Scuola
Galeotto fu il libro: adolescenti liceali e detenuti si incontrano oltre i pregiudizi
Un professore racconta l'esperienza vissuta con sei studentesse del liceo classico Galluppi di Catanzaro all'interno dell'Istituto penale per minorenni cittadino: un gruppo di lettura, che ha coinvolto una decina di ragazzi. Un percorso di Pcto non scontato, che ha lasciato il segno

«Vi vorremmo ringraziare perché ci avete regalato una bellissima esperienza. Ci avete permesso di conoscervi attraverso le vostre parole ed emozioni. Ci avete arricchito di tante piccole cose che allo stesso tempo sono molto importanti. I vostri insegnamenti sono stati preziosi e ci auguriamo di avervi lasciato anche noi qualcosa». Con questo messaggio, semplice e sentito, Emma, Valentina, Michela, Rosalba, Miriam e Alma, della classe 3E del liceo classico Galluppi di Catanzaro, si sono congedate dai ragazzi del locale Istituto penale per minorenni che insieme a loro hanno partecipato al laboratorio di lettura e dialogo proposto dall’associazione Amica Sofia nell’ambito del Pcto “La biga alata”» (Pcto è la sigla dei Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento, già Alternanza Scuola-Lavoro, che da questo anno scolastico cambiano di nuovo nome e diventano ufficialmente Formazione Scuola-Lavoro, ndr).
Questo percorso è nato grazie alla grande sensibilità dimostrata dalle educatrici dell’Ipm e dal direttore Francesco Pellegrino, che ha accolto subito con piacere la proposta e ha in tutti i modi reso possibile e facilitato lo svolgimento degli incontri. Prima ancora, però, c’è un interesse e coinvolgimento autentico delle studentesse, che hanno accolto la sfida che questa esperienza, decisamente nuova per loro, rappresentava. Ragazze che hanno incontrato la filosofia con uno spirito di autentica “meraviglia”. In classe il loro entusiasmo e coinvolgimento attivo si era già visto nella ricerca di un archè che avesse senso per noi, oggi o in quella del thaumazein aristotelico nelle cose di ogni giorno: il pranzo preparato dalla nonna, un tramonto, il mare…. Sono stati questi i presupposti che mi hanno portato a proporre un’iniziativa da tempo tenevo nel “cassetto” dei miei desideri, in attesa di poter incontrare loro.
L’idea era questa: passare dalle puntate di Mare fuori ai cancelli veri e pesanti di una struttura carceraria. Ma servivano “le persone giuste”. Lasciare per due ore tutto sospeso alle nostre spalle, a partire dagli smartphone ed entrare in Ipm non poteva essere semplicemente un gioco o una curiosità: ed è solo grazie alla certezza di poter contare sulla loro affidabilità che un percorso così delicato è stato avviato.

Le letture proposte, a partire da autori come Erri De Luca, per confrontarsi poi con le curiosità e gli interessi di ognuno, ci hanno visto insieme “in circolo”, ad ascoltare e riflettere, tentando di comunicare attraverso le pagine lette e le parole dette ciò che resta del vissuto di ognuno. Momenti in cui ci siamo sentiti tutti semplicemente vicini e amici, nonostante le storie e le sofferenze, più o meno taciute, che ognuno porta dentro di sé.
«Per me è stata una delle più belle esperienze, perché mi ha insegnato che tutti abbiamo delle piccole parti di noi che possiamo regalare e che possono essere ricordate. Ognuno di loro mi ha regalato un’emozione diversa», scrive Rosalba.

Ecco perché dicevo di aver finalmente sentito di poter affrontare un percorso come questo: perché avvertivo nelle ragazze il desiderio di ascoltare, accogliere, apprendere, senza mai doversi proporre come “esempio”, senza mai considerare la propria posizione come altro da quella che era, ossia un semplice, fortunato privilegio. Vietato giudicare. Vietato anche “curiosare” nel passato dei nostri giovanissimi interlocutori, alla ricerca del loro “reato”. Ascoltarsi, accogliersi, entrare – anche qui e ancora una volta – in un rapporto di sim-patia reale e a tratti anche di empatia. Farlo conostante l’imbarazzo, i momenti emotivamente difficili e quelli di tensione. Farlo anche quando le guardie non smettevano di sorvegliarci alle spalle, rendendo veramente duro l’aprirsi di uno spazio di libertà.
Questa esperienza mi ha fatto capire quanto le scelte, l’ambiente e le possibilità possano cambiare il destino di una persona
Alma
«È stata un’esperienza che mi ha lasciato un segno profondo. Vedere ragazzi della mia età vivere in una realtà così diversa mi ha fatto riflettere molto. Mi ha fatto capire quanto le scelte, l’ambiente e le possibilità possano cambiare il destino di una persona. È stata un’occasione che mi ha fatto crescere, mi ha insegnato a non giudicare e ad apprezzare quello che ho», dice Alma, che con la sua delicatezza e docilità rappresenta anche per molte sue compagne un approdo sicuro, capace di ascolto attento e profondo. Così è stato anche durante le nostre ore di volontaria reclusione: ore di riflessione che ci hanno aiutato, come lei ha scritto, a leggere dentro di sé e a crescere.
A me hanno insegnato che in una società in cui i pregiudizi sono all’ordine del giorno, l’unico modo per restare umani è imparare ad andare oltre: oltre le apparenze, oltre le etichette, oltre ciò che si pensa di sapere
Valentina
E infine Valentina, che in tanti momenti, in questo e in altri laboratori, è stata, insieme ad Emma, decisiva e trainante nel condurre fuori da momenti di imbarazzo e difficoltà, nel trovare lo spunto e il modo giusto per superare l’empasse: «A me hanno insegnato che in una società in cui i pregiudizi sono all’ordine del giorno, l’unico modo per restare umani è imparare ad andare oltre: oltre le apparenze, oltre le etichette, oltre ciò che si pensa di sapere. I loro sguardi erano spesso spenti, a volte persi, ma raramente privi di sorriso. Un sorriso che, nonostante tutto, raccontava dignità, forse e una speranza che resiste».
In questa bellissima descrizione si legge la traccia di una capacità autentica di “attenzione”, che va anche oltre l’ascolto, che investe lo sguardo profondo dell’anima. Quella facoltà di attenzione che, come diceva Simone Weil, sarebbe il vero fine ultimo di ogni educazione, di ogni esperienza di studio. Studio che si fa esperienza appunto, mai semplice e passivo apprendimento.

«Abbiamo bisogno di una scuola che educa! Che non si limiti a fornire nozioni e contenuti, ma che dia ai giovani gli strumenti per affrontare il grande salto d’epoca, le straordinarie trasformazioni antropologiche nelle quali vivono», ha tuonato Massimo Cacciari qualche tempo fa in una straordinaria lezione di “educazione civica” che andrebbe posta a principio di qualsiasi “formazione”. Solo una scuola che educa, che si fa “esperienza”, può forse accompagnare questa generazione smarrita e fragile.
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