Idee Welfare
Anziani e non autosufficienti sempre più soli: serve una presa in carico “di quartiere”
L’obiettivo deve essere quello di creare micro-comunità che sostituiscano i vecchi “campanelli d’allarme naturali” delle bocciofile e dei circoli, luoghi dove un’assenza improvvisa veniva subito notata. Oggi e domani quegli spazi sociali spontanei saranno sempre meno, ed è qui che serve immaginare un modello di comunità strutturato: fatto di volontari, welfare manager, servizi di prossimità e reti di contatto che tengano viva la relazione con i cittadini

In Italia viviamo più a lungo che altrove, ma non sempre meglio. Oggi quasi un cittadino su quattro ha più di 65 anni. Nel 2050 sarà uno su tre. Intanto la popolazione cala e la fascia in età lavorativa si restringe. Un quadro che non è solo demografico, ma sociale: quasi tre anziani su dieci vivono soli, e nel 2043 saranno oltre sei milioni. La solitudine non è un dettaglio. La scienza ci dice che aumenta del 50% il rischio di demenza, del 30% la mortalità precoce, e che i suoi effetti sono paragonabili al fumo di 15 sigarette al giorno. E le cronache raccontano storie sempre più frequenti di anziani trovati morti dopo giorni, senza che nessuno se ne fosse accorto. Un campanello d’allarme che dice molto sullo stato delle nostre comunità.
A complicare il quadro c’è la fragilità dei servizi. Oltre 5 milioni di over 60 vivono soli, ma solo l’8,5% ha una badante e meno del 10% riceve assistenza domiciliare pubblica. Significa milioni di persone senza reti quotidiane di sostegno, esposte a fragilità crescenti.
Per invertire la rotta, serve ripensare i quartieri. Non più solo palazzi e appartamenti, ma comunità che integrano abitazioni e servizi. Tre idee possono fare la differenza.
La prima è la mutua sanitaria integrata: includere in ogni contratto di affitto o vendita una copertura sanitaria di base, utile non solo per curare, ma soprattutto per prevenire, con check-up periodici e teleassistenza.
La seconda è lo studio medico di prossimità, uno spazio interno agli agglomerati abitativi che offra visite, controlli e vaccinazioni, evitando corse al pronto soccorso e intercettando fragilità prima che degenerino.
La terza è il welfare manager di condominio, una figura nuova, capace di orientare i residenti tra sanità e sociale, leggere i segnali di isolamento e attivare risorse prima che diventino emergenze.
Accanto a queste idee, c’è il ruolo del Terzo settore. Sempre di più, infatti, le associazioni stanno attivando servizi di prossimità: dalle semplici telefonate di compagnia agli anziani, fino al sostegno nell’accesso a bonus e informazioni pratiche. La Cpd (Consulta per le Persone in Difficoltà) ad esempio, porta avanti da anni un servizio di chiamate agli over 65, cresciuto molto durante il Covid. E da quest’anno, con il supporto dei volontari, è partita anche la linea amica di Enel dedicata agli anziani. Sono volontari formati che non solo tengono compagnia, ma sanno anche orientare sulle opportunità disponibili. Sono segnali positivi, ma ancora isolati: il vero salto sarebbe mettere a sistema queste esperienze, costruendo una rete stabile tra pubblico, privato e privato sociale.
L’obiettivo deve essere quello di creare micro-comunità che sostituiscano i vecchi “campanelli d’allarme naturali” delle bocciofile e dei circoli, luoghi dove un’assenza improvvisa veniva subito notata. Oggi e domani quegli spazi sociali spontanei saranno sempre meno, ed è qui che serve immaginare un modello di comunità strutturato: fatto di volontari, welfare manager, servizi di prossimità e reti di contatto che tengano viva la relazione con i cittadini.
L’anziano di domani non sarà più quello che passa i pomeriggi alla bocciofila. Sarà più chiuso nella sua casa, con abitudini diverse e meno reti naturali di vicinato. Ecco perché bisogna creare nuovi stimoli e strumenti organizzati. Perché se ieri bastava che al bar ci si accorgesse dell’assenza di quel signore per attivare una rete di aiuto, domani questi sensori spontanei rischiano di sparire. Pensare città che invecchiano significa allora immaginare quartieri che proteggono e prevengono, dove l’invecchiamento non è un peso ma una fase della vita sostenuta da relazioni, servizi e dignità.
Foto di Philippe Leone su Unsplash
L’autore di questo articolo è il direttore dell’organizzazione di volontariato “Consulta per le Persone in Difficoltà” (Cdp)
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