Migranti
“Il bene e il mare”, il talk (e il rap) di Kento sui salvataggi
Il rapper e scrittore calabrese dà voce a chi attraversa il Mediterraneo in cerca di futuro. Dopo la missione di novembre a bordo dell’Ocean Viking, escono il rap “Nostra signora delle lacrime” e il talk con la community “Tedex”. E a novembre in teatro un racconto sul carcere minorile. «Il rap è uno strumento rivoluzionario, che dovremmo usare di più per svegliare le menti e la politica di fronte alle ingiustizie», racconta l'artista

«Com’è possibile credere alla bugia che se questo mare è nostro questa gente non lo sia?». Si chiude così l’ultimo rap di Kento, pubblicato in piena estate e dedicato alla sua recente missione a bordo dell’Oceano Viking. Un’esperienza «emozionale fortissima», così la ricorda, che è diventata una canzone a luglio e ora anche un talk, diffuso due giorni fa tramite la community Tedex.
“Nostra signora delle lacrime” è il titolo del rap; “Il bene e il mare” si intitola invece il monologo. La prima condensa, in poco più di tre minuti, le emozioni e le immagini di quei giorni a bordo della nava da salvataggio, che ha il compito – e per qualcuno la “colpa” – di salvare vite in mare e portarle in salvo, mentre cercano di raggiungere le coste europee. Il secondo sviluppa, in 17 minuti, quello che in un rap non poteva entrare: è un racconto più dettagliato, con l’artista sul palco a raccontare, con le parole ma stavolta senza musica né rime, i giorni dell’addestramento e poi della missione, l’arrivo delle motovedette «made in Italy» e il salvataggio di quasi 50 ragazzi (48 per l’esattezza), che ancora giovanissimi hanno sfidato il mare e le rigide regole di quell’Europa che «è una parola vuota, buona per gli slogan finché ferma le persone e non i container di coca», rima Kento nel suo rap.
Oggi, a pochi giorni dall’ultimo, drammatico naufragio di questa stagione favorevole alle partenze, Kento torna ad accendere i riflettori e i microfoni su un tema che divide gli animi e la politica, mentre il Mediterraneo si popola di vittime spesso giovanissime di quel mare a cui avevano affidato le loro speranze e le loro vite. Il talk, appena diffuso sulla piattaforma Tedex, ricorda i momenti più spaventosi, ma anche quelli più belli, di quella missione alla quale, a novembre scorso, Kento ha preso parte. «La motovedetta libica corre verso di noi alla massima velocità, il rumore dei motori si fa sempre più forte, più minaccioso», racconta il testo. «I miliziani sono già molto più vicini e allora mi ricordo l’addestramento: non gesticolare verso di loro, non prenderli in giro né alzare la voce, non filmarli né fotografare assolutamente, non guardarli nemmeno. Non fare nulla che possa essere interpretato nemmeno per sbaglio con una provocazione. Quindi abbasso lo sguardo e scambio due battute con i miei compagni, a bordo del gommone di salvataggio. Mi viene quasi da sorridere, pensando che siamo per essere intercettati da una delle imbarcazioni che l’Italia ha fornito alla Libia nell’ottica degli accordi bilaterali: made in Italy, regalata ai libici e ora puntata dritta, a tutta forza verso di me, che manco la posso guardare». La scena continua con «uno scintillio. Mi viene istintivo alzare gli occhi e vedo due cose: la prima è il numero 600 sul numero della fiancata. Non è una buona notizia, è la stessa che nella primavera 2021 ha sparato addosso a un pescatore siciliano. La seconda è il motivo dello scintillio: le lunghe canne delle mitragliatrici puntate verso di noi».
La storia, per fortuna, ha un lieto fine: il salvataggio riesce, i naufraghi sono portati in salvo e a bordo dell’Ocean Viking si improvvisa un concerto, in cui anche chi ha rischiato la vita prende il microfono e quella vita la celebra, con la musica e le canzoni.
Kento, tu porti il rap nelle carceri minorili e a bordo delle navi da salvataggio: ti definisci un artista militante?
A me le etichette non piacciono, ma da sempre ho la convinzione che musica, poesia e letteratura possano aiutare a vegliare la mente delle persone. Soprattutto il rap credo che svolga egregiamente due compiti: raccontare la realtà, anche la più dura, con una sensibilità e una vicinanza maggiore rispetto ad altre forme di narrazione: un conto è leggere i numeri e le cronache, diverso è ascoltare un racconto, magari in musica e rima. Il secondo compito del rap, che poi è anche la magia della musica, è quello di ispirare un comportamento, far nascere qualcosa. Pochi mezzi di comunicazione sono efficaci quanto la musica e pochi generi musicali sono efficaci quanto il rap. Se questa è militanza allora sì, sono un artista militante. E credo che, con questo mezzo straordinario e rivoluzionario che abbiamo a disposizione, noi musicisti potremmo e dovremmo fare molto di più per trasformare la società.
Anche il talk però è un linguaggio a cui ti stai rivolgendo sempre più spesso, per affrontare temi sociali come il carcere o le migrazioni. Pensi che le persone abbiano la capacità e la disponibilità ad ascoltare un monologo per più di qualche minuto?
Sì, l’ho scoperto con il podcast “Illegale”, che ho pubblicato nel 2023 e che ha ricevuto una grande risposta. Credo che il podcast abbia cambiato in modo positivo il nostro modo di fare comunicazione: abbiamo ripreso l’abitudine all’ascolto, mi sono reso conto che le persone hanno voglia di sedersi e fermarsi a sentire. Per questo mi sono avvicinato al talk e alla community Tedex, questo è il terzo che pubblico con loro e stanno andando tutti molto bene, superando le centinaia di migliaia di visualizzazioni. L’abitudine a stare sul palco mi è di grande aiuto, ma anche il lavoro di squadra è fondamentale e mi sta aiutando a costruire qualcosa di nuovo: una narrazione “lunga”, seppure snella e accessibile, su temi che mi stanno a cuore e di cui vorrei che si parlasse di più, come il carcere minorile e le migrazioni. E poi il talk mi permette di ritrovare la gioia e l’emozione di trovarmi le persone davanti, che nell’epoca delle connessioni virtuali è un’esperienza impagabile.
Il rap “Nostra signora delle lacrime” e il talk “Il bene e il mare” fanno riferimento entrambi a quella missione di novembre, a bordo dell’Ocean Viking. Perché due strumenti diversi per raccontare la stessa esperienza?
La canzone è stata scritta a bordo e il videoclip racconta visivamente la missione e il salvataggio, tutte le immagini sono autentiche, non c’è niente di ricostruito. È un racconto emozionale, che vuole portare chi ascolta a domandarsi come sia possibile credere a quella “bugia” che chiude il testo. È un grido di dolore verso la politica nazionale ed europea, che pone limiti sempre più intollerabili a quello che dovrebbe essere il primo obbligo morale: il salvataggio degli esseri umani.
Nel talk sviluppo il tema e racconto in più di 15 minuti quello che non potevo dire in tre minuti: il faccia a faccia con le vedette, il clima a bordo della nave, le confidenze con i compagni, fino al salvataggio dei ragazzi e al concerto per loro e insieme a loro. Il talk si è tenuto a Reggio Calabria, a pochissime miglia nautiche da dove si è svolto il salvataggio. Anche ora, mentre parliamo, sono qui, su una spiaggia calabrese del Mediterraneo. La mia città, Reggio Calabria, è nata grazie a genti che venivano dal mare e quel mare hanno attraversato per cercare un futuro. Per me è impossibile non sentire vicino chi oggi affronta un viaggio tanto simile. Per noi popoli del mare, il Mediterraneo è sempre stato un luogo d’incontro e comunicazione, non una barriera.
Che legame esiste – se esiste – tra il carcere minorile e le migrazioni, cioè tra i due temi sociali che maggiormente ti impegnano?
Alcuni dei ragazzi che incontro in carcere hanno affrontato quel viaggio e scontano ora accuse ridicole per traffico di essere umani. Ma sono vittime di chi ha messo in mano loro il timone nel momento più drammatico della traversata, o di altre minacce possibili in quella situazione. Quello che accomuna i ragazzi dentro e quelli fuori è che tutti hanno bisogno di opportunità. E la musica è una di queste opportunità: quando consegno nelle loro mani il microfono, do loro un arma pacifica di espressione, introspezione, ricerca. E tanti riescono a usarlo molto bene, soprattutto quelli che sembrano chiusi, ma che con un microfono in mano, o anche solo con carta e penna, riescono a tirar fuori il loro mondo.
I prossimi progetti?
Portare in giro questi lavori, insieme a Sos Mediterranee. E poi da novembre porterò in teatro una racconto sul carcere minorile, con cui debutterò a Milano e a Roma.
I viaggi, gli sbarchi e le vittime
Sulla base dei dati registrati dal Viminale (nel “Cruscotto statistico giornaliero”) al 1° gennaio al 21 agosto 2025 sono sbarcate in Italia 39.878 persone: oltre 1.500 in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (38.191). Di questi, 6.985 sono minori stranieri non accompagnati (nel 2024 erano 8.752, ma il dato in quel caso è aggiornato al 31 dicembre, mentre per l’anno in corso si ferma al 18 agosto) Durante il mese corrente, si è registrato un picco di 435 sbarchi lo scorso 19 agosto. Secondo l’ultimo aggiornamento dell’Unhcr (basato sui dati del progetto Missing Migrants dell’Oim), 947 sono le persone morte e disperse nel Mediterraneo nei primi sette mesi del 2025 (rotta dell’Africa nord-occidentale esclusa) di cui 662 avvenuti lungo la rotta Centrale (70%). Lo scorso anno nello stesso periodo, le vittime erano state 1.480 di cui 1.032 avvenute lungo la rotta Centrale.
Da gennaio a luglio 2025, il 17% delle persone sono state salvate da operazioni di soccorso di ong nel Mediterraneo, in leggera diminuzione rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (21%).
L’immagine di apertura è tratta dal videoclip della canzone “Nostra signora delle lacrime”
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