. Qui sono rappresentate anime diverse, ma abbiamo alcuni fondamentali che ci tengono insieme».
Stefano Granata, presidente Confcooperative Federsolidarietà nazionale, ha messo in luce «l’alleanza eterogenea che si è venuta a creare in Piemonte. Un segnale importante in un momento in cui bisogna ritrovare il senso di ciò che si fa. Ci siamo concentrati troppo sui numeri e sulle prestazioni e meno sulle prese in carico. Il futuro è nelle nostre mani».
Di risorse e nuove rotte
L’ipotesi di una manifestazione pubblica che aveva tenuto banco nei mesi scorsi è stata più volte ricordata come punto di massima allerta di una crisi che ha bisogno di risposte. Intanto, si è tornati sui 18 milioni di euro per le strutture che ospitano pazienti convenzionati con il servizio sanitario regionale annunciati dal presidente della Regione Alberto Cirio sul Fondo sociale europeo. Lo ha confermato Livio Tesio, direzione Welfare regionale («Il tema è complesso, non ci sono soluzioni semplici. La sanità oggi non è soltanto l’acuto di un’emergenza, i dati della cronicità incombono»), e gli interventi dei consiglieri regionali di minoranza hanno evidenziato una carenza di risorse «a cui non basta una toppa per trovare solidità». Presenti in sala, anche due consiglieri di maggioranza che, hanno fatto sapere, guardano con interesse all’istituzione di un patto per il bene comune.

La vicepresidente di Confcooperative Piemonte Irene Bongiovanni ha messo sul tavolo alcune parole chiave: «Futuro (che porta in sé speranza), consapevolezza, vocazioni e politiche. Dobbiamo pretendere che siano condivise. Non perdiamo la rotta, andiamo avanti». Mario Sacco, presidente Confcooperative Sanità Piemonte, ha aggiunto: «La direzione verso cui dobbiamo tendere è quella della co-progettazione e co-programmazione. Siamo noi i protagonisti del welfare, operiamo con una funzione sociale».
Ripartire dal senso del lavoro sociale
Il lavoro sociale porta con sè un carico di responsabilità, ma nel tempo è venuto meno il riconoscimento del suo valore (ne abbiamo scritto in una tavola rotonda su VITA, leggila qui). Sono state diverse le voci che hanno delineato i punti da cui ripartire: da Marco Bentivogli, coordinatore nazionale di Base Italia, a Salvatore Rao de La Bottega del Possibile, da Carlo “Charlie” Cremonte di Special Olympics a Simona Bonanno dell’Istituto dei sordi di Torino. Un applauso a scena aperta è arrivato per Ilaria Botta, consigliera regionale Confcooperative Federsolidarietà Piemonte e cooperatrice sociale: «Abbiamo trasformato la scelta di lavorare nel sociale in una scelta umile. Non lo è. Trattiamo bene le persone che sono con noi oggi e facciamole restare». I suoi occhi dicono tanto di quella scelta. Forse il nuovo welfare è già qui.
Le fotografie sono di Confcooperative Piemonte e dell’autrice dell’articolo
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