Viste da vicino

In Albania, fra le suore che insegnano ai bimbi musulmani

Una coppia salernitana impegnata nel volontariato in visita per tre giorni a un centro minori di Valona, gestito dalle suore francescane alcantarine. Diario minimo di un'esperienza bella, vissuta fra le contraddizioni del Paese delle Aquile

di Andrea Pastore

Quando siamo partiti, ai primi di luglio, a Salerno stava per cominciare Cantieri Viceversa. Ero passato in hotel a salutare alcuni amici, e una persona in particolare mi aveva detto: «Viviti a pieno questa esperienza». Ed è esattamente ciò che ho fatto, giorno dopo giorno.

Con mia moglie Lucia Pelle, abbiamo infatti deciso di conoscere questa terra, guidati da suor Laura – una religiosa francescana alcantarina che, insieme a suor Carmela, vive lì da molti anni. Con loro c’era anche suor Marina, una professa temporanea che ha scelto di vivere un’esperienza missionaria per qualche mese. Perché sì, si può essere missionari anche a meno di un’ora di volo da casa.

Le Alcantarine sono una congregazione che ho (ri)trovato nel cuore negli ultimi anni, forse per quella loro capacità di osare il possibile.

Un cammino condiviso, scelto passo dopo passo, anche alla luce della riforma del Terzo settore che ha portato alla nascita della loro fondazione “La Fonte”. Un nome che sa di futuro.

Fra Suv e carretti

Torniamo all’Albania. Un Paese spesso raccontato come meta di turismo low cost o di resort (quasi) perfetti, ma che nasconde una realtà ben più complessa. A Valona – un vero e proprio cantiere a cielo aperto – il lungomare, con i suoi hotel e ristoranti, potrebbe competere con la Riviera romagnola. I giovani sfrecciano in Suv di ultima generazione. Ma basta svoltare l’angolo per ritrovarsi in un mondo completamente diverso: carretti trainati da asini, case pericolanti, fili elettrici penzolanti, edifici senza finestre o riscaldamento, isolati durante le piogge.

Case che non si possono davvero chiamare “case”. Perché nessuno dovrebbe vivere in simili condizioni.

Suore, educatori e bambini

Nel centro per minori gestito dalle suore, abbiamo incontrato oltre una ventina di bambini e ragazzi impegnati nelle attività estive. Durante l’inverno, quando ci sono solo due ore di luce al giorno, il numero raddoppia. Questo lavoro straordinario è possibile anche grazie a due educatori del villaggio. Non educatori “di carta”, ma persone che da anni collaborano con passione e dedizione.

Durante un pranzo, abbiamo scoperto che in tutta Valona – oltre 130mila abitanti su quasi 650 km² – c’è una sola assistente sociale. Esiste anche un centro per persone con disabilità, diviso per età: dai 7 ai 30 anni, e dai 30 fino alla fine dei giorni.

Alle attività delle suore partecipano esclusivamente bambini e ragazzi musulmani. E questa è un’altra contraddizione. La scuola a meno di 200 metri dal centro giovanile non ha né un’aula informatica né uno spazio ricreativo. Le suore hanno offerto la loro disponibilità per accogliere i ragazzi a turni. Ma il dirigente scolastico e gli insegnanti hanno declinato l’invito. Eppure – e qui l’ironia si fa amara – il figlio di uno degli insegnanti frequenta il centro.

Noi sulle strade

Prima di salutarci, suor Laura mi ha consigliato un libro di Madeleine Delbrel, Noi delle strade, edito da Gribaudi. È una mistica, poetessa e assistente sociale francese, riconosciuta venerabile dalla Chiesa cattolica. Un piccolo dono prezioso, che custodirò come parte viva di questo viaggio.

Sulla strada del ritorno verso Tirana, abbiamo incontrato altre contraddizioni. Strade dissestate che tagliano il nulla assoluto, dove all’improvviso compaiono una moschea nuova di zecca, un autolavaggio, un distributore di benzina.

A Berat, una delle città più antiche del paese, ci ha avvicinati una signora sentendoci parlare italiano. Vive in provincia di Brescia. Suo figlio ha deciso di tornare nella terra dei nonni per aprire un’attività ristorativa. Lei ci ha raccontato del suo arrivo in Italia nel 1989, ancora adolescente, con un permesso sanitario “ottenuto senza merito”. E ha concluso con un’osservazione amaramente ironica: «Nel Nord si lavora, nel Sud un po’ meno». Forse è questa l’ultima, più amara contraddizione: un Paese dove anche gli italo-albanesi si sono radicalizzati… perfino nel rancore verso il Sud.

La tante Albania

E così, sulla via del ritorno, ci siamo portati dietro le mille immagini di un’Albania che non si lascia incasellare: lussuosa e fragile, accogliente e chiusa, viva eppure a tratti dimenticata. Forse è proprio in queste crepe che si nasconde il senso della missione: restare, agire, credere anche dove tutto sembra dire il contrario.

Quel libro consigliato da Suor Laura – come il nostro viaggio – non è stato solo un regalo, ma una chiamata. A continuare a osare, passo dopo passo.

Ora, tornato in Italia, provo a rimettere in ordine tutto quello che ho vissuto. E rileggo le parole di un’altra suora, Anna Linda, che si trova dall’altra parte dell’Adriatico, a Bari. Prima di partire mi aveva scritto un messaggio con parole profetiche: «Quelle contraddizioni (in Albania) così nette hanno segnato i miei primi passi da suora. Io dico sempre che è una terra dura, come le facce degli albanesi, e come nella terra dura si formano delle crepe, così al cuore quando si viene lì. In quelle crepe, scegli tu cosa lasciar passare..».

Le foto di questo servizio sono dell’autore che compare in quella di apertura, insieme alla moglie Lucia e alle suore di Valona.

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