Lavoro sociale
Mille più mille, un maxi concorso per i professionisti del sociale
Il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali cerca 979 psicologi, 955 educatori socio-pedagogici e 296 pedagogisti da inserire negli ambiti territoriali sociali di tutta Italia. Una novità, perché per la prima volta questi professionisti entrano nelle équipe del welfare pubblico. C'è tempo per candidarsi fino al 30 luglio. In un momento di penuria assoluta di educatori, che succederà nel Terzo settore?

Lo scorso 30 giugno, il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha pubblicato il bando di concorso nazionale per il reclutamento e l’assunzione a tempo pieno e per tre anni di 3.839 persone. Andranno negli ambiti territoriali sociali, per il rafforzamento dei servizi sociali. L’iniziativa è finanziata con 545 milioni di euro e si inserisce nel quadro degli interventi del PN Inclusione e Lotta alla povertà 2021–2027. Il bando scade il 30 luglio. Nei mesi scorsi, Renato Sampogna, dirigente del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, aveva evidenziato come la prima professionalità richiesta dagli Ambiti territoriali sociali siano state quelle dell’educatore sociopedagogico e dello psicologo. Infatti il bando oggi cerca 979 psicologi; 955 educatori socio-pedagogici e 296 pedagogisti. I funzionari amministrativi che servono agli ambiti sono 873 e quelli contabili 736.
Una rivoluzione nel pubblico
La definizione di «maxi concorso per i servizi sociali» è di Maria Teresa Bellucci, viceministra del Lavoro e delle Politiche Sociali, che lo definisce come «un passo decisivo per rafforzare la rete pubblica d’aiuto a persone e famiglie su tutto il territorio nazionale. Oltre alla portata dell’intervento, che prevede ben 3.839 nuove assunzioni, con l’inserimento di professionisti dell’area sociale e di quella amministrativa e contabile, si realizza una vera e propria rivoluzione. Fino ad oggi, infatti, non era mai stato previsto un organico di équipe multidisciplinari all’interno degli Ambiti Territoriali Sociali. La grande novità è proprio questa: per la prima volta educatori professionali socio-pedagogici, psicologi e pedagogisti entreranno, insieme anche ad istruttori amministrativi e contabili, nel sistema di welfare sociale pubblico, accolti dagli assistenti sociali che fino ad ora, troppo spesso soli, hanno sorretto i servizi».
Per la prima volta educatori professionali socio-pedagogici, psicologi e pedagogisti entreranno nel sistema di welfare sociale pubblico, accolti dagli assistenti sociali che fino ad ora, troppo spesso soli, hanno sorretto i servizi
Maria Teresa Bellucci
Ai non addetti ai lavori la cosa può sembrare strana, ma è proprio così: educatori, pedagogisti e psicologi fino ad oggi negli organici del sistema pubblico del welfare non c’erano. «Fino ad oggi non era stato previsto un organico di équipe multidimensionali strutturate stabilmente negli ambiti territoriali sociali», spiegava nel settembre 2024 Paola Milani (leggi qui). Ora invece si è deciso che negli ambiti ci dovranno essere un assistente sociale ogni 5mila abitanti, un educatore ogni tre assistenti sociali (quindi ogni 15mila abitanti) e uno psicologo ogni quattro assistenti sociali (quindi ogni 20mila abitanti). «Nel sistema pubblico gli assistenti sociali c’erano, mentre gli educatori e gli psicologi no. Un paio di Asl in Veneto avevano fatto questa esperienza dell’assunzione degli educatori nel sistema pubblico e anche altre regioni italiane, ma si tratta veramente di un numero residuale. Gli psicologi invece hanno un contratto nel sanitario, sono assunti sostanzialmente nelle Asl, per cui era difficilissimo avere psicologi nel servizio tutela minori».
Per la viceministra Bellucci, si tratta di «un traguardo importante, che ho seguito personalmente come Vice Ministro con delega alle Politiche Sociali. Rafforzare la rete dei servizi territoriali significa rendere il nostro sistema di welfare non più assistenzialista ma proattivo, efficace, vicino ai cittadini e capace di rispondere concretamente ai bisogni delle persone più fragili. L’obiettivo del presidente Meloni, che per la prima volta ha voluto assegnare a un Vice Ministro la delega alle Politiche Sociali, è stato chiaro: riformare e rafforzare il sistema di welfare italiano. Con questo ulteriore traguardo raggiunto, riteniamo di procedere con determinazione lungo la strada indicata unendo alla visione atti concreti».
Tutto è legato
Una buona notizia, senza dubbio. Pure una grande occasione per affermare il valore delle professioni pedagogiche nei servizi pubblici. E insieme però subito si accende un dubbio, giacché tutto è legato: con la penuria di educatori che c’è, questo nuovo bando complicherà ancora di più le cose per le cooperative del Terzo settore?
Proprio questa mattina Paolo Dell’Oca, che lavora in Archè ed è un acuto osservatore del Terzo settore, scriveva una riflessione appassionata del lavoro sociale dell’educatore, mettendo in luce però tutte le contraddizioni e le difficoltà. «Gli educatori giovani non esistono più. Se ne è perso lo stampino. Rispetto a dieci anni fa quando oggi pubblichiamo una posizione per educatrici o educatori abbiamo 5 volte candidature di meno, di persone giovani che stanno (legittimamente) valutando altre tre offerte di lavoro. Questo nonostante mutua interna (dovuta), il recente aumento contrattuale del Ccnl delle cooperative sociali, e sei mesi di alloggio offerto. Perché si sono estinti gli educatori e le educatrici? Perché tra i lavori che richiedono una laurea è il meno retribuito. Perché con la stessa laurea puoi lavorare nella scuola, dove non fai le notti, i fine settimana e di solito non vieni menato. È difficile, peraltro, per un educatore non portarsi il lavoro a casa. Se ha una casa. Perché si è pagati talmente poco che è durissima trovare dove vivere: una stanza in affitto a Milano, un monolocale nell’hinterland? Sempre più spesso ti trovi ad affrontare gli stessi problemi delle persone che supporti. Il passo da educatore a utente è sempre più breve. È diventato un lavoro per poveri, quindi per chi accetta di non fare figli, di non avere Netflix, di non avere una macchina di proprietà e di non uscire troppe volte la sera in un anno. Oppure è diventato un lavoro per ricchi, per chi ha altre rendite: la compagna o il compagno che guadagnano più, l’appartamento della nonna messo in affitto oppure è ricco di famiglia. Una volta la cooperazione sociale era il proseguimento della politica con altri mezzi, era una forma di militanza, per cambiare il mondo, oggi la cooperazione sociale corrisponde spesso alla gestione di servizi a basso costo. E allora? Se non fai parte della soluzione fai parte del problema, quindi da che parte andiamo?». Le sue risposte per essere parte della soluzione, le trovate qui.
Foto di Nicola Barts su Pexels
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