Idee La lezione del Giubileo dei giovani

Non costruire un altro mondo ma altro per il mondo

Il sacerdote torinese, che era a Tor Vergata nel 2000, ragiona dei punti comuni e di quelli divergenti fra i due giubilei. E intravede la possibilità di un meticciato fra quei giovani e questi ma anche fra tutti gli uomini e le donne, credenti o meno che siano

di Luca Peyron

Luca Peyron (Torino, 1973) è un sacerdote torinese, a capo dell’Apostolato digitale dell’arcidiocesi. Insegna Teologia alla Cattolica di Milano. Saggista, l’ultimo suo libro, uscito per le edizioni San Paolo, si intitola Sconfinato.

Venticinque anni sono il tempo che separa due generazioni.

Il prato di Tor Vergata non è cambiato, la stessa erba cotta dal sole. I cori, le bandiere, i cartoni con il cibo, da Sodexo a Conad, gli idranti della protezione civile, i settori ed i maxi schermi. L’elicottero bianco che sorvola ed accarezza. Il vento, il ponentino di Roma che assomiglia a quello della Pentecoste.

La grande croce è davvero la stessa perché la croce resta mentre il mondo le gira attorno. Ci sono quelli che ci sono stati.

Non parlare di ciò che è accaduto ma di ciò che accadrà

Poi ci sono tutti gli altri. I genitori alla tv, le nonne che cercano di vedere il volto dei nipoti in una marea umana in calzoni corti e canottiera, cappellino da scambiare ed ombrellino a fiori. Quelli che ne scrivono, ma loro che ne sanno. Quelli che sono arrivati in auto e quelli che sono arrivati per le strade, le metro, i cavalcavia. È una narrazione che crea il mito, la setta, la confraternita di quelli che ci sono passati. Non vorrei scrivere di questo, anche se ci sono passato, ma di quello che potrebbe essere.

Luca Peyron al Giubileo del 2000

Nel duemila era il calendario a dirci che eravamo ad uno snodo della storia, oggi a 25 anni di distanza, è la tecnologia a dirci che siamo ad uno snodo della storia. I ventenni di allora, come me, ne uscirono con il desiderio autentico di essere sentinelle del mattino, di mettere fuoco in tutto il mondo. Qualcuno ci ha provato, qualcuno ci è riuscito, qualcuno già sul treno del ritorno si è scordato di quella fiamma lasciandola nell’erba di Tor Vergata. 25 anni, sono il tempo che intercorre tra due generazioni. Da oggi ci sono due generazioni di giovani di Tor Vergata. Quelli di Leone con la forza dei vent’anni, la trasparenza di questa generazione, gli ideali puliti ed universali di chi le guerre le vede live sul proprio telefono. Quelli di Giovanni Paolo II, con la densità esistenziale dei cinquant’anni. Le ferite, le cicatrici, la saggezza, l’esperienza. Ed il potere di fare quello che a venti non si può.  

Il prato di Tor Vergata può far sbocciare un meticciato di giovani di ieri e di oggi

Può il prato di Tor Vergata far sbocciare una nuova varietà vegetale, un meticciato di giovani di ieri e di oggi, con la profezia dei venti e la forza concreta dei cinquanta? Con la saggezza dei cinquanta e la vitalità dei venti? Un varietà vegetale che entri nel giorno, non più a guardia dell’alba, che renda il mondo la casa di tutti, non la chiesa di qualcuno? Fondati su Cristo: il vero Dio dei vent’anni confusi, il vero uomo dei cinquanta qualche volta disillusi?

Una varietà vegetale che può sapere di incenso ma anche di asfalto, che fiorisca a Pasqua, o semplicemente il venerdì santo. Animata da una fede o cresciuta semplicemente nella ricerca. Perché, come ricordano Giovanni Paolo e Leone abbiamo sete ed il mondo fatto di cose e di parole, non disseta mai. Né le minacce o le promesse, i poteri che promettono fettine di potere, il marketing della speranza a poco prezzo.

Che tu sia credente o meno, che tu sia un giovane di Tor Vergata o meno, i giovani di Tor Vergata possono essere la spinta a non sperare in un altro mondo, ma costruire insieme a loro altro per il mondo? Sotto la stessa luce, per molti sotto la stessa croce.

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