Idee Bioetica
Cina, robot dotato di utero artificiale? Un’inarrestabile misoginia tecnologica
«Un articolo del Daily Mail ci informa del fatto che una company cinese starebbe realizzando un prototipo di un robot umanoide di forma femminile dotato di utero artificiale, in modo da non aver neppure più bisogno di una donna in carne e ossa per realizzare una maternità surrogata», scrive Alessio Musio, professore ordinario di filosofia morale e bioetica presso la facoltà di scienze della formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. «Il progetto non è terapeutico, ma antropologico, e va nel segno di una rivoluzione che consiste nel puro fatto del non nascere più da una donna»

Un articolo del Daily Mail, Would YOU use a robot surrogate? China develops the world’s first ‘pregnancy humanoid’ that’s capable of giving birth to a live baby, ci informa del fatto che una company cinese starebbe realizzando un prototipo di un robot umanoide di forma femminile dotato di utero artificiale, in modo da non aver neppure più bisogno di una donna in carne e ossa per realizzare una maternità surrogata.
L’articolo informa sui tempi di realizzazione, sulle prospettive di mercato, assicurando che il progetto è portato avanti a fronte di una discussione delle sue implicazioni etiche e antropologiche. Proviamo allora a sviluppare qualche considerazione di questo tipo a proposito di un progetto che non si contenta più di immaginare soltanto la realizzazione di un “utero artificiale” ma immagina di poterlo impiantare in un robot.
La prima considerazione è che questo progetto si pone come una indiretta conferma di ciò che la letteratura bioetica sul tema già esplicitamente afferma: il senso dell’utero artificiale prescinde da ogni analogia con le incubatrici che vengono abitualmente usate in neonatologia come misure salva-vita. Il progetto non è terapeutico, ma antropologico, e va nel segno di una rivoluzione che consiste nel puro fatto del non nascere più da una donna. Diversi scritti di bioetica hanno da anni fatto ricorso a proposito di questi temi all’immagine della “macchina materna”. Ne discutevamo come se si trattasse di una metafora mentre era un progetto per la realizzazione di una fonte della vita umana priva di corpo e di vita emotiva, nei fatti pensata per essere totalmente docile e a disposizione dei comandi di soggetti che conservano invece il privilegio di poter essere costituiti nella loro corporeità. Soggetti di sesso maschile, è lecito perlopiù immaginarsi.
Per quanto sia impopolare dirlo forse ha senso osservare che i tratti dominanti dell’ideologia biotech a favore del mercato della maternità surrogata si trovano qui tutti confermati, a cominciare dalla sostituzione della generazione con una mera prestazione che si dovrebbe accettare di realizzare cercando di silenziare quanto nell’esperienza della gravidanza resta di personale, cui fa da contraltare da parte dell’industria della surrogacy e dei suoi committenti il fastidio per i possibili ripensamenti che l’esperienza corporea del divenire-madre comunque porta con sé. Non sono pochi, infatti, i casi di donne che decidono alla fine del percorso della maternità surrogata di tenersi il figlio che hanno portato in grembo e partorito.
Ed eccoci alla notizia di questo progetto che ci sta davanti come ulteriore fase di un’inarrestabile misoginia tecnologica nemica dei corpi che appare da anni ormai innestata nel processo di sostituzione della generazione in produzione. Mentre riflettiamo, in attesa di vedere le ricadute di questo progetto in termini di mercato, ci consola il pensiero che l’intero progetto nella sua totalità sia al momento impossibile perché a far fallire l’eterogenesi (si chiama così quel che resterebbe della generazione nel caso dell’utero artificiale) è l’incapacità bio-ingegneristica di realizzare la placenta, simbolo non solo della relazione mamma-bambino ma dell’importanza del corpo e delle relazioni per le persone umane. Ironia della sorte, l’articolo è apparso sul tabloid inglese il 15 agosto: il giorno in cui i cattolici celebrano l’Assunzione di Maria, per preservarne il corpo dalla corruzione, mentre qui è la soggettività corporea femminile a voler essere messa fuori scena nel caso della generazione.
Credit foto Unsplash
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