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A Corleone, grazie a una legge, anche la terra torna alla vita

142 ettari di terreno agricolo confiscati alla mafia assegnati ora a coop sociali. Sei miliardi investiti per far nascere imprese e posti di lavoro. Un’idea di Libera

di Mariano Campo

Corleone, Italia. I feudi confiscati ai boss produrranno vino biologico, olio, cereali, ortaggi di serra; daranno lavoro a 60 giovani assunti da 6 cooperative sociali; fattureranno circa 700 milioni all?anno. Sulle stesse terre (142 ettari) che una volta, fino a non molto tempo fa, riempivano le tasche e le pance di padrini e capi-bastone, sorgeranno impianti sportivi, aziende agrituristiche, un caseificio, vivai, punti vendita dei prodotti doc e tipici. La notizia è di quelle che segnano l?avvio di una vera e propria rivoluzione culturale per abitanti e amministratori dei comuni inclusi nell?area del famigerato triangolo della morte Corleone-San Giuseppe Jato-Monreale, e meriterà di essere ricordata ogni volta che sugli scaffali di un supermercato troveremo bottiglie di vino o di olio con l?etichetta di Libera, l?associazione antimafia di don Luigi Ciotti e Rita Borsellino, che da anni si batte per il riutilizzo a fini sociali dei beni confiscati alla mafia. E proprio della legge 109 del 1996 e delle battaglie civili che l?hanno generata è figlio il progetto battezzato l?11 ottobre scorso alla Prefettura di Palermo, con un protocollo d?intesa sottoscritto dai rappresentanti del ministero dell?Interno, del Programma operativo sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno e del Consorzio sviluppo e legalità (formato dai Comuni di Corleone, San Cipirello, Monreale, Piana degli Albanesi e San Giuseppe Jato). L?investimento (6 miliardi e mezzo di lire la somma complessiva) rende credibile la filosofia dell?operazione denominata significativamente Libera terra e che punta a «favorire lo sviluppo sostenibile delle risorse a disposizione, innescando un processo a catena in grado di rilanciare zone altrimenti condannate alla marginalità economica e sociale e terre destinate a rimanere incolte». Circa 4 miliardi e 400 milioni di lire proverranno da fondi comunitari, 2 miliardi, invece, dalla Regione. Il piano economico elaborato dalla Sudgest, società pubblica di consulenza agli enti locali, in collaborazione con Italia Lavoro e Sviluppo Italia, prevede l?utilizzo e la riconversione di 21 ettari di vigneti: saranno impiantati vitigni di maggior pregio di quelli attuali (nero d?Avola, Merlot, Cabernet, Catarratto) e realizzata una cantina che impiegherà stabilmente 12 persone, oltre agli stagionali. Spazio anche alla cerealicoltura biologica, che occuperà 2 addetti su 74 ettari, una volta nella disponibilità di Totò Riina. Pane e altri prodotti da forno nasceranno in loco. Venti ettari di terreno e 3 operatori saranno impiegati per la produzione e la lavorazione di piante aromatiche e officinali. Un miliardo e 800 milioni saranno investiti, invece, per le coltivazioni di ortaggi e fiori in serra su 4 ettari: questo settore occuperà 17 persone. Otto addetti si dedicheranno infine all?allevamento di ovini e caprini e alla produzione di latte e carne, badando a ovili da 300 capi ciascuno e a un caseificio aziendale. E per favorire lo sviluppo turistico di questa valle delle Madonie, il restauro di due antichi edifici permetterà la nascita di un?azienda agrituristica: 40 posti letto con 10 ettari di terreno, ristorante, un piccolo caseificio e uno spaccio di prodotti tipici della zona. 850 milioni di lire lo stanziamento previsto e 18 gli addetti. La tempistica del progetto prevede che entro ottobre vengano selezionati i 15 giovani che costituiranno il nucleo dirigente delle cooperative in questione. «È la restituzione alla società di ciò che la criminalità ha sottratto», ha commentato il prefetto di Palermo, Renato Profili, uno dei principali sostenitori dell?iniziativa. Il sindaco di Corleone, Giuseppe Cipriani, chiamato a presiedere il consorzio Sviluppo e legalità che avrà la gestione e il controllo degli interventi spiega: «È il primo esperimento del genere in Italia, puntiamo a farne un progetto pilota per l?utilizzo di beni altrimenti destinati a rimanere improduttivi o, peggio, a tornare nella disponibilità dei mafiosi». Una legge voluta da Arci e Libera Minare in maniera efficace la potenza economica di Cosa nostra, restituire alla collettività beni acquisiti con la violenza o il malaffare. È questo lo spirito della legge 109 del ?96 sul riutilizzo a fini sociali del patrimonio confiscato alle mafie, varata al termine di una lunga e controversa campagna di opinione condotta da associazioni come Libera e Arci. Proprietà mobili (denaro in contante o in assegni, cambiali, titoli), case, terreni, fondi, aziende, una volta reso definitivo il procedimento di confisca, vengono incamerati dallo Stato: il denaro servirà a finanziare i fondi istituiti presso le prefetture per sostenere progetti relativi alla gestione degli immobili confiscati ed altre attività socialmente utili. I beni immobili sono invece assegnati ai Comuni o mantenuti nel patrimonio dello Stato, per specifiche finalità istituzionali: in questo caso diventeranno caserme, centri logistici delle forze di polizia, strutture della protezione civile.


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