Sviluppo

Cooperative di comunità, quando i cittadini diventano impresa. E salvano i territori

Sono più di 320 le cooperative di comunità in Italia, fotografate da Aiccon e Legacoop. Imprese sociali nate “dal basso”, fortemente radicate nei territori da cui hanno origine e alimentate dalla passione dei cittadini. Una realtà che si sta diffondendo in tutto il Paese, a partire dalle aree più svantaggiate. E che ha bisogno di essere riconosciuta e sostenuta

di Chiara Ludovisi

Tutto è iniziato con dei pannelli solari: era il 2011, quando 71 cittadini di Melpignano, un piccolo paese del Salento, decisero di investire una piccola somma per ridare “energia” al proprio territorio. E lo fecero sfruttando la più preziosa risorsa di cui disponevano: il sole. Misero quindi insieme piccole quote e installarono pannelli fotovoltaici sui tetti pubblici e privati. I ricavi furono distribuiti nella comunità, per realizzare opere di manutenzione del verde, ma anche per mettere a disposizione della comunità  borse di studio e piccoli servizi di welfare. Oggi la cooperativa conta oltre 400 soci, gestisce progetti di energia, agricoltura sociale, turismo sostenibile, banca del tempo e servizi educativi. Ha creato lavoro, rallentato lo spopolamento e rianimato il territorio con le voci di bambini e ragazzi.

La Comunità Cooperativa di Melpignano è una delle 106 cooperative di comunità di Legacoop. In tutto, sono 321 le cooperative oggi esistenti nel nostro Paese e fotografate per la prima volta nel 2024 da Aiccon, attraverso la mappa interattiva. A queste realtà, alle loro storie, le loro ragioni e soprattutto alla direzione che indicano è dedicato il report “Economie di luogo: fotografia e dimensioni qualitative delle cooperative di comunità in Italia”, realizzato da Aiccon con il supporto di Legacoop e presentato mercoledì 17 a Roma. 

È intervenuto, tra gli altri, Massimo Bitonci, Sottosegretario ministero delle Imprese del Made in Italy, che ha assicurato tempi brevi per una norma nazionale sulle cooperative di comunità, da tempo attesa. «Ringrazio tutti voi per il contributo offerto al tavolo ministeriale, con l’obiettivo di dare una cornice legislativa uniforme alle tante e diverse normative regionali. Il ruolo delle cooperative di comunità deve essere rionosciuto: la legge è scritta – l’abbiamo scritta insieme – Un disegno di legge delega, che poi riempiremo di contenuti, scrivendo insieme i decreti legislativi. L’obiettivo è dare uniformità sui territori a queste realtà che, come posso testimoniare grazie alla mia esperienza di sindaco, soprattutto in campo sociale è fondamentale».

Un fenomeno in crescita

Frutto di un’indagine che ha coinvolto 46 di queste cooperative, il rapporto racconta e dà voce a queste imprese sociali nate “dal basso”, fortemente radicate nei territori da cui hanno origine e alimentate dalla passione dei cittadini. Una realtà che si sta diffondendo in tutto il Paese, a partire dalle aree più svantaggiate e spesso meno popolate, dalle aree interne agli hinterland urbani, dai borghi appenninici ai quartieri popolari.

La mappa contenuta nel report

I numeri, innanzitutto: sul portale sono attualmente registrate 220 cooperative di comunità e 101 in corso di registrazione, per un totale di 321 realtà mappate in oltre 70 province italiane.  Secondo Aiccon, nel 29% dei casi emergono in contesti territorialmente vulnerabili e nel 22% in contesti socialmente fragili. Spesso si innestano su «risorse locali dormienti» (16%) e si reggono su un nucleo iniziale di cittadini fortemente motivati (12%).

La distribuzione sul territorio nazionale è abbastanza uniforme, con una concentrazione maggiore al centro nord. La forma giuridica più diffusa è la cooperativa di produzione e lavoro (35%), seguita dalla cooperativa di tipo B (20%), di tipo A (9%) e di utenza (2%).

Svariati i settori d’intervento: tutela ambientale, agricoltura, turismo, cultura, mobilità locale, formazione, servizi sociali, rigenerazione urbana. Settori non rigidamente distinti e separati, ma piuttosto complementari e integrati, visto che una caratteristica delle cooperative di comunità è proprio la loro vocazione multisettoriale e multifunzionale: le attività riguardano infatti ambiti, settori e finalità diversi, che vanno a intrecciarsi nelle azioni realizzate sui territori. 

Immagine tratta dal report

Valorizzare le risorse dormienti

Anche i bisogni, o meglio gli “elementi generativi” (così vengono definiti nel report) sono diversificati: le cooperative di comunità non nascono solo per rispondere alla vulnerabilità del contesto (51%), ma anche grazie alla presenza di «risorse disponibili dormienti» (16%) e di «un gruppo di cittadini particolarmente motivati» (12%). Come si legge nel report, «si delinea così una logica di innovazione territoriale, più che unicamente sociale, in cui il modello cooperativo si configura come uno strumento abilitante per processi di auto-organizzazione e trasformazione dei contesti locali».

I soci possono essere volontari (26%), lavoratori (24%), utenti (22%), sovventori o finanziatori (15%) e persino volontari non soci (12%). Il coinvolgimento della popolazione è costitutivo: il 25% co-progetta attività e servizi con la comunità locale, il 24% apre alcuni processi decisionali a cittadini non soci, il 16% riceve tempo e lavoro volontario, il 13% contributi economici diretti.

La sostenibilità di queste realtà si regge su un ecosistema di prossimità più che su logiche di mercato. Le entrate derivano soprattutto da vendita di beni e servizi (35%), bandi (21%), convenzioni con la PA (16%) e quote associative (13%).

Interessanti anche i dati relativi alle direttrici degli scambi di beni e servizi: i principali «interlocutori economici» sono i cittadini (45%), seguiti da enti del terzo settore (24%), Pubbliche Amministrazioni (20%) e imprese for profit (11%). Anche nelle donazioni i cittadini pesano per il 65%, seguiti (da lontano) da altri enti del terzo settore (17%) e soggetti profit (solo il 12%).

La presentazione del report

Da buona prassi a policy

«I risultati dell’analisi parlano chiaro: le cooperative di comunità si confermano un modello innovativo e sempre più diffuso per generare sviluppo inclusivo, sostenibile e partecipato, soprattutto nelle aree interne e nei contesti urbani segnati da disagio sociale ed economico», ha detto Simone Gamberini, presidente di Legacoop.

«Pur in assenza di una normativa nazionale, e quindi di misure di sostegno dedicate, le cooperative di comunità continuano a crescere e a caratterizzarsi, sempre più, non solo come strumento in mano ai cittadini per rispondere ai propri bisogni, ma come vero volano di sviluppo locale. Il rapporto, come del resto le esperienze che conosciamo e accompagniamo quotidianamente, ci restituisce il segno di un modello imprenditoriale partecipato dal basso, capace di trasformare i territori con logiche mutualistiche applicate allo sviluppo territoriale», ha aggiunto Gamberini.

Un modello imprenditoriale partecipato dal basso, capace di trasformare i territori con logiche mutualistiche applicate allo sviluppo territoriale

Simone Gamberini, presidente Legacoop

«Le cooperative di comunità sono ormai riconosciute come uno strumento che consente alle persone di far rinascere servizi essenziali, di riappropriarsi di spazi abbandonati e vuoti per trasformarli in luoghi vivi, con nuove funzioni e attività, sono uno strumento che ha ripopolato con imprese sostenibili e attente alle comunità locali luoghi dove nessuno pensava si potesse fare impresa», ha detto ancora Gamberini, che ha quindi fatto riferimento al recente Rapporto sulla produtività del Cnel: «È stato citato espressamente proprio le cooperative di comunità tra gli strumenti per la “densificazione di un tessuto produttivo diffuso, con la presenza di presidi multiservizio dellecooperative di comunità e delle infrastrutture digitali locali può costituire un’infrastrutturaabilitante per l’effettivo assorbimento delle risorse ZES, rafforzando l’impattodegli investimenti e favorendo l’integrazione funzionale tra grandi e piccoli attorieconomici nelle aree più fragili”. Questo dimostra non solo il valore sociale delle cooperative di comunità, ma anche il valore economico che in territori fragili queste cooperative rappresentano. Non possiamo più affermare che le nostre aree interne, le aree montane sono aree a “fallimento di mercato”, significa relegare milioni di nostri connazionali a cittadini di serie b, perché non hanno accesso ai servizi e ai diritti, dobbiamo quindi impegnarci per costruire un “mercato diverso”, con meno attenzione ai margini di profitto, ma comunque capace di generare lavoro e valore, ridistribuendolo nella comunità in termini di servizi e opportunità per tutti». 

Per Paolo Venturi, direttore di Aiccon, «dalla ricerca emerge come le cooperative di comunità non siano più solo presidio delle aree interne, ma vere istituzioni economiche nate dagli abitanti per trasformare bisogni e desideri in imprese. Esperienze agili e aperte, che integrano imprenditorialità e cura del territorio, con un potenziale occupazionale ancora da valorizzare. Sono istituzioni di nuova generazione che necessitano di un ambiente adeguato per svilupparsi: in questo senso, lo sviluppo dell’economia sociale come piattaforma diventa centrale anche per la loro affermazione. Si attivano anche in maniera eroica, ma poi hanno bisogno di un ambiente e un ecosistema di relazioni per poter crescere».

Verso una policy

«Se aveste a disposizione 100 mila euro, in cosa investireste nei prossimi 3-5 anni?»: è la domanda che gli autori del report hanno posto alle cooperative di comunità. Le risposte rivelano le diverse direzioni in cui il cambiamento è stato e sarà attivato. Il recupero di immobili è uno dei progetti futuri che riscuote il maggior numero di preferenze (20), seguito da turismo (17) e welfare di prossimità (10). «Il principale asset di sviluppo delle cooperative di comunità resta la dimensione di luogo: è nello spazio vissuto, trasformato, abitato, che si concentrano le principali energie progettuali e immaginative», si legge nel report. 

Energie che evidentemente non mancano, a giudicare da quanto si legge nel report e soprattutto nelle storie che queste cooperative di comunità rendono possibili sui territori. Queste energie, però, vanno sostenute e accompagnate, con un impegno da parte delle politiche locali.

I promotori invitano dunque le istituzioni a riconoscere le cooperative di comunità come attori strategici di sviluppo locale, dotandole di un quadro giuridico e fiscale chiaro, incentivando ecosistemi territoriali di supporto e introducendo la valutazione dell’impatto sociale e civile tra i criteri di programmazione pubblica.

Le 106 cooperative di comunità aderenti a Legacoop

Le cooperative di comunità aderenti a Legacoop sono 106 (erano 55 nel 2020), attive in 19 regioni. Il 65% è collocato nelle aree interne, il 69% in Comuni con meno di 5.000 abitanti. Coinvolgono 5.383 soci (numero medio di 51 soci per cooperativa), occupano 560 persone, realizzano un fatturato complessivo di 33,5 milioni di euro e hanno un patrimonio complessivo di 7,8 milioni. Il 24% dei CdA ha una presidente; i presidenti di CdA under 35 sono il 13% del totale. Inoltre, il 33% delle cooperative ha nel CdA quote rosa tra il 26% e il 49%.

Le immagini sono tratte dal report

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