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Pace, «col mio dado “magico” cambio lo sguardo dei giovani di tutto il mondo»

Il filosofo Carlos Palma racconta il metodo nato al Cairo. L'insegnante, nato in Uruguay, è uno dei protagonisti del numero di febbraio di VITA magazine "La pace siamo noi". Nelle sue parole la descrizione di come il dado della pace abbia rivoluzionato il modo di insegnare grazie al progetto Living Peace

di Marcello Raimondi

«Professore, ci può dire cos’è la pace?». Fa ancora caldo a Gerusalemme il primo giorno di scuola. Il giovane professore si guarda attorno spaesato, non parla bene l’ebraico. Forse si aspettava che gli chiedessero il suo nome, chi era; così farfuglia: «Ma cosa vuoi sapere?». «Vogliamo sapere cosa potremo fare un giorno, quando non ci sarà più la guerra». C’è silenzio in classe, quaranta occhi neri lo fissano come si attende una promessa. Al professore viene un nodo alla gola: realizza che quei bambini di 10 anni conoscono solo la guerra, ci sono nati e cresciuti, non hanno mai sperimentato un giorno di pace. Finita la lezione Carlos Palma (nella foto) esce dalla classe angosciato. Viene dall’Uruguay, studente promettente di filosofia, archeologia biblica e teologia. È membro del movimento cattolico dei Focolari, che lo ha mandato a Gerusalemme per portare lo spirito di unità che fa parte del loro carisma. Per le strade divampa la prima Intifada. C’è solo violenza e dolore.

La violenza e l’impotenza

La violenza lo colpisce duramente: un giorno una bomba esplode e lui si trova a terra pieno di sangue, tra gente morta e feriti che gridano aiuto. La carne gli brucia, ma di più brucia il cuore. A distanza di quarant’anni sente ancora quella morsa nell’animo: «Dicevo a me stesso: “Ma in fondo, Carlos, cosa stai facendo per la pace?”. Io vedevo attorno a me la cultura dell’odio, della vendetta, della guerra. Dov’era la cultura della pace? E qual era il mio ruolo per contribuire a sostituire quella cultura della guerra con una cultura della pace? E non trovavo risposta». 

Carlos resta a Gerusalemme per dodici anni, poi parte per il Libano, che stava vivendo la fase finale della guerra, poi in Turchia e da lì a Baghdad, nell’Iraq in guerra. Vuole portare lo spirito di unità, ma trova solo sangue e violenza. Un giorno sente un uomo gridare per strada chiedendo aiuto, portava un bambino sulle braccia. Gli corre incontro e il padre gli urla: «Il mio bambino sta morendo, ho bisogno di una macchina per portarlo in ospedale». La macchina non c’è, Carlos prende il bambino in braccio e corre come un pazzo verso l’ospedale più vicino: «Alla porta della clinica» racconta «mi sono reso conto che quel bimbo era morto. Ho consegnato il corpicino all’infermiera e sono caduto a terra a piangere. Mi sentivo del tutto impotente».

Con il proseguire della guerra Palma deve scappare dall’Iraq e dopo un po’ di tempo si ritrova ad insegnare nella scuola americana del Cairo, in Egitto. «Credevo finalmente di essere in un Paese pacifico. Ma dopo qualche mese è incominciata la rivoluzione della primavera araba: ancora una volta morti e feriti. Ancora una volta dover riconoscere tra di loro alcuni dei miei studenti. Un giorno non ce la facevo più: mi era stato chiesto di andare a casa di due famiglie per dare la notizia che i loro figli erano morti, era stata un’impresa molto ardua, molto difficile. Sono tornato a casa stanco e soprattutto deluso, non sapevo più cosa fare».

Scoppia la scintilla

In quel momento si ricorda che nel movimento dei Focolari si utilizzava per i bambini il “dado dell’amore” ispirato all’Arte di amare di Chiara Lubich. Sulle sue facce non ci sono numeri, ma delle frasi che insegnano l’amore. Palma lo prende in mano e lo trasforma in “dado della pace”, scrivendoci delle frasi che i bambini, tutti musulmani, possano capire, frasi universali come “amare tutti”, “amare per primo”, “perdonarsi l’un l’altro”, “ascoltare l’altro”, “essere il primo ad amare”. Frasi semplici da mettere in pratica per poter vivere la pace. Si presenta in classe dicendo: «Ecco il dado della pace, da ora in poi, ogni mattina uno studente differente lo lancerà e la frase che comparirà sarà il programma per vivere la pace per l’intera giornata». Propone inoltre che ogni mattina a mezzogiorno, si faccia un minuto di silenzio per la pace. Poi cinque minuti prima di andare a casa ferma la lezione per raccontarsi come è andata con quella frase, come si “era vissuto per la pace”. «Non avevo assolutamente idea di cosa stava succedendo, in mezzo alla rivoluzione della primavera araba che aveva gettato nel caos Il Cairo. Io stavo presentando a questi bambini uno strumento per vivere la pace. L’hanno presa con una grandissima serietà. I genitori cominciavano a chiamarmi per chiedermi come mai vedevano nei bambini un cambiamento, cosa stava succedendo? Una mamma mi telefona una domenica e mi dice: “Per favore, parli con mio figlio che sta piangendo perché non si convince che la domenica la scuola è chiusa e lui vuole andarci lo stesso”». 

I bambini erano entusiasti, anche a casa lanciavano il dado con i genitori, prima di andare a dormire. In poco tempo genitori, altri bambini e poi i professori hanno iniziato a vivere le frasi del dado della pace e a raccontarsi fra loro le conseguenza che generava. A quel punto la direttrice ha proposto che tutta la scuola americana del Cairo facesse questa pratica, si sono costruiti 60 grandi dadi e i professori entravano in classe con il dado della pace sotto il braccio. E così quella scuola si è trasformata. 

La voce è girata e altre scuole hanno cominciato a chiamare per avere il dado. Palma si decide allora a formalizzare il progetto, nasce Living Peace. «Dicevo ai ragazzi: “la pace non è una cosa che si fa, è una cosa che si vive”. E la pace incomincia nel cuore, dentro di me quando io amo l’altro, così che tutto quello che io penso, dico, sento, faccio può essere una trasmissione di pace. Mi sono reso conto subito che era un progetto di vita che ci rendeva, me per primo, protagonisti. Abbiamo incominciato con 25 istituti, io non credevo ai miei occhi. Era incredibile vedere scuole molto differenti che realizzavano insieme delle attività per la pace». 

I ragazzi decidono di scrivere a più di cento capi di Stato per raccontare che cosa stava succedendo al Cairo nel bel mezzo della rivoluzione. Il primo a rispondere è Barack Obama, presidente degli Stati Uniti, poi i re di Spagna, la presidente dell’Irlanda, il primo ministro del Lussemburgo, i premi Nobel per la Pace e molti altri. Palma viene invitato ad Hiroshima per i 60 anni della bomba atomica. A quel punto il dado dilaga: entra nelle scuole elementari, medie, superiori, università, parrocchie, negli scout, nel Rotary, nel Lyons, nelle carceri. La possibilità di personalizzarlo fa sì che se ne creino versioni diverse per ogni situazione: il dado terapeutico della pace, il dado interreligioso, il dado della pace per il diritto, per l’architettura, l’etica, la teologia, per la psicologia, per l’ecologia, per la famiglia. Ne è stata fatta la versione braille per i ciechi.

Da 12 bambini a 2 milioni

Oggi quei dodici bambini musulmani del Cairo sono diventati 2 milioni in 136 Paesi, di tutte le religioni, culture ed età. Insieme a loro 94 organizzazioni internazionali hanno voluto aderire a Living Peace per dar vita a delle attività semplici che contribuiscano alla cultura della pace. Ma la scuola rimane il luogo elettivo del progetto. Il ministro dell’Educazione della Giordania fa realizzare 14mila dadi per tutte le scuole del Paese, lo stesso in Nigeria e Paraguay. Anche in Italia si diffonde Living Peace. «Alcuni studiosi hanno fatto un dottorato su Living Peace» chiosa Palma «e hanno registrato che dove il metodo è arrivato si vede una trasformazione, che parte innanzitutto dal cambiamento del modo di essere docente. Ci vuole la convinzione che la pace è possibile, perché tante volte noi identifichiamo unilateralmente la pace come assenza della guerra, ma dimentichiamo che la guerra ce l’abbiamo dentro, che l’abbiamo tra di noi, nella classe, in casa, nel quartiere. Living Peace, va al cuore, perché è da lì che deve partire la pace. I bambini lo hanno capito per primi». 

Sono loro i veri artefici dell’educazione alla pace.

Nell’immagine Carlos Palma con il dado della pace

Questo articolo è apparso sul numero di VITA magazine di febbraio “La pace siamo noi”. Per approfondire gli altri contenuti è possibile abbonarsi. Gli abbonati possono leggere gli ultimi cinque anni del magazine

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