Accoglienza
«A Trieste, nel nubifragio, i richiedenti asilo hanno perso tutto»
Il capoluogo giuliano è stato colpito nei giorni scorsi da un forte maltempo. A farne le spese, i migranti che ancora vivono all'addiaccio perché non trovano posto nel sistema di accoglienza, anche dopo aver fatto domanda d'asilo. «Non possiamo accettare questo abbandono», dice Lorena Fornasir, di Linea d'Ombra, associazione che porta aiuto alle persone in arrivo dalla rotta balcanica

Martedì a Trieste c’è stato un nubifragio, con allagamenti, danni e blackout. Una situazione che ha portato difficoltà a tutti, ma che per qualcuno è stata una vera tragedia: i migranti e i richiedenti asilo in attesa di accoglienza, che nel capoluogo giuliano si ritrovano a vivere all’addiaccio, in particolare sotto una pensilina all’inizio del Porto Vecchio. Più di cento persone si sono ritrovate a non sapere dove andare, tra tombini e fognature saltate, che hanno provocato l’allagamento di tutto l’androne. Qualcuno, nell’acqua e nel fango, oltre alle coperte ha perso addirittura i documenti, bene fondamentale per un richiedente asilo. Le persone, nella disperazione, si sono riparate in Spazio 11, la sala d’attesa solidale promossa da Caritas, Unhcr e Donk humanitarian medicine che costituisce un unicum in Italia. Più di 20 individui hanno cercato assistenza da parte dei medici volontari di Donk, presenti tutti in giorni in un ambulatorio allestito ad hoc. Per chi non ha trovato spazio in questo luogo, sono stati aperti tre locali nella vicina Chiesa di Sant’Anastasio. «Com’è possibile che siano saltati anche i tombini per un nubifragio?», si chiede Lorena Fornasir, attivista di Linea d’ombra, associazione che scende in piazza a dare sostegno ai migranti in arrivo a Trieste. «Significa che dove vivono persone considerate “subumane” non vale nemmeno la pena di andare a pulire le fognature e fare manutenzione. Chi stava là ha perso tutto».
Fornasir, qual è la situazione a Trieste in questo momento?
Non sono un’operatrice, sono un’attivista: quello che verifico con mano ogni giorno è che c’è un abbandono da parte delle istituzioni. L’altra sera almeno 120 persone richiedenti asilo – molti con i documenti per poter entrare in accoglienza – erano lasciate in strada perché non c’era posto nei campi. Questa situazione è assurda. Viene gestita di anno in anno come se fosse un’emergenza, ma un’emergenza non è. D’inverno col gelo ci sono meno flussi, poi in primavera e in estate i numeri sono sempre alti. Trattare questo fenomeno come emergenziale significa voler alimentare una cultura dell’odio, del razzismo e dell’ostilità dipingendo questi ragazzi come criminali.
Trattare le migrazioni come un fenomeno emergenziale significa voler alimentare una cultura dell’odio, del razzismo e dell’ostilità
Come vivono queste persone abbandonate in strada?
Con il supporto che diamo noi di Linea d’Ombra, finché non riescono a entrare nel sistema di accoglienza. Grazie al sostegno di tutta Italia, riusciamo ogni giorno a portare cure sanitarie, vestiti, scarpe. Poi ci sono i Fornelli resistenti, nati proprio qui nella “Piazza del mondo” (piazza Libertà, di fronte alla stazione di Trieste, ndr), che periodicamente vengono a portare da mangiare. In questi giorni abbiamo sfamato 250 persone, la fame è tanta.
Voi attivisti avete organizzato anche un presidio alle sette di mattina, quando di solito passava la polizia a far allontanare le persone migranti dalla pensilina di Porto vecchio.
Il presidio è durato 19 giorni, l’abbiamo sospeso da poco, ma siamo pronti a riattivarlo appena ce ne sarà bisogno. Da quando abbiamo iniziato a presidiare, la polizia non è più venuta. Non aveva senso continuare a star lì: è stato però un segnale molto bello e importante, abbiamo avuto tantissime persone che sono venute da molte città – Pesaro, Firenze e Padova, per esempio –, partendo prestissimo. Era giusto però dare un momento di fine. Le nostre rivendicazioni sono state ben chiare: non possiamo accettare questo abbandono. Né che si mandi al macero, come è stato fatto il 12 di agosto, quando la polizia è venuta con gli addetti della ditta Italspurghi, un patrimonio di coperte e di beni donati ai ragazzi.

Avete avuto occasione di parlare con i poliziotti?
Ci hanno detto che eseguono gli ordini. Una mattina mi è capitato di vedere una persona che veniva a portare un sacco a pelo sotto la pensilina, con la sua bicicletta. Un vigile l’ha fermato e gli ha detto che se avesse abbandonato il sacco a pelo – ha usato proprio il verbo “abbandonare” – sarebbe stato perseguibile per abbandono di rifiuti urbani. Il signore ha risposto «Ma io lo voglio donare a uno di loro, che non ha niente», ma il vigile ha insistito.
Le nostre rivendicazioni sono chiare: non possiamo accettare questo abbandono
Le autorità vi hanno dato delle risposte a seguito del presidio?
No, assolutamente. Abbiamo lanciato vari comunicati e cercheremo .- assieme alle altre associazioni solidali – di andare a un incontro col prefetto. Ma sono cose che richiedono tempo. Intanto queste persone sono lì, abbandonate, in condizioni disastrose e terribili.
Dove sono andate a ripararsi le persone migranti?
A Spazio 11 – che però non aveva la capienza per ospitare tutti – e in tre locali della chiesa di Sant’Anastasio, grazie al parroco don Gustavo Pez. Quando ho visto cosa stava succedendo, ho chiamato il vescovo di Treste (don Enrico Trevisi, ndr), perché autorizzasse il suo utilizzo. Ha aiutato molto anche l’Unhcr, che ha fatto sì che venisse utilizzato ogni posto libero in Spazio 11. Siamo riusciti ad accogliere in totale 180 persone.
Foto nell’articolo di Lorena Fornasir
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