Mondo
Afghanistan, quattro anni dopo la fine della guerra il Paese è allo sbando
Il giorno di ferragosto saranno passati quattro anni da quando, nel 2021, le forze internazionali lasciarono il Paese in mano ai talebani. Emergency traccia un bilancio soffermandosi sulla crisi sociale, economica e sanitaria, tra povertà e violenze di ogni genere aggravate dal crescente disinteresse della comunità mondiale
di Redazione

Ancora quattro giorni e saranno passati quattro anni esatti da quando le forze internazionali hanno abbandonato l’Afghanistan e il nuovo governo talebano si è instaurato al potere. Dal 15 agosto 2021 ad oggi, il Paese ha visto precipitare la situazione, come sottolinea Emergency in una nota: «L’inasprirsi di una crisi economica profonda; l’impoverimento della popolazione tra la disoccupazione e il divieto di lavorare per le donne in quasi tutti i settori, tranne quello sanitario; il collasso del sistema salute, definanziato e depotenziato. Una situazione che non è destinata a migliorare alla luce del non riconoscimento internazionale dell’autorità de facto, della scelta nel corso del 2025 da parte dall’amministrazione Trump di tagliare i fondi all’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale – Usaid, e del crescente disinteresse della comunità internazionale. La pace in Afghanistan ha significato la fine della guerra, ma non delle sue conseguenze».

Negli ospedali e negli ambulatori di Emergency sparsi nel Paese i postumi di quarant’anni di guerre sono ancora evidenti. «Feriti da mine antiuomo, accoltellamenti e sparatorie, attentati continuano ad affollare i reparti dell’ospedale di Kabul; vittime di incidenti stradali hanno reso necessario cambiare i criteri di ammissione dei centri chirurgici di Lashkar-gah e di Anabah; donne incinte in condizioni sempre peggiori raggiungono il Centro di maternità nella Valle del Panshir anche insieme ai loro bambini, sempre più malnutriti», spiega ancora la nota.
«L’Afghanistan di oggi è la cartina tornasole di cosa resta dopo decenni di guerra: 22,9 milioni di persone, più di metà della popolazione con necessità di aiuti umanitari, infrastrutture danneggiate, accesso alle cure limitato, diritti compromessi», dichiara Dejan Panic, direttore del programma di Emergency in Afghanistan. «Ma nelle nuove generazioni di giovani medici e infermieri e nella formazione vediamo ancora una speranza per il futuro».

Nel suo ultimo report sull’accesso alle cure d’urgenza in Afghanistan (giugno 2025), Emergency ha denunciato ancora una volta il legame diretto tra collasso economico e peggioramento delle condizioni sanitarie. «Oltre il 70% della popolazione non ha accesso a cure gratuite o sostenibili», commenta la nota dell’organizzazione. «Tre afgani su cinque non possono pagare le cure e per ottenerle spesso si indebitano chiedendo denaro in prestito o vendendo i propri beni. Un afgano su quattro, invece, deve posticipare o annullare un intervento chirurgico perché non può pagarlo. Tanti sono i nuovi bisogni emersi a seguito della fine ostilità, dalle malattie non trasmissibili, tra cui malattie croniche che necessitano di lunghe terapie, alle patologie acute spesso trascurate per mancanza di mezzi economici e di trasporto. Le strutture di Emergency restano tra le poche a offrire assistenza gratuita e di qualità».

Intanto, nell’ospedale di Kabul il 50% dei pazienti sono ancora considerati vittime di guerra: arrivano al pronto soccorso con ferite da arma da fuoco, da taglio (la metà del totale dei feriti), da esplosioni o da mina. Violenza e criminalità sono conseguenze di una guerra che è terminata negli scontri ma ha lasciato armi in quantità, mine antiuomo disseminate soprattutto in aree remote, povertà.
«Vediamo vittime di rapine e aggressioni, liti famigliari, sparatorie», spiega Panic. «Tra i feriti da mine antiuomo, nel 2025, nei nostri Centri chirurgici di Kabul, Lashkar-gah e Anabah il 75% sono bambini che stavano solo giocando».
Il Centro chirurgico di Lashkar-gah è l’ospedale che accoglie il maggior numero di feriti a causa di traumi civili (circa l’80% dei pazienti ammessi), in particolare incidenti stradali causati dalla cattiva manutenzione delle strade e dell’aumentata mobilità quasi inesistente prima del 2021. Nel Centro di maternità di Anabah l’impatto delle limitazioni imposte alle donne da un punto di vista dell’istruzione, del lavoro e degli spostamenti è evidente nelle pazienti che raggiungono l’ospedale in gravi condizioni.
«Le donne spesso esitano a rivelare i propri problemi di salute, fino a quando la situazione non diventa grave e la preferenza o l’obbligo di essere trattate da personale medico femminile riduce ulteriormente le opzioni disponibili», racconta Keren Picucci, ginecologa del Cento di maternità ad Anabah. «Continuiamo a vedere mamme morire al parto perché non raggiungono l’ospedale in tempo o a causa di gravi complicanze che si sarebbero potute evitare. Molte donne incinte soffrono di carenze nutrizionali gravi che compromettono il buon esito della gravidanza e del parto».
La mancanza di reddito e di sicurezza alimentare ha causato l’aumento dei casi di malnutrizione. In quelli più critici, la malnutrizione materna e neonatale si traduce in neonati sottopeso, infezioni ricorrenti e difficoltà nello sviluppo psicofisico, con conseguenze a lungo termine. Nel 2025, il 20% dei bambini ammessi nei reparti del Centro pediatrico di Anabah sono malnutriti. Emergency continua a formare il personale sanitario locale, anche femminile. A oggi oltre il 97% dello staff medico, infermieristico e non sanitario impiegato nelle strutture Emergency è afgano. Il 23% è costituito da donne.
«Le nuove generazioni sono la nostra unica speranza concreta», conclude Panic. «Vogliamo continuare a formare giovani uomini e donne, capaci di prendersi cura del proprio Paese. Per fare ciò è fondamentale che tutti, donne comprese, possano tornare ad avere il proprio spazio nella società, e che la comunità internazionale non abbandoni l’Afghanistan, né definanziandolo né silenziandolo».
Credits: foto Laura Salvinelli e Carlotta Marrucci per Emergency
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