Educazione
Sospesi dalla scuola, immersi nella vita
Da settembre, gli studenti sospesi dovranno svolgere attività di "cittadinanza solidale" presso enti o associazioni. Il dibattito sull'opportunità di questa scelta è caldo. Fondazione Don Gnocchi lo fa già: in un anno e mezzo ha accolto 198 ragazzi. Ecco il loro racconto

Il 30 luglio il Consiglio dei Ministri ha approvato in via definitiva i regolamenti che riformano il voto di condotta e la disciplina della valutazione degli studenti della scuola secondaria. Le misure saranno operative a partire dall’anno scolastico 2025/2026. Con un voto in condotta insufficiente, ci sarà la bocciatura. Gli studenti che avranno 6 saranno rimandati a settembre e la loro ammissione alla classe successiva dipenderà da un elaborato su tematiche di cittadinanza attiva. Viene rivista la funzione delle sanzioni per gli studenti: invece della sospensione dalle lezioni ci saranno attività di cittadinanza solidale presso enti o associazioni. Noi abbiamo cercato chi lo fa già.
«All’inizio temevo di essere giudicato per il mio errore. Immaginavo di non trovare accoglienza, invece sono stato sorpreso dalla gentilezza di tutti: dagli operatori, dalle persone con disabilità, da chiunque abbia contribuito a rendere questa esperienza una delle più belle della mia vita». Davide, nome di fantasia, è uno dei 55 ragazzi che dal gennaio scorso hanno preso parte al progetto educativo che la Fondazione Don Gnocchi e il Comitato Matteo 25 hanno attivato per gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado sospesi da scuola.
Invece di starsene a casa oppure in un’aula da soli, questi ragazzi vengono inseriti in uno dei team della Fondazione che segue i più fragili: anziani, persone con disabilità motoria o cognitiva, persone con un disagio psichico. Un percorso concreto di cittadinanza attiva, che trasforma in opportunità qualcosa che, altrimenti, verrebbe percepito come una punizione e nulla più. Ma a loro, ai ragazzi, alla fine cosa rimane? «Mi mancheranno le parole di chi sfida se stesso per dire un semplice “ciao”», racconta Davide. «Sono certo che dopo aver terminato il mio percorso scolastico, tornerò, perché il legame che si è creato con loro è qualcosa che non può essere dimenticato».
Ovviamente non tutti decidono, come Davide, di dedicarsi al volontariato o ad altre forme di impegno civico, ma lo scopo del progetto non è questo: «L’obiettivo», spiega Roberto Perillo, coordinatore di uno dei quattro centri diurni per disabili dell’Irccs Santa Maria Nascente – Don Gnocchi di Milano, «è quello di creare le premesse affinché i ragazzi che vengono da noi entrino in contatto con la dimensione della responsabilità e scoprano cosa vuol dire essere cittadini attivi». Il che non significa «cambiare» il ragazzo: in una, due, massimo tre settimane, del resto, «è impossibile fare miracoli».
Spesso questi ragazzi non sono abituati a sentirsi valorizzati. Qui, invece, nessuno metterà l’accento sulle cose che “hanno sbagliato”, anzi verrà sempre sottolineato il loro merito, il loro progresso
Monica Malchiodi, responsabile del servizio volontariato Fondazione Don Gnocchi
Da quando il progetto è stato avviato nel dicembre 2023, sono 98 i ragazzi che hanno partecipato. «Di questi, solo con uno mi è capitato di dire “Qui non ci siamo proprio”, tutti gli altri se vanno via da qui contenti», riflette Monica Malchiodi, responsabile del servizio volontariato e del servizio civile della Fondazione. È lei che si occupa dell’accoglienza iniziale dei ragazzi. Oltre a presentare loro la struttura e il progetto, il suo vero compito è contattare le famiglie per capire meglio chi avrà di fronte. Con la scuola di provenienza, infatti, la Fondazione non ha contatti: la scuola si rivolge, dietro approvazione della famiglia dello studente, al Comitato Matteo 25, fondato e presieduto da don Fabio Ferrario, che poi contatta la Don Gnocchi e fornisce agli operatori la scheda relativa al ragazzo e i motivi della sospensione. È Malchiodi che nel dialogo con la famiglia cerca di capire meglio il profilo dell’interessato, in modo da pensare per lui il percorso più adeguato.
Il primo ostacolo, inutile far finta di niente, è riuscire a ingaggiare i ragazzi, che molto difficilmente arrivano entusiasti per questa proposta e che si scontrano da subito con alcune regole. Tra queste, l’obbligo di depositare il cellulare per tutta la durata dell’attività, dalle 9 alle 13. «Spesso ci sono delle resistenze iniziali, mi è addirittura capitato che mi dicessero “Mi stai togliendo dieci anni di vita”. Per questo è importante che il primo giorno ci sia, ove possibile, un genitore, così da condividere in modo chiaro gli obiettivi, le regole e le modalità operative del percorso», dice Malchiodi.
Il secondo ostacolo, invece, è il primo impatto con la realtà che si trovano davanti. «È capitato che, dinanzi a una persona con disabilità, qualcuno dicesse: “Sono meravigliato dal fatto che riesca a fare questo gesto” anche se si trattava di una cosa banalissima. Insomma, tanti di questi ragazzi con la disabilità e la fragilità non sono mai entrati in contatto prima», osserva Perillo. Un passo alla volta però, si crea una familiarità con il contesto.
Vedevo le persone con disabilità un po’ come degli incapaci, per via dei limiti che la disabilità pone, ora le vedo in quanto persone. Venire qui ti cambia la mentalità, per questo lo consiglierei ai miei coetanei, anzi vorrei portarci tutta la mia classe
Alessia
«Il primo giorno è stato stra-imbarazzante», racconta infatti Alessia, anche questo nome di fantasia, che non è qui perché è stata sospesa ma perché sapeva del progetto e, vivendo un momento particolare a scuola, ha chiesto di partecipare. «Mi sentivo a disagio perché non essendo abituata a frequentare questi luoghi era come se non riuscissi a capirli. Piano piano ho cambiato prospettiva: se prima – lo ammetto – vedevo le persone con disabilità un po’ come degli incapaci, per via dei limiti che la disabilità pone, ora le vedo in quanto persone: ognuna con il suo mondo dietro, con il suo modo di comunicare e con i suoi tempi. Banalmente non mi innervosisco più se uno ci mette tanto a scrivere, a parlare o altro. Venire qui ti cambia la mentalità, per questo lo consiglierei ai miei coetanei, anzi vorrei portarci tutta la mia classe».

La quasi totalità dei ragazzi dà un riscontro di questo tipo. Un cambio di sguardo importante, che può arrivare anche solo nei pochi giorni in cui i ragazzi frequentano la Fondazione solo perché sono supportati da un team che sa toccare le corde giuste. «Spesso questi ragazzi non sono abituati a sentirsi valorizzati. Qui, invece, nessuno metterà l’accento sulle cose che “hanno sbagliato”, anzi verrà sempre sottolineato il loro merito, il loro progresso», spiegano Perillo e Malchiodi. Il fatto che le “schede di accompagnamento” che tornano dagli operatori alla scuola raccontino di ragazzi educatissimi e disponibilissimi laddove nella scheda di sospensione si parlava di soggetti indisciplinati e riottosi la dice lunga su quale effetto immediato possa avere l’inserire un ragazzo in contesti ricchi di senso e relazioni, in cui sentirsi prima di tutto guardati in modo diverso.
Questo articolo è stato pubblicato sul magazine di VITA dedicato agli adolescenti, Adolescenti, quello che non vediamo. Se hai un abbonamento, leggi subito qui (e grazie per il tuo sostegno!). Se vuoi abbonarti, clicca qui. Su VITA abbiamo affrontato i temi caldi del voto in condotta e della efficacia di un’attività sociale obbligatoria (che è altro dal service learning) anche in questi altri articoli:
– Voto in condotta, una legge nuova per una pedagogia vecchia, con Italo Fiorin
– Volontariato per chi è sospeso? Valditara sbaglia a farne una questione individuale, con Ivo Lizzola
– Il volontariato? Si impara a scuola
– La scuola della nostalgia che punisce senza educare, con Alex Corlazzoli
– Siamo un paese che non crede nell’istruzione di massa, con Elisabetta Nigris
In foto, il team di Fondazione Don Gnocchi che segue i ragazzi in sospensione scolastica che partecipano al progetto
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