In un Paese che ha una propensione a occupare gli spazi, a mantenere gli incarichi, nell’Italia pronta a lavorare di gomiti alti, a tendere i muscoli per impedire che altri possano prenderle il posto, la cosa fa notizia: la presidente di un’associazione nazionale, dedicata alla filantropia, decide di non ricandidarsi a un secondo mandato che certo nessuno le avrebbe negato, anche perché il buon lavoro fatto le è riconosciuto unanimemente. È il caso di Stefania Mancini che, oggi a Torino, guiderà l’assembla nazionale di Assifero ma che domani spiegherà ai 184 associati, fra fondazioni familiari, di impresa e comunitarie, di voler fermarsi qui.
Mancini, che lei abbia voluto terminare un’esperienza, ben condotta, e a cui avrebbe potuto ricandidarsi, ha spiazzato più d’uno. Perché questa decisione?
Sono stata nominata nel 2021. Era un momento difficile, ci riunimmo online per la pandemia, e ho detto che avrei fatto almeno un mandato. Ricevevo in dono un’associazione già ben costruita, cui avevo sempre attivamente partecipato sia come consigliera sia come vicepresidente. Mi sono messa al lavoro intensamente e il tempo è passato velocemente. Ragionando sul futuro di Assifero, mi sono chiesta se sarei stata ancora la persona adatta. La risposta veniva dalla ricchezza dei nostri soci, e tra loro alcuni erano già pronti a prendere a cuore la presidenza: un segnale di crescita e maturità che va colto, altrimenti si diventa “vecchi” con se stessi e verso gli altri
Abbiamo lavorato per costruire un alto senso di “associazione”, partecipata, democratica. Ecco, allora, la scelta personale, inaspettata per molti, di spingere verso un vertice più condiviso possibile. Solo così possiamo abituarci all’esercizio associativo, a perseguire la sua spersonalizzazione e a dare spazio a voci diverse.
Che cosa sente di aver portato in Assifero in questi anni e che cosa di aver ricevuto?
Ho continuato nel solco di chi mi ha preceduto (Felice Scalvini, ndr), cercando di proseguire in uno stile sobrio ma rafforzando tutti gli strumenti associativi, a partire da un regolamento elettorale ordinario che seguiremo per avvicendarmi. Abbiamo avanzato verso il Registro unico del Terzo settore – Runts: ci mancano le ultime formalità per diventare “Rete nazionale”. Sono stati aggiornati i principi valoriali e condivise forme collaborative per coinvolgere più soggetti su alcuni temi comuni e fare impatto. In questi anni di mandato abbiamo massimizzato le presenze in tutti gli eventi da noi organizzati, il numero dei soci è aumentato e tangibile è quello che definisco “l’indice di propensione” ad Assifero: lascio 184 enti associati, con un +49% di adesioni negli ultimi quattro anni, ma anche, rispettivamente, un +33% di adesioni dei nostri enti filantropici al Manifesto per il Clima e un +93% di sottoscrizioni in 2 anni della Dichiarazione The Future Chair: un impegno concreto per il coinvolgimento dei giovani nei propri processi decisionali. Sul fronte istituzionale…
Sul fronte istituzionale?
Ho proposto al Consiglio nazionale di presentare Assifero a Papa Francesco, convinti che il perimetro del nostro lavoro “in uscita” fosse in linea col suo insegnamento in termini sociali, di spirito economico, imprenditoriale e sociale, di fratellanza, rispetto e uso sapiente dell’innovazione e dell’ambiente. Nel 2023 abbiamo raccontato a papa Francesco un’Italia positiva, affidabile, protagonista nel servizio agli altri.
Poi c’è stato anche l’incontro col capo dello Stato
Seguendo questa linea ho proposto e ottenuto un incontro con il presidente Sergio Mattarella, cui sono cari molti dei temi da noi trattati e che è fonte di continua ispirazione e sapienza indiscussa, in un panorama incerto come quello dei nostri giorni. Nelle relazioni istituzionali non credo vincente l’approccio del chiedere: ho sempre privilegiato le relazioni nel senso di far conoscere, raccontare, dare disponibilità, in contrasto con un atteggiamento invalso, spesso corrosivo e aggressivo. Alla fine, e non per strategia, si costruiscono collaborazioni inedite e proficue. Tanto che Assifero nel 2023, per il ventennale delle sue attività, ha ricevuto la medaglia del presidente della Repubblica.
C’è anche il rapporto col ministero dell’Economia e delle Finanze.
Sì, una presenza, la nostra, nei gruppi di lavoro dedicati al Piano dell’Economia Sociale e l’avvio di colloqui con la presidenza del Consiglio. Il team e chi lo conduce, la segretaria generale Carola Carazzone, si distinguono per una eccezionale capacità di accompagnamento e rafforzamento culturale e operativo della base associativa.

In primo piano Stefania Mancini e Sergio Mattarella
Resta ciò che sente di aver ricevuto
Si esprime con poche parole: senso di umanità, nuove conoscenze tematiche, ricchezza, ascolto e gioia. Gioia nel conoscere l’Italia che mi piace, che amo, e la forza di voler continuare a lavorare in tal senso. Ho toccato con mano il senso di responsabilità pubblica che tutte le fondazioni e gli enti filantropici di Assifero hanno e testimoniano.
Senta, Mancini, qual è il senso della filantropia familiare, comunitaria e di impresa, in Italia, oggi?
Siamo speranza, per il futuro. Possiamo immaginarlo con un margine di libertà, e di altrettanta responsabilità, che ci vengono dalle nostre origini private e da una certa disponibilità finanziaria, se siamo in grado di non essere autoreferenziali e di uscire da quella zona di comfort che può tentarci. Rappresentiamo un alleato delle altre componenti del Terzo settore e delle istituzioni, con quella distanza che ci permette di fare squadra tra diversi. Credo anche nelle nostre potenzialità politiche…
In che senso?
Nel senso portare l’esperienza radicata su alcuni temi all’attenzione di chi è deputato a decidere. Mi piace pensare che i temi più difficili, in primis le crescenti diseguaglianze e povertà, la povertà educativa, la ridotta accoglienza allo “straniero” e la restrizione dell’accesso alla cittadinanza, come la miopia sulla formazione alternativa per il lavoro e la precarietà di una parte dei giovani, possano beneficiare di quanto molti soci di Assifero stanno sperimentando da anni, con risultati positivi, tangibili e duraturi
C’è un’altra comunità filantropica in questo Paese, quella bancaria. Un mondo vicino ma ancora separato. Che futuro immagina per questi due mondi? Verrà il tempo di un’azione più strettamente congiunta?
Le fondazioni di origine bancaria non sono lontane da noi: siamo soggetti in cammino in direzioni vicine che negli ultimi anni hanno rafforzato la propria collaborazione. Negli ultimi anni sono emerse molte collaborazioni, soprattutto a sostegno dei territori, perché per lo sviluppo locale è fondamentale la partecipazione di tutti i soggetti in campo. Sono profondamente colpita da quanto costruito in questi anni tra dall’Associazione casse di risparmio e fondazioni bancarie – Acri e Assifero, di come partecipiamo ad alcune progettazioni insieme e della capacità di ascolto dedicata. Il futuro sarà ancora più intenso e interessante, soprattutto perché ha premesse di interessi comuni sul fronte europeo
C’è qualcosa su cui avrebbe voluto lavorare e non ne ha avuto il tempo?
Ho avviato alcune prime interlocuzioni su due temi che credo possa valere la pena esplorare. L’ecosistema di Assifero si compone di una comunità variegata e rappresenta una biodiversità lungimirante. Nel 2024 ho organizzato un interessante incontro a Loppiano, supportata da alcuni consiglieri e in collaborazione con l’economista Luigino Bruni, invitando alcune congregazioni religiose femminili. Al centro della due giorni lo sguardo lontano, per ripensare l’uso e la destinazione di alcuni beni immobili, collaborando strettamente tra congregazioni e fondazioni. Il vero obiettivo è lo sguardo diverso con cui poter sollecitare una migliore coniugazione fra “realtà in ricerca” e “destini abbandonati o non colmi”.

Vi siete a candidati a rivitalizzare quei grandi patrimoni costruiti dalle congregazioni che spesso restano inutilizzati quando la vita religiosa si esaurisce?
Immaginiamo, ad esempio, che conventi e monasteri ancora in buone o medie condizioni, quasi disabitati, possano essere luogo di co-housing, di cura diversa o di produzione per persone che hanno “bisogno di”. Si tratta di rigenerazione, riqualificazione e di sviluppo economico locale, di un nuovo spazio pronto per chi voglia ragionare un po’ controcorrente e tendere la mano a chi vuole, ma a volte non può. Questo ragionamento negli ultimi mesi si è esteso anche alla Conferenza episcopale italiana – Cei, con prospettive diverse ma sempre nella stessa direzione. È un una traccia delle funzioni, del ruolo e delle competenze che vorrei fossero sempre presidiate e imputate alle fondazioni e dagli enti filantropici. E poi mi faccia aggiungere le fondazioni di comunità.
Prego.
Sono un bene intrinseco cui sono particolarmente legata e intimamente interessata. Ho conosciuto il loro potenziale ai confini del mondo e le dico che solo in presenza di enti di comunità, trust comunitari o fondazioni di comunità, c’è speranza. Singolari nel panorama delle fondazioni di origine privata, stanno acquisendo una forza importante e rilevante anche in Europa: ce ne sono oltre 800 collegate alla European Community Foundation Initiative – Ecfi. Le prime nacquero negli Stati Uniti oltre un secolo fa, in uno scenario ben diverso dall’America dei nostri giorni, che conosciamo per tramite dei suoi leader, ma costituiscono ancora la trama delle alternative possibili di quel continente.
E che cosa possono fare oggi?
Sono un bene dell’umanità, il loro modo di intersecare le comunità, avvolgerle e abbracciarle, seminare, fare sbocciare e soprattutto potenziare la democrazia, fugando il rischio di interregni che a nulla portano. Le loro diverse dimensioni non ci interessano: ognuna ha un suo senso e consistenza specifici. Per questo ho avviato alcuni colloqui con l’Unesco, convinta che le fondazioni di comunità debbano e possano essere riconosciute come patrimonio immateriale dell’umanità. Questo iter, a mio avviso, dovrebbe partire da Assifero come candidatura italiana, in alleanza con fondazioni di comunità di Paesi in guerra. Ho già preso contatti con le fondazioni di comunità in Ucraina e sono in contatto con alcune della Cisgiordania. Lascio questi due percorsi avviati, e poi sarà la nuova presidenza, il rinnovato Consiglio nazionale con la base associativa a decidere eventualmente se e come proseguire.
A proposito, dia un suggerimento a chi le succederà, il cui nome conosceremo domani a Torino.
Consiglio di fare del proprio meglio, come sono sicura farà, per un’associazione che da vent’anni ci mette la faccia, che è cresciuta e che dovrà crescere ancora. C’è un tempo specifico per tutti: io ho molto chiaro il mio tempo, la fine di un ruolo, il desiderio di riuscire a non esaurire la propria identità in qualcosa che, oltre ad arricchirti, ti gratifica. Questo ti può illudere di essere indispensabile, e invece no: nessuno lo è soprattutto in una casa, come è Assifero per i suoi associati, che ha bisogno di saper lasciare andare, cambiare sguardo e continuare dove la vita ti può portare, porgendo l’orecchio anche a ciò che nessuno vuole ascoltare. Spero che la nuova presidenza si possa innamorare di Assifero e condurla, ancora di più e a modo proprio, verso le proprie potenzialità, arricchendosi della biodiversità della base associativa così da coniugare in un luogo i vari volti dell’Italia, dove non c’è il primo o il più bravo, ma dove ciascuno rende l’altro se stesso nella reciprocità piena. Auspico che sollevi la voce su temi difficili e continui ad intensificare le relazioni politiche ed istituzionali. Assifero è questo.

Lei era pronta a fare la presidente nel 2021?
Io non ero nata per fare la presidente, sono sempre stata “vice” di qualcosa, eppure sono stata sapientemente accompagnata dal presidente onorario Scalvini e dalla segretaria generale Carazzone, insieme alla squadra ristretta dei miei consiglieri e della vicepresidente. Hanno accettato le mie incertezze iniziali e mi hanno dato forza. Spero che chi mi succeda sappia trarre forza ed equilibrio dalla squadra, per arricchirla.
Di cosa si occuperà, adesso, Stefania Mancini?
Il mio impegno nella città di Roma non si è mai interrotto. Sento il desiderio e la responsabilità di tornare a dedicarmi a tempo pieno della Fondazione Charlemagne, rafforzando il mio coinvolgimento sia sul piano strategico che operativo, in stretta collaborazione con l’intera squadra.
Attraverso Periferiacapitale – il programma comunitario della fondazione nato per rendere i territori più inclusivi e solidali valorizzandone le energie sociali – la fondazione sostiene processi collettivi e partecipati. Lo fa attraverso la costruzione di nuove forme di dialogo e collaborazione con chi, ogni giorno, lavora per Roma e con Roma. A cinque anni dalla sua nascita, Periferiacapitale coinvolge oltre 100 realtà attive in tutti i municipi della città e ha sottoscritto 10 protocolli d’intesa con altrettanti municipi, collabora con ricercatori e docenti dei tre principali atenei pubblici sul welfare della città, le principali questioni urbanistiche, le prospettive di sviluppo e di convivenza. Questi dati raccontano la crescita di legami di prossimità fondati sulla fiducia reciproca. Al tempo stesso, testimoniano la necessità sempre più impellente di ampliare il nostro raggio d’azione per amplificare le voci di coloro che operano quotidianamente in una città tanto complessa e stratificata quanto ricca di potenzialità.
Infine, spazio a qualcosa di nuovo. Sto lavorando alla nascita di nuove fondazioni, promosse con altre, e un’associazione inedita a carattere internazionale con alcuni amici che sarà di servizio nei campi profughi.
Nuove sfide.
Nuove sfide che, sono sicura, VITA mi aiuterà a raccontare.
Le foto della visita al capo dello Stato sono dell’Ufficio comunicazione del Quirinale tramite LaPresse, la foto di Mancini, nel corpo dell’articolo, è di sua proprietà.
Vuoi accedere all'archivio di VITA?
Con un abbonamento annuale potrai sfogliare più di 50 numeri del nostro magazine, da gennaio 2020 ad oggi: ogni numero una storia sempre attuale. Oltre a tutti i contenuti extra come le newsletter tematiche, i podcast, le infografiche e gli approfondimenti.