Idee Comunità

Le aree interne non sono borghi deserti o da cartolina: diamo voce a chi le abita

Immaginare un futuro non “assistenzialista” o esclusivamente nostalgico per le zone marginali serve a immaginare l’intero Paese in modo diverso. La referente aree interne e il responsabile cultura e giovani dell'Arci nazionale offrono uno spunto di riflessione al dibattito sui territori: «Al centro delle politiche di rilancio vanno inserite le realtà di prossimità che provano a costruire un futuro imprevisto. Altro che vita lenta»

di Sara Pilia e Marco Trulli

Il dibattito sulle aree interne è uno degli ambiti di riflessione più interessanti sul futuro di un pezzo rilevante del nostro Paese. Eppure si sente poco la voce di chi in queste aree ci vive (anche solo parzialmente) e si impegna per costruire alleanze e attivazioni territoriali.

Assistiamo quotidianamente alla retorica che esalta le buone pratiche, le singole esperienze di “ritorno alla vita semplice di campagna”, di giovani che ce l’hanno fatta. Pensiamo che questa narrazione sia l’altra faccia della politica dell’abbandono o dello sfruttamento estrattivo delle aree interne, che le immagina come il luogo della tradizione e della conservazione, della vita lenta: dunque un’idea che risponde ad alcuni dei bisogni di chi vive e lavora nei grandi centri.

Naturalmente, ben venga chi può scegliere di tornare in campagna grazie al lavoro da remoto (la co-autrice di questo articolo l’ha fatto e rivendica questa scelta). Vogliamo però evidenziare che il ritorno deve essere accompagnato da una riflessione profonda sulla funzione che queste aree possono giocare all’interno del sistema Paese, in termini produttivi e riproduttivi. Sono aree in cui la riflessione sulla cura delle relazioni e del territorio è forse più sviluppata che altrove, e dove si può immaginare un modello di sviluppo nuovo, decentrando lo sguardo.

Come immaginare un futuro nuovo

Come dice Paolo Venturi su questa testata (leggi La favola del declino irreversibile delle aree interne), «le aree interne […] stanno rischiando di morire nonostante siano vive, creative, generative. Il problema non è il territorio. È la strategia». Crediamo che per immaginare un futuro non “assistenzialista” o esclusivamente nostalgico per le aree interne, serve immaginare l’intero Paese in modo diverso.

Dentro l’Arci ci sono tanti circoli che vivono e resistono nelle aree interne e marginali, nelle città e metropoli, e questo futuro lo stiamo già costruendo insieme. Non abbiamo “un piano”, ma la visione di un futuro dove c’è spazio per tutte e tutti, quindi usiamo un metodo democratico, dentro e con le comunità, in dialogo con una rete di alleanze sempre più ampia, dentro le contraddizioni esistenti.

Rural Visions, Selva del Lamone [Fotografia di Eleonora Cerri Pecorella]

C’è vitalità nelle aree interne. Ci sono circoli e spazi culturali che organizzano rassegne cinematografiche, musicali e teatrali, piccoli festival, ci sono residenze artistiche che lavorano con le comunità, veri e propri laboratori di attivazione culturale che pensano e ripensano ogni giorno un modo per vivere nelle aree marginalizzate reagendo all’isolamento e all’omologazione culturale. Noi pensiamo che al centro della narrazione e delle politiche di coesione e rilancio delle aree interne ci debbano essere i laboratori di partecipazione, quelle realtà di prossimità che contrastano la siccità culturale e che provano a costruire un futuro imprevisto. Altro che vita lenta.

Terzo settore e co-programmazione con uno sguardo europeo

Le strategie che le comunità locali disegnano per fare fronte alle disuguaglianze territoriali sono al centro del progetto Horizon Europe Exit, di cui Arci è partner. Il progetto lavora con 17 aree di studio in otto Stati europei. Tra i fattori causa delle disuguaglianze territoriali individuati, il primo è la mancanza di un quadro politico strategico, il secondo è l’incapacità di coordinamento verticale tra livelli amministrativi, il terzo è la scarsa capacità di coordinamento orizzontale degli attori locali.

In particolare, i partecipanti del progetto sono stati unanimi nel dire che il volontariato è una risorsa per le aree svantaggiate. Tuttavia, segnalano, la presenza di volontari spinge gli enti pubblici a vedere la “manodopera gratuita”, perdendo di vista l’elemento centrale del contributo del Terzo settore: le pratiche inventate e testate sul campo dalle comunità, i processi democratici, l’appropriazione da parte delle persone del proprio restare e del proprio futuro.

Nonostante la normativa sull’amministrazione condivisa, in Italia si continua spesso a chiedere alle associazioni di fare innovazione sociale su indicatori numerici, perdendo di vista le persone. Così ci resta l’immagine di borghi deserti o di idilliache comunità, e non l’intrico di conflitti, la ricchezza di proposte, il lavoro di sintesi che porta alla realizzazione di strategie non solo adeguate al luogo, ma anche alle comunità in costante evoluzione.

Auspichiamo che ogni strategia possibile sulle aree interne parta dalla co-programmazione e co-progettazione, strumento ancora poco noto alle amministrazioni pubbliche, e raramente utilizzato in modo corretto.

Una piattaforma di riflessione attiva

Per maturare un pensiero e una visione comuni all’interno di una rete ampia come quella di Arci e in una dimensione di alleanza stabile con reti e soggetti del settore come Riabitare l’Italia, Aitr, Emidio di Treviri e altri, è in programma un percorso di riflessione e co-creazione di una piattaforma che incardini le pratiche di circoli, associazioni e festival che operano nelle aree marginalizzate.

Dal 19 al 21 settembre si terrà Selvatico fest a Farnese, promosso da Aucs nell’ambito del progetto Ecolamone Ecolab in collaborazione con la Riserva naturale del Lamone, un festival dedicato alle aree interne, al paesaggio, alla pastorizia e al turismo sostenibile. L’interrogativo centrale è dedicato alle forme di sviluppo locale non estrattivo, su una pratica del paesaggio che immagini forme di convivenza tra umano e non umano. Dal 3 al 5 ottobre a Benevento invece si terrà Genera. Culture e alleanze nelle aree interne, una tre giorni di incontri, laboratori e pratiche culturali promossa da Arci Benevento che conclude il percorso del progetto Mercati Culturali che dal 2023 affronta la relazione tra spopolamento e accesso alla cultura. Sono due iniziative finanziate da ActionAid nell’ambito del bando Rise e saranno anche dei laboratori di riflessione attiva a cui parteciperanno circoli Arci delle aree interne da tutta Italia.

Il futuro è nelle mani di chi lo costruisce. Un impatto importante delle nostre attività nelle aree interne è la formazione civica e democratica quotidiana, fino alla partecipazione elettorale come riappropriazione della sovranità popolare, a sostegno di chi fa proposte di impegno e di speranza. Su questo, le alleanze possibili sono veramente tantissime, generative e piene di futuro.

Sara Pilia è presidente di Arci Piceno Fermano e referente nazionale Arci sulle Aree interne. Sinologa, lavora a tempo pieno nel Terzo settore curando in particolare la progettazione e l’attivazione dei giovani. Per Arci è coordinatrice del progetto Exit – Exploring sustainable strategies to counteract territorial inequalities with an intersectional approach.

Marco Trulli è responsabile cultura e giovani di Arci nazionale. Laureato in Conservazione dei Beni culturali, è stato presidente di Arci Viterbo. Ha fondato Cantieri d’Arte, progetto di arte contemporanea nel territorio della Tuscia, ha curato mostre e pubblicazioni sul ruolo dell’arte nel territorio.

Le immagini sono state fornite dagli intervistati. In apertura, il progetto Mercati Culturali a Benevento [Fotografia di Giovanna Colabelli Gisoldi]

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