Umberto Ambrosoli

Lavoratori, territori, filantropia: che cosa c’è in ballo col “Risiko bancario” e di cui non si parla mai

di Giampaolo Cerri

Uomo della società civile, oggi presidente di Fondazione Banca Popolare di Milano - Bpm e di Banca Aletti, storica private bank di Banco Bpm, l'avvocato milanese spiega l'Ops "ostile" di Unicredit sul gruppo bancario che ha riunito, negli anni, le storie di molte banche popolari (Milano, Verona, Novara, Lodi). Un gruppo che è azionista di rilievo di Etica Sgr, la storica società di Banca Etica che si occupa di investimenti responsabili

L’offerta pubblica di scambio di Unicredit su Banco Bpm ha permesso di riesumare un vecchio e logoro luogo comune delle cronache finanziarie: Risiko bancario. Fra rinvii, ricorsi amministrativi, passaggi europei, pronunciamenti a tutti i livelli, la vicenda pare diventata un tormentone nel tormentone. Parlarne con Umberto Ambrosoli, che è parte di uno dei contendenti, in quanto presidente della Fondazione Banca Popolare di Milano – Bpm e di Banca Aletti, storico istituto private del gruppo Banco Bpm, significa ragionarne con un interlocutore che, per la sua biografia di impegno civile e sociale, parla il linguaggio dei nostri lettori.

Avvocato, Banco Bpm ha chiarito da subito di considerare l’operazione di Unicredit ostile, sottolineando che i conti che si potevano desumere dai piani facevano anche preoccupare per il mantenimento dei livelli occupazionali. Lei che idea s’è fatto? 

A occhio è la più lunga Ops della storia finanziaria italiana. E in questo tempo, non solo non si sono risolte quelle che erano le criticità evidenziate dal consiglio d’amministrazione di Banco Bpm ma, se possibile, la situazione si è ulteriormente complicata. Faccio un esempio: fra le prime criticità, c’era quella che, partendo da un premio sostanzialmente nullo, l’Ops è andata avanti sempre a sconto, e lo è tuttora.

L’articolo di novembre 2024, con cui davamo notizia dell’Ops di Unicredit

Si desume dai valori attribuiti nello scambio di azioni.

Esatto. Lo sconto al momento è intorno al 6%. Quindi, le ragioni di incongruità dell’offerta, si mantengono. A esse se ne aggiungono altre.

 A che cosa si riferisce?

Al momento, ad esempio, manca ancora un piano industriale.

 Lei non crede che si creerà valore?

L’assenza di una progettualità definita è elemento importante di cui tener conto. Le sinergie di cui si è parlato da subito sono state dichiarate nei loro risultati attesi, non nel modo in cui ci si arriva. E purtroppo ad andarci di mezzo spesso sono i dipendenti. 

Nel frattempo c’è stato il passaggio all’Antitrust europeo che ha detto: la fusione si può fare, a patto che vengano ceduti 209 sportelli. Diversamente, darebbero al nuovo polo una posizione dominante.

Il tema del futuro delle persone che lavorano oggi in Banco Bpm ci preoccupa. Non c’è scritto da nessuna parte che queste cessioni produrranno mantenimento dei posti di lavoro. Perché l’ottica della cessione non è l’ottica del mantenimento del posto di lavoro, nella prospettiva dell’Unione Europea, è l’ottica di evitare posizioni dominanti, appunto. Inoltre, anche un tot di clienti saranno “ceduti” a qualcun altro: abbiamo parlato per adesso solo dei dipendenti, ma sono coinvolti anche i clienti.

Torniamo sulla trasparenza, avvocato

Mancando il piano industriale, mancando una descrizione delle sinergie, c’è un problema in termine di chiarezza. E se vogliamo, in questo ambito, c’è qualcosa che è peggiorato in questi sette mesi.

Vale a dire?

Sono apparse sulla stampa molte dichiarazioni, sette, se non di più, in cui si paventa il ritiro dell’offerta. A questa incertezza se ne è aggiunta pure un’altra, fisiologica, di ricorsi e contro-ricorsi, allungando la durata dell’Ops. Quindi mettiamoci nei panni di un attento azionista di Banco Bpm…

 Facciamolo, avvocato.

L’offerta è a sconto. E non sa esattamente se e come verrà creato il valore in caso di aggregazione. Quindi è una situazione che ben spiega perché le percentuali di adesioni all’Ops siano poco oltre i decimali.

Volontari in un magazzino di Fondazione Banco Alimentare a Milano,
sostenuta da Fondazione Banca Popolare di Mlano – Bpm

 Sì allo 0,13%, circa. Perché di fatto a questi azionisti si chiede di comprare incertezza.

Appunto. Ora è vero che le banche vivono di fiducia, però questo sarebbe un atto di fede, più che di fiducia. Ma lascerei la fede ad altri ambiti… 

In questo gruppo c’è un’anima sociale che fa parte delle diverse storie popolari, Milano, Verona, Novara e le altre, una vocazione sociale molto chiara, che oggi vive nelle fondazioni che avete creato ma anche nel gruppo, se penso al grande impegno a fianco di Airc al volontariato d’impresa. O, ancora, a partecipazioni importanti come quella in Etica Sgr. In una fusione, questa tradizione sarebbe a rischio?

L’esperienza di Banco Bpm, che vede confluire all’interno di un unico gruppo, due gruppi che a loro volta erano figli di ulteriori aggregazioni, dimostra come si possa mantenere un’anima territoriale, pur diventando un grosso gruppo nazionale. Questo equilibrio è possibile quando la scelta è talmente radicale da fondare il modello di business proprio sul rapporto con la comunità, proprio sulla vicinanza. 

Una banca vicina ai territori innanzitutto significa essere presenti capillarmente e restituire tutto, in impieghi, allo sviluppo di quei territori. Prendere 100 e restituire 70, è un’altra cosa.

Umberto Ambrosoli

 Che cosa significa vicinanza ai territori? 

Due cose: uno, presenza capillare; due, restituzione. Non mi sto riferendo alla parte filantropica, mi sto riferendo a quella di business: tante presenze, capillarità, l’interlocuzione diretta con chi è attore del territorio, gli imprenditori e le famiglie che sono i nostri clienti, e dunque restituisco allo sviluppo di quel territorio tutto ciò che è il mio business, quindi gli impieghi. Nel momento in cui il mio modello di business è diverso, cioè prendo dai territori 100, prendo in Italia 100 e restituisco in Italia, che ne so, 70, ecco che quella capillarità rischia di diventare negativa. 

 Una capillarità diversa, diciamo.

E infatti per una banca in cui c’è un modo diverso di intendere la capillarità, non ci sono, ad esempio, le fondazioni locali. Perché le fondazioni locali sono la parte “non business” di quello stesso rapporto con il territorio. Banco Bpm è una storia che merita di continuare.

Questa Ops ci consente di parlare del sistema bancario italiano oggi. Lei come lo vede?

Il sistema del credito si è certamente giovato, in questi anni, dei vantaggi derivanti dai tassi di interesse della Banca centrale europea, necessari per contenere la spinta inflazionistica. Questi anni di maggiore fortuna sono seguiti altri in cui alle banche sono stati chiesti dei sacrifici straordinari, come durante il Covid.

C’è spazio oggi, in questo sistema, per aggregazioni? 

Le caratteristiche del tessuto economico italiano, in modo particolare del sistema imprenditoriale italiano, sono tali per cui non c’è certo bisogno solo di banche grandissime. C’è bisogno di biodiversità bancaria ma soprattutto di quella prossimità, di quella vicinanza al territorio che nel nostro sistema è garantita dall’esistenza di diversi istituti di minori dimensioni, che si sono organizzati in maniera tale da avere una solidità complessiva.

Di che cosa c’è bisogno? 

Sentiamo dire da più parti, specie dopo la presentazione del Piano Draghi, che c’è bisogno di grandissimi player europei, che dobbiamo cioè avere una capacità transfrontaliera, di essere presenti contemporaneamente in più mercati europei. Banche, cioè, in grado di concentrare le risorse anche sui grandi progetti di rilevanza europea. Quelle, che hanno questa vocazione, è giusto che continuino a fare acquisizioni europee. Lo capisco ed è opportuno che si rafforzino in Europa. 

Insomma, che Unicredit faccia la banca continentale… Veniamo alle fondazioni territoriali, quanto importante è il lavoro che fate a questo riguardo?

Banco Bpm ha creato diverse fondazioni che la legano propriamente alle storie territoriali da cui deriva. La banca poteva benissimo fare dei comitati territoriali e lasciare loro le attività erogative che sono proprie del rapporto tra le banche e i territori. Invece, la finalità di queste fondazioni è stata creare dei soggetti autonomi nelle loro valutazioni rispetto a quelli che possono essere gli obiettivi di business della banca stessa. Completamente autonomi. Come Fondazione Bpm eroghiamo 1,3 milioni di euro all’anno, con una media di circa 15mila euro a iniziativa e punte di erogazioni che arrivano a 250mila euro.

Si tolga il cappello del presidente di Banca Aletti e della Fondazione Bpm e mettiamo da parte l’Ops di Unicredit, perché questa domanda è per il cittadino Umberto Ambrosoli, uomo impegnato sui diritti civili. Lei ha vissuto sulla propria pelle, tragicamente con la perdita di suo padre Giorgio, una stagione in cui alcune banche erano innervate di malavita. Ora che siamo alla vigilia di una rivoluzione tecnologica, quei rischi possono tornare?

Pensiamo alle criptovalute che hanno plurimi profili di opportunità e di criticità. Spesso si è propensi a vedere principalmente le opportunità. Accade frequentemente quando c’è una novità in ambito finanziario, ma poi, talvolta, saltano fuori le sorprese. Se guardiamo la storia nella quale fu vittima papà, allora, il sistema bancario italiano non era integrato in quello europeo.

 Non avevamo avuto le varie Basilea. 

Allora c’era, tra le altre cose, un elemento di innovazione forte che era la transnazionalità. Attenzione perché, se noi prendiamo tutti gli scandali bancari, dalla Banca di Roma in avanti, ci rendiamo sempre conto che lo schema ha degli elementi di similitudine: cioè c’è una qualche novità intervenuta, ancora non regolamentata, e su quella assenza di regolamentazione qualcuno riesce a costruire il grande castello che poi crolla. E questo è un rischio che c’è sempre, perché le novità è fisiologico che ci siano. Vero è che abbiamo partecipato alla costruzione di un sistema europeo, e oggi è cambiato radicalmente il sistema della vigilanza e di regolamentazione: all’epoca non esisteva la disciplina di Basilea, adesso siamo arrivati all’ennesima release. Oggi i rapporti con le banche internazionali sono assolutamente più solidi e questo rende più difficile nascondere da qualche parte, all’Estero, l’eventuale criticità capace di intaccare il sistema. Detto questo…

 Detto questo?

Detto questo i grandi elementi di sicurezza devono sempre essere ricercati nella solidità patrimoniale, in una buona governance e in un sistema di vigilanza che funzioni. Finché ci sono questi tre elementi, si può stare tranquilli. Quando non sono presenti, tutti o in parte, allora c’è un problema. 

Come dobbiamo intendere l’italianità, cui ha fatto riferimento anche il presidente del gruppo, Massimo Tononi, giorni fa?

Quando noi parliamo di italianità non dobbiamo pensare a una banca in cui tutti i suoi azionisti siano solo ed esclusivamente italiani. Una banca è italiana quando investe tutto in Italia: tutto quello che raccoglie. Questa è l’italianità. Ed è per questo che, da più parti, c’è un’attenzione a fare in modo che, nel caso in cui dovesse andare in porto questa Ops, questo elemento non venga a pregiudicarsi.

Fringe Festival a Milano, iniziativa sostenuta da Fondazione Banca popolare di Milano – Bpm.
Foto di Davide Ajello

Ancora al cittadino Ambrosoli chiediamo come vede il Paese. Dove stiamo andando?

Se prosegue l’integrazione nell’Europa, il che vuol dire incidere anche su alcune questioni europee che non hanno funzionato in questi anni, vedo delle prospettive molto positive per l’economia e il sistema produttivo del nostro Paese e, più in generale, per l’Europa. L’Europa poi è ancorata a dei valori, e la profondità di questi talvolta può essere causa dei rallentamenti decisionali

 Per esempio?

Un aspetto che ha anche delle sue criticità: la tutela della privacy. È stata una battaglia fortissima rispetto a un modello dove tutto era a disposizione di chi offriva un servizio, come se l’utente fosse un oggetto. Questa differenza, che si traduce anche in scocciature come dover cliccare tutte le volte “acconsento”, però fa sì che i dati dei cittadini europei non siano totalmente in balia di un mercimonio altrui. In America non hanno la più pallida idea di come garantire questa privacy, ma è qualcosa che si radica in principi che fondano la nostra cultura e pertanto da noi è preteso. Per questo, dinnanzi a ogni tipologia di innovazione, l’Europa è più lenta. È più lenta perché bilancia quell’innovazione sui suoi valori. Non siamo veloci come l’india, la Cina, gli Stati Uniti, ma nell’essere ancorati a dei valori abbiamo una possibilità di prevenire le deviazioni di tante innovazioni che ci sono. Certo, questo significa non poter approfittare subito delle innovazioni, però in questa differenza abbiamo una maggiore resilienza. E di questi tempi così complessi, dove tante certezze vengono messe in discussione di frequente, sappiamo quanto la resilienza sia importante.

Sul cambiamento climatico, o ci si assume la responsabilità di cambiare le cose, anche di fronte a un pregiudizio immediato, o non ci sono molte prospettive.

Umberto Ambrosoli

 Finiamo col Terzo settore, Ambrosoli. L’Europa ha preparato un action plan sull’Economia sociale. Potrebbe essere un grande impulso.

La società civile, il Terzo settore, in Europa, in modo particolare in Italia, sono attori fondamentali. Il numero di associazioni presenti in Italia è particolarmente elevato, il registro del Terzo settore ne è dimostrazione. Al di là della partecipazione alla crescita economica del Paese, c’è una volontà di contribuire alla crescita sociale, un farsene carico; questo avviene anche in Europa, nonostante il difficile contesto internazionale. A questo si aggiunga l’economia che si trasforma, un sistema manifatturiero che con la globalizzazione trova opportunità di più basso costo, lontano dal proprio sistema. Lo vediamo oggi in molti settori come quello dell’automotive

 Ossia?

Prendiamo il tema del cambiamento climatico e delle sue implicazioni nell’industria: l’Europa ha avuto un atteggiamento un po’ severo sempre in forza di valori che si vogliono affermare. Il quantitativo di morti che abbiamo nel Vecchio Continente per l’inquinamento è un dato rilevante. Dato che, assolutamente, non dev’essere raffrontato con quello di altri Paesi perché, quando si parla di queste cose, non c’è confronto che tenga, ci sono solo valori assoluti. Sul cambiamento climatico, tema di particolare attualità, o ci si assume la responsabilità di cambiare le cose, anche a fronte di un pregiudizio immediato, o non ci sono molte prospettive.

Su questo c’è qualche timore di riposizionamento anche europeo. Lei è un ottimista?

 Non c’è mai una linea retta nei cambiamenti. Tanto meno in quelli che comportano immediatamente un impatto negativo. Ci saranno i momenti in cui si faranno due passi avanti e quelli in cui se ne farà uno indietro. L’importante è che i passi avanti siano sempre di più. È ovvio che, tre anni fa, parlare di auto-elettrica, ad esempio, non portava con sé la consapevolezza diffusa di quale pregiudizio economico costituisse per il nostro sistema produttivo e allora era più facile parlarne, nella speranza che, nel frattempo, ci si organizzasse. Non è stato così, però intanto abbiamo un quantitativo di riduzione delle emissioni assai maggiore rispetto a quello di tanti altri Stati.

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