Idee Scenari

Gaza e Ucraina: le paci “ingiuste” non interromperanno la carneficina

Il nuovo mondo, se dovesse arrivare una pace ingiusta di Ucraina,  e nel perdurare delle pratiche di genocidio condotte da Netanyahu, dovrà ripartire dalla consistenza di queste due sconfitte, più che dalla banalità del male dei tiranni. Se gli eserciti democratici ed il diritto internazionale non tutelano più i popoli oppressi, la sfida più grande e più immediata si sposta tutta sui “popoli”, sulla loro capacità di reazione

di Angelo Moretti

Gli ucraini sono esausti. Sanno che dovranno subìre delle amputazioni territoriali dolorose e inevitabili. Non pensano più di ottenere una pace giusta, ma almeno una pace duratura e sostenibile». Così Pierfrancesco Zazo, fino ad ottobre scorso ambasciatore italiano a Kyiv, ha previsto gli esiti futuri degli accordi di pace in Ucraina, nell’ambito di un’ampia intervista apparsa su Famiglia Cristiana.

Il diplomatico Zazo, già console a Mosca, condanna ampiamente il ritorno di una postura imperialista della Russia ed il corredo ideologico del russkyi mir, eppure dichiara pubblicamente che, se  dovesse venir meno un forte sostegno militare internazionale (gli Usa), potrebbe accadere l’indicibile: la forza del diritto cederà al diritto esercitato dal più forte. Si apre dunque uno scenario amaro anche in chi ha sempre creduto nelle giuste ragioni del popolo ucraino. 

C’è una ferita tra il “già” della ingiustizia presente, come tappa necessaria alla cessazione del fuoco, ed il “non ancora” di una vera pace che dovrà arrivare, una pace che per essere vera non potrà mai essere frutto dell’ingiustizia.

È lapalissiano che il piano di Putin si sia abbondantemente infranto sul campo tre anni fa e che oggi egli stia ripiegando per un’uscita dignitosa. Dopo aver tentato di occupare Kyiv e di cambiarne il regime, il novello Zar non riesce nemmeno ad avere il pieno controllo delle quattro regioni che in fretta e furia disse di aver già annesso nel settembre del 2022, mancandogliene ancora un quarto delle stesse. La “sorella minore” Ucraina è stata violata e conquistata per poco più del 20%, nonostante la immensa disparità demografica, di potere, di coscrizione e di aiuti militari sul campo (vedi le truppe nordcoreane ed il continuo rifornimento dei droni iraniani).

Putin, che da tre anni è di fatto ripiegato in una ritirata dalla capitale, cambia tattica: la minaccia di una guerra ad oltranza diviene la materia del contendere per una pace a farsi con il tiranno; la cessione di territori dovrebbe essere un boccone amaro da buttar giù in via preventiva per gli ucraini, prima ancora di sapere se il presidente russo sarà davvero in grado di conquistare le Regioni oggetto della sua pretesa violenta. Gli Europei a loro volta adeguano i loro piani e promettono “sicurezza” futura all’Ucraina”, non potendo garantire il ripristino del diritto già violato, come invece andrebbe auspicato.  Gli Usa non ci sono più. E se ci sono, non sono alleati con nessuno, sono concentrati a ricavare il maggior profitto per sè.

Di fronte a questo scenario così irrazionale, e banale, sembra di tornare ai dibattiti seicenteschi sulla “Ragione di Stato”, descritti magistralmente nel film The Mission di Roland Joffè.  «A volte, per salvare un corpo, bisogna amputare un arto», ripete a se stesso il Cardinale Altamirano, il personaggio più drammatico dell’opera, il negoziatore buono chiamato a compiere un gesto cattivo: abbandonare nelle mani degli europei violenti una meravigliosa missione gesuitica tra gli indios, per salvare un bene “superiore”, la stessa Compagnia di Gesù.

La Ragione di Stato non è una lotta tra bene e male, si gioca dentro una sconfitta umana, in cui le categorie del “bene” e del “vero” non vengono affatto coinvolte.  Anche nel caso in cui venisse amputato un arto come il Donbass, le istanze di giustizia degli ucraini resterebbero integre e verranno agite negli anni a venire. La pace ingiusta di oggi mieterà irrimediabilmente altre vittime in futuro, suscitando guerriglie ed odi reciproci, sui quali bisognerebbe intervenire in fretta per mitigarne le conseguenze, con i Corpi Civili di Pace, ad esempio.

Ci sono anche dei vantaggi nella pace ingiusta? Forse sì.  Putin dovrebbe aver imparato la lezione e, contemporaneamente, potrebbe usare gli accordi iniqui sull’Ucraina per salvare la faccia con il suo popolo; gli ucraini, che hanno dato una lezione di resistenza al mondo, hanno cementato la propria unità nazionale e accelerato il percorso di appartenenza alla Ue; gli europei hanno ritrovato nella politica estera una inedita unità di intenti e di azione e sanno che non devono mai più lasciare l’est Europa in pasto al vicino (come accadde con il memorandum di Budapest nel 1994, ed ancora prima, a Praga nel ‘68). 

A perdere sarebbero solo due attori che resterebbero fuori scena. Gli Usa avrebbero la reputazione più bassa di sempre, dopo le disastrose guerre ingiuste e preventive avviate da Bush Jr contro Iraq e Afghanistan e le altrettante disastrose ritirate organizzate da Obama e Biden, oggi con Trump si troveranno nella condizione di essere la superpotenza democratica che abbandona gli ucraini alle pretese fameliche di un loro ex competitor, mentre continua a sostenere politicamente e militarmente la campagna genocidaria di Netanyahu. 

Il sogno americano si è trasformato in incubo, a cui si aggiunge la farsa della disperata ricerca di un premio Nobel per il loro autocrate notoriamente affetto da una ferita narcisistica. Ma da una pace ingiusta in Ucraina anche l’Onu ne uscirebbe completamente a pezzi, non attrezzata per andare oltre le condanne formali che pure ha ripetutamente pronunciato contro l’invasione russa.

Il nuovo mondo, se dovesse arrivare una pace ingiusta di Ucraina,  e nel perdurare delle pratiche di genocidio condotte da Netanyahu, dovrà ripartire dalla consistenza di queste due sconfitte, più che dalla banalità del male dei tiranni. Nella pace ingiusta ci ritroveremo di improvviso in un mondo sì multilaterale, ma completamente acefalo: non c’è un gendarme globale in grado di tutelare la giustizia e neanche un diritto internazionale che tenga. E bisognerà farci i conti a Kyiv come a Gaza ed in altri 50 conflitti. Se gli eserciti ed il diritto internazionale non tutelano più i popoli oppressi, la sfida più grande e più immediata si sposta tutta sui “popoli”, sulla loro capacità di reazione.

Per lo scenario ucraino il “primo popolo” chiamato a reagire sarà quello europeo, perché è il più prossimo fisicamente e politicamente, affacciato sul davanzale di questa guerra.  Nelle prossime settimane gli ucraini potrebbero essere chiamati a scelte drammatiche, a decidere se accettare o meno un’ingiusta trattativa sulla loro pelle. Gli europei cosa faranno per loro? 

Come Movimento Europeo di Azione Nonviolenta coltiviamo da tre anni il sogno di milioni di europei nonviolenti che si riversino sul territorio ucraino per manifestare in maniera pacifica il loro dissenso contro l’invasione di Putin, ed è coltivando questo sogno che siamo arrivati ad essere, dopo tredici missioni, circa 150 persone iscritte al Giubileo della Speranza in Ucraina, dal primo al cinque 5 prossimi (fino ad oggi la più grande presenza di civili europei in terra Ucraina dall’inizio dell’aggressione).  Ma sappiamo di essere ben poca cosa rispetto al dissenso che andrebbe espresso. 

Resta l’esercizio e la pressione che potrà fare l’opinione pubblica europea unita. Chi saremo noi per gli ucraini nelle prossime settimane? Saremo gli ignavi girati da un’altra parte, ci ergeremo a giudici e arbitri del conflitto distribuendo colpe e responsabilità, o saremo loro fratelli?

Foto La Presse: 1. Donne palestinesi piangono i parenti uccisi in un attacco israeliano, all’ospedale Nasser di Khan Younis, nella Striscia di Gaza meridionale. 2. Una madre piange vicino alla bara del figlio ucciso da un attacco missilistico russo presso un’accademia militare ucraina.

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