Testimoni

Vi faccio entrare nelle scuole segrete delle donne afghane

di Cristina Giudici

A quattro anni dal ritorno dei Talebani a Kabul abbiamo incontrato una delle dirigenti del movimento Revolutionary Association of the Women of Afghanistan. Viaggio dentro un'esperienza straordinaria di resistenza tutta al femminile

Abbiamo cominciato dall’allarmante aumento dei matrimoni forzati e precoci di bambine che vengono date in spose per fame, per costrizione, per l’illusione di metterle al sicuro, e concluso con un’inaspettata nota di speranza perché Mariam – la chiameremo così perché non può rivelare la sua identità – ci ha ricordato più volte che per quanto la notte possa essere buia, l’alba arriva sempre. La lunga conversazione avvenuta in videocall con una delle dirigenti del movimento Revolutionary Association of the Women of Afghanistan, Rawa, fondata nel 1977 da Meena Keshwar Kamal poi uccisa nel 1987 in Pakistan che opera in clandestinità sin dall’occupazione sovietica dell’Afghanistan è avvenuta grazie alle sue straordinarie supporter italiane dell’organizzazione italiana  Cisda, ( coordinamento italiano sostegno donne afghane onlus) che hanno fatto da ponte per un incontro a distanza. 

Il 30 agosto in Afghanistan nelle menti di molti ci sarà anche l’angoscioso ricordo della mezzanotte del 2021, quando gli ultimi soldati americani hanno voltato definitivamente le spalle agli afgani dopo un’altra fallimentare operazione per esportare la democrazia anche se l’evacuazione è cominciata il 15 agosto dopo l’arrivo del Talebani nella capitale. 

Davanti al nuovo anniversario, il quarto da quando i Talebani sono entrati anche a Kabul e hanno ripreso il potere dopo 20 anni, Mariam ci racconta cosa è successo nel frattempo. «Penso che la maggioranza delle donne afgane ora siano focalizzate su tutti i modi segreti per resistere e questo può accadere solo se riusciamo ad aumentare la loro consapevolezza attraverso l’istruzione e l’educazione», racconta a VITA per spiegare i progetti di Rawa mirati all’istruzione e scuole segrete per ragazze, assistenza medica, formazione professionale, informazione, sostegno alimentare. «E questa è stata la ragione per cui, negli ultimi quattro anni, abbiamo cercato di organizzare più corsi segreti nelle case, anche in inglese, di informatica o di scienze: sia per le ragazze che non possono andare a scuola sia per le più anziane abbiamo cercato di mobilitare un numero maggiore di donne per dare maggiore consapevolezza e coraggio alle nuove generazioni affinché possano resistere contro i Talebani». Ispirate dalla resistenza delle iraniane che le hanno incoraggiate a capire che il fondamentalismo religioso non può silenziare le donne, sebbene il procuratore della Corte penale internazionale, Karim Khan, abbia annunciato di aver richiesto due mandati d’arresto per il leader supremo dei Talebani, Haibatullah Akhundzada, e il presidente della Corte Suprema afghana, Abdul Hakim Haqqani, accusati di crimini contro l’umanità per persecuzione di genere.

 «Attraverso l’uso dei social media, dei corsi segreti e delle opportunità educative, le donne stanno cercando di mobilitarsi contro i Talebani e, in particolare, contro la polizia religiosa», spiega con una voce ferma e al contempo calorosa. E per sottolineare la scelta politica del movimento femminista di Rawa di operare in clandestinità, sottolinea: «Da documenti di WikiLeaks è emerso che più donne e più figure femminili avrebbero dovuto essere promosse e presentate alla società, in modo che i media mondiali e l’intera comunità internazionale potesse accettare e giustificare la guerra americana in Afghanistan. In pratica, abbiamo visto che era una menzogna perché ogni manifestazione o protesta per far sentire la nostra voce è stata repressa, le attiviste incarcerate e uccise. Per questo motivo ora, come la maggior parte delle donne afghane, ci stiamo concentrando su metodi segreti di resistenza e il nostro lavoro è molto apprezzato».

Per non farsi scoprire, le attiviste di Rawa cambiano spesso casa, non si fanno mai riprendere in volto, non usano le loro automobili, documenti e cellulari, non si conoscono fra di loro, usano nomi falsi e contano su una rete affidabile di persone a cui, soprattutto nei villaggi, hanno portato la speranza. Inoltre organizzano classi che non siano numerose, soprattutto nelle province più sorvegliate dai Talebani. Le classi si tengono nelle case private grazie a una rete di insegnanti e studentesse unite dalla stessa consapevolezza. «Recentemente una delle ragazze, a causa delle pressioni della famiglia, non poteva frequentare le lezioni, a Kabul perché suo fratello non glielo impediva. Cosi hanno deciso di provare a convincerlo e ci sono riuscite», racconta Mariam per spiegarci l’importanza dei piccoli progressi quotidiani conquistati sotto il regime dell’Emirato islamico dell’Afghanistan. Un esempio concreto di come i legami femminili possono funzionare anche sotto il regime spietato dei Talebani e di come molte famiglie credano nell’istruzione. «Il numero medio di partecipanti alle classi è di 15-20 allieve in tutte le province del Paese. Ma in alcune zone ci sono anche 60 donne che chiedono di partecipare. E purtroppo, per motivi di sicurezza, non possono permetterglielo».

Mariam non mostra il volto anche se si intuisce che dall’altra parte dello schermo, in Afghanistan, lei scuote la testa perché vorrebbe poter fare di più ma le leggi di chi opera in clandestinità per far crescere nuove generazioni istruite all’ombra dei talebani sono molto rigide. «Dobbiamo creare più classi in regioni diverse. Non possiamo nemmeno scegliere due o tre case molto vicine, perché se succede qualcosa durante una delle nostre lezioni, la classe potrebbe essere spostata velocemente in un’altra casa. Inoltre ricorriamo ai corsi di cucito, quelli sì permessi, e abbiamo sempre un Corano a portata di mano in caso di un controllo», racconta. Le lezioni durano una/due ore, cinque giorni alla settimana. Si tratta del momento più felice per le donne perché le classi non si limitano a fornire lezioni di alfabetismo e matematica, ma anche a dare loro l’opportunità di essere ascoltate, di parlare della propria sofferenza, di confidare le discriminazioni o la violenza che subiscono all’interno della famiglia.

«Una delle nostre studentesse avrebbe dovuto sposarsi ma lei voleva continuare le sue lezioni, perciò l’insegnante è andata a parlare con i membri maschi della famiglia per spiegare che non era pronta il matrimonio. E per fortuna, hanno accettato. Posso raccontare tanti piccoli successi e miglioramenti nella vita quotidiana delle donne che ci danno molto coraggio ad andare avanti», ci dice.

Purtroppo però è difficile sperare in un cambiamento radicale e repentino perché, afferma Mariam, anche se l’unico Paese ad aver riconosciuto ufficialmente il governo dei Talebani è la Russia, è risaputo che il governo talebano si sostiene con gli aiuti dei Paesi occidentali donatori, gli Stati Uniti in particolare, oltre a potenze regionali mentre il Pakistan svolge il ruolo da guardiano. «Il governo è solo un’entità parastatale e all’interno di chi guida il governo ci sono diverse fazioni che non pensano a guidare il Paese ma a dividersi le ricchezze delle diverse Regioni: miniere, droga, risorse, armi da contrabbandare. Sono questi i loro strumenti di potere. Ed è così che si sono mantenuti al potere, è così che funzionari, leader, comandanti si sono trasformati in potenti figure politiche, dotate anche di notevole forza finanziaria e di numerose fonti di ricchezza. Ed è così che possono continuare a commettere crimini di guerra, rapire le giovani, costringerle a matrimoni forzati. Crimini che appaiono sui nostri social media e ignorati dall’Occidente. Grazie all’avidità e alla capillare corruzione». Morale, a quattro anni dal loro ritorno al potere, non governano: l’unica cosa che sanno fare è acuire la repressione nei confronti del popolo, accanendosi soprattutto contro le donne con estorsioni, tasse e “oboli” al popolo grazie alla creazione di una cleptocrazia. Con un tasso di corruzione che non c’era nella prima generazione dei talebani. La gran parte degli aiuti che arrivano nel Paese vengono intercettati dai Talebani e trattenuti per il sostegno diretto dell’apparato statale, alimentare consenso e fedeltà dei funzionari che amministrano, mantengono e sostengono il regime ai vari livelli e nelle regioni più remote. Risultato: secondo l’Onu l’84% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. 

Chiediamo a Mariam, come sia possibile, dopo tanti anni di lavoro clandestino, trovare nuove generazioni che raccolgano il loro testimone. Lei esprime preoccupazione per la sicurezza della figlia adolescente e poi spiega: «Non esiste un trucco né una bacchetta magica, ma riusciamo a tramandare i valori per i diritti fondamentali delle donne, l’uguaglianza, la giustizia sociale. Certo, se il fondamentalismo non esistesse in Afghanistan, se l’instabilità, il caos politico, la guerra fra fazioni e il conflitto militare (principalmente con ISIS-K che commise l’attentato suicida del 26 agosto 2021 all’aeroporto di Kabul, ndr) non esistessero in Afghanistan, la situazione potrebbe essere diversa perché tutta la nazione desidera il miglioramento degli standard di vita e gradualmente queste cose accadono», sostiene con un ottimismo difficile da comprendere da questa parte del video attraverso il quale parliamo. «Per questa ragione, quando le persone, le giovani generazioni ci guardano, si rendono conto che stiamo andando nella giusta direzione e apprezzano il nostro impegno. Inoltre per cultura e tradizione in Afghanistan, il legame familiare e comunitario è molto forte. Perciò cerchiamo di coinvolgere i nostri parenti e naturalmente insegniamo ai nostri figli, alle nostre figlie, ai nostri familiari, i diritti, l’uguaglianza e i valori per cui lottiamo. Ed è così che si costruisce una rete che opera segretamente, dal basso».

Dopo quattro anni dal ritorno dei talebani, Mariam guarda avanti e dice: «Sono tempi difficili per noi, per la nostra nazione, ma guardiamo alla storia del mondo: la tirannia non può durare per sempre. Il nostro motto principale è democrazia, laicità e giustizia sociale. Crediamo che solo un sistema democratico e laico possa garantire la giustizia sociale, l’uguaglianza di genere e la prosperità, la pace e l’indipendenza del nostro Paese». La  fede in un futuro migliore di Mariam e di Rawa sembra incrollabile. Infatti alla fine della nostra conversazione ci dice: «Vogliamo l’uguaglianza per tutte le etnie, tutte le regioni, tutte le religioni presenti in Afghanistan. E naturalmente l’uguaglianza di genere, la democrazia, la libertà di espressione e molti altri valori che dovrebbero esistere in una società moderna. E non vivere in un sistema feudale dominato dagli uomini». 

Non è sempre stato facile, ammette, perché molti dei loro sostenitori, quando i Talebani hanno ripreso il potere nel 2021, molti giovani che lavoravano con Rawa – medici, ingegneri, persone istruite, docenti universitari – sono fuggiti. «Questo non significa che l’intera popolazione, l’intera nazione afghana, volesse andarsene (o dovesse, ndr) perché tanti dicono: questa è la nostra patria. Questo è ciò che abbiamo. Ovvio, ci sono ragioni finanziarie, la forza brutale dei talebani, l’oscurità, la pressione che soprattutto le giovani devono affrontare. Non possiamo ignorare questo fatto, ma non significa che sarà così per sempre». Perché qualcuno dovrà restare per creare il cambiamento. E lei, a quattro anni dal ritorno dei Talebani, le esecuzioni, le atrocità, le barbarie, vede anche crescere un profondo desiderio di cambiamento.

Convinta che le giovani generazioni, con l’istruzione, la consapevolezza, vedranno e cercheranno la luce per il futuro perché sta accadendo un po’ ovunque. Mariam ha conosciuto persino donne anziane che vivono nelle grotte e vogliono imparare a leggere e a scrivere. E ci deve essere qualcuno, o meglio qualcuna, pronta ad insegnare. Soprattutto ora che si creano le competenze segrete per accedere alle università online all’estero, come sua figlia che sta completando la sua educazione con corsi digitali, «così come molte delle nostre ragazze hanno avuto l’opportunità di istruirsi grazie al web».

Verso la fine del collegamento, la presidente del Cisda Graziella Mascheroni e Gabriella Gagliardo del direttivo, parlano con Mariam di progetti che si stanno promuovendo o si potrebbero potenziare, grazie alle borse di studio che arrivano dalle università, anche dall’India. E di come le nuove tecnologie possono servire al loro progetto di fornire clandestinamente istruzione e strumenti di emancipazione. «Perciò stiamo cercando di fornire più corsi di inglese alle allieve perché possano frequentare le università in seguito. Alcune delle nostre ragazze lo stanno già facendo». E poi, come ci ripete più volte, dopo la notte sorge sempre l’alba. 

Credit foto: Revolutionary Association of the Women of Afghanistan

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