Transizione possibile

Europa, la retromarcia sulla sostenibilità non va in vacanza

Il governo ha recepito, sulla Gazzetta ufficiale del 9 agosto, le modifiche alle norme sulla rendicontazione. Tutto rinviato di due anni quindi. Ma c'è un risvolto positivo della faccenda: la trasparenza delle informazioni fornite dalle aziende agli stakeholder è un valore che supera le regole. Ne parliamo con Stella Gubelli di Altis Advisory, spin off della Cattolica di Milano

di Nicola Varcasia

Riassunto delle puntate precedenti. Appena un anno fa, in Italia era stata introdotta (con il decreto legislativo 125/2024)la nuova normativa europea sulla rendicontazione di sostenibilità: l’ormai famosa Csrd, corporate sustainability reporting directive. Si avviava così un nuovo corso, dopo un cammino iniziato con l’obbligo della rendicontazione non finanziaria per le grandi aziende quotate, che risale al 2017. Che cos’è successo dopo, lo ripercorriamo con Stella Gubelli, ad di Altis Advisory, spin off dell’Università Cattolica e docente nello stesso ateneo. L’occasione è molto utile per fare il punto su questi cambiamenti che da mesi VITA sta raccontando con il canale ProdurreBene.

L’Europa ha fermato le lancette dell’orologio…


Con lo stop the clock del decreto Omnibus, lo scorso aprile, la Commissione europea ha approvato il posticipo di due anni della stessa normativa che aveva elaborato nella legislazione precedente. Paradossale, ma è così. All’Italia non restava che recepire la nuova direttiva per non incorrere in sanzioni. Cosa che è accaduta con il decreto legge economia 95 del 2025, pubblicato il 9 agosto scorso in Gazzetta ufficiale. Con questo provvedimento è operativo il posticipo di due anni dell’obbligo di rendicontazione per le aziende soggette alle Csrd.

Quali sono?

Le grandi imprese e le Pmi quotate, ad eccezione delle micro.

Parliamo delle aziende sopra i 250 dipendenti?

In questo momento, l’unica certezza è il posticipo di due anni. A livello europeo, è tuttora in discussione la ridefinizione del perimetro di obbligo. La proposta del pacchetto Omnibus è di alzare l’obbligo alle imprese da mille dipendenti in poi. Si è deciso di fermare tutto anche per decidere l’ampiezza del provvedimento.

Al momento quale sarebbe l’obbligo?

Quello attuale include le aziende che soddisfano almeno due di questi tre criteri: superare i 250 dipendenti, i 50 milioni di fatturato e i 25 milioni di attivo di stato patrimoniale. Se passasse il principio dei mille dipendenti, l’80% delle aziende che oggi sono soggette alla Csrd, sarebbe esonerato dall’obbligo di trasparenza.

Stella Gubelli, Altis Advisory, Università Cattolica

Da esperta del settore, come la vede?

Sapere che c’è il punto fermo del rinvio di due anni è un dato positivo. L’Omnibus, infatti, ha creato una grande incertezza che ha convinto molte aziende a fermarsi. In questo modo, invece, le aziende potranno decidere come pianificare la propria transizione sostenibile. Ma la semplificazione per molti, probabilmente, sarà una deregolamentazione.

Che se ne sarà degli Esrs, ossia degli standard che l’ente Efrag aveva messo a punto per la rendicontazione?

Gli European sustainability reporting standard rimarranno per le aziende che saranno soggetto ad obbligo. Sono però, a loro volta, oggetto di una semplificazione. Su questo, vi è in atto una consultazione che si concluderà a settembre. Entro novembre è prevista la versione definitiva.

Parliamo di standard generali o di settore?

Gli standard di settore non esisteranno più. La Commissione europea li aveva promessi, ma non andrà avanti. Gli standard generali saranno semplificati nella parte qualitativa, quella che riguarda le informazioni descrittive sui sistemi di gestione e sull’approccio manageriale. Questa è una buona cosa perché alleggerirà il lavoro delle aziende. La parte quantitativa e l’approccio della doppia materialità non dovrebbero essere messi in discussione. Quindi l’impianto metodologico rimane il medesimo ed è una buona notizia.

Per le aziende che saranno fuori dalla Csrd ci saranno strumenti di rendicontazione europei?

La Commissione ha messo a punto lo strumento di rendicontazione volontario dei Vsme Voluntary sustainability reporting standard. Sono standard volontari molto semplificati che l’Europa offre alle – a questo punto tante – aziende che, pur fuori dall’obbligo, intendono comunque avviare un’operazione di trasparenza. Sono interessanti perché delimitano le informazioni che l’azienda oggetto di obbligo può chiedere alle altre con cui si relaziona.

In che senso?

Un’azienda obbligata alla rendicontazione dovrà chiedere necessariamente delle informazioni ai fornitori circa la gestione della sostenibilità. La Commissione europea delimita il campo delle informazioni che possono essere richieste a quello stabilito con il framework degli standard volontari.

Sembra una tutela per le piccole, è così?

Solo formalmente, perché gli standard volontari hanno un difetto enorme: perdono la logica della materialità, che è il principio fondamentale di rendicontazione della sostenibilità.

In che cosa consiste?

Con l’analisi di materialità l’azienda è chiamata a rendicontare espressamente negli ambiti su cui genera e subisce i maggiori impatti. Con i Vmse, invece, l’azienda potrà limitarsi a fornire un set di informazioni da rendicontare molto semplificato, il che non la aiuterà a valutare quali sono gli impatti che genera all’esterno – rispetto alla dimensione sociale e ambientale – e quali gli impatti che subisce. Possiamo considerarli un punto di partenza, non di arrivo. Anche se un aspetto positivo c’è.

Quale?

I Vmse favoriscono il dialogo con l’interlocutore bancario, in proposito si parla di interoperabilità con i framework del mondo bancario. Quindi per questo sono molto consigliati.

Ma perché è importante che un’azienda rendiconti sui temi della sostenibilità? Qual è il vantaggio?

Negli ultimi dieci anni, a spingere le aziende verso la rendicontazione è stata prevalentemente la pressione normativa. Dal 2014, infatti, a livello europeo si è attribuita proprio alle aziende la responsabilità della transizione sostenibile. Oggi, invece, le imprese hanno l’opportunità di costruire dei percorsi di sostenibilità fatti su misura delle proprie esigenze, che le aiutino a innovare i processi produttivi e i servizi offerti per creare valore. Il venir meno della pressione normativa – che comunque non scompare – crea uno spazio nuovo.

In che cosa consiste questo spazio?

La trasparenza resta un valore decisivo per l’impresa nel rapporto con gli stakeholder. Ci sono ancora gli operatori del mondo della finanza, nel mondo bancario, i clienti, i grandi committenti che chiedono all’azienda informazioni sulla sostenibilità.

Quindi il fatto che ci sia un rallentamento o un’incertezza normativa non abbatte tutte le spinte per un’economia più sostenibile?

La marcia indietro dell’Europa, sia pure con il nobile motivo della semplificazione, è stata un’occasione persa. Però stiamo vedendo dei segnali positivi con le aziende che già avevano avviato dei percorsi di cambiamento seri. A seguito delle variazioni in corso non stanno tirando i remi in barca, ma stanno cogliendo l’occasione per rivedere i percorsi e personalizzarli.

Nella foto di apertura, di AP Photo/Geert Vanden Wijngaert/Lapresse, la presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen.

Nessuno ti regala niente, noi sì

Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.