Famiglia
Ad Algeri le donne sfogliano Vita
Si chiama Hayat, è la stessa testata tradotta del nostro settimanale. E' una grande esperienza di riscatto in un Paese che umilia il sesso debole (di Anna Pozzi).
di Redazione

«Le donne algerine hanno scarse speranze di ottenere giustizia e riparazione per gli abusi che hanno subito; le leggi e le prassi vigenti continuano a discriminarle e a facilitare la violenza nei loro confronti».
È quanto sostiene un rapporto di Amnesty International pubblicato a gennaio. Un rapporto che molti, soprattutto le donne d?Algeria, speravano di poter archiviare per guardare con nuova fiducia all?avvenire. E invece, non solo restano aperti tutti i problemi del passato – legati alla guerra civile degli anni 90 e alle sue conseguenze – ma le donne si sono sentite tradite una seconda volta, a causa dell?approvazione, lo scorso febbraio, di un nuovo Codice della famiglia che di nuovo non ha proprio nulla. Anzi, non fa altro che ribadire lo status di inferiorità giuridica della donna rispetto all?uomo.
In Algeria dal 1990
«Timori e diffidenze spingono a riaffermare modelli tradizionali, con un ritorno all?integralismo religioso», afferma Umberta Fabbris, giornalista veronese in Algeria del 1990, direttrice di un periodico femminile, Hayat (Vita), il primo, e per molto tempo l?unico, riservato alle donne. La sua esperienza professionale comincia nel 1983 grazie alla collaborazione coraggiosa tra Caritas Algeria e la Mezzaluna Rossa, ente assistenziale musulmano. Un tentativo di dialogo per nulla scontato. Anche perché si trattava di lavorare per la promozione della donna, in un contesto tradizionale e religioso molto chiuso e a volte ostile.
«A quel tempo», racconta la Fabbris, «alla periferia di Algeri un gruppo di ragazze che aveva seguito un corso nei centri della Mezzaluna Rossa aveva espresso l?esigenza che questa formazione potesse continuare. Nasce così un foglio di collegamento che riporta modelli di cucito, ricamo, tecniche manuali e propone articoli per una formazione di base sulla vita della donna e della famiglia. Caritas Algeria raccolse la sfida, occupandosi della redazione». Ben presto le donne che desiderano ricevere Hayat si moltiplicano. Nel 1999 Umberta Fabbris ne assume la direzione. Oggi Hayat è una rivista bimestrale e bilingue (francese e arabo) con una tiratura di 1.600 copie e un?ampia diffusione per abbonamento. E sono proprio gli abbonati i primi promotori della rivista, svolgendo un lavoro preziosissimo. La Mezzaluna Rossa continua ad assicurare la copertura legale di Hayat, lasciando però piena autonomia alla redazione che lavora presso Caritas Algeria. Da un paio d?anni anche Caritas italiana è diventata partner del progetto.
Ma accanto a questi livelli istituzionali di cooperazione, ne esiste uno più operativo che riguarda l?équipe redazionale. Un microcosmo femminile, dove ogni giorno lavorano fianco a fianco sei donne, tre cristiane e non algerine (oltre a Umberta, una rumena e una religiosa libanese) e tre locali, musulmane. «È un lavoro di équipe interessante e arricchente», dice Umberta. «Pur nella diversità di origini, cultura e fede, tutte abbiamo un messaggio per la donna algerina, di speranza, fiducia e apertura. Quello che ci unisce è un ideale comune di rispetto della dignità umana, di attenzione a chi è più in difficoltà oltre ai valori che possiamo dire universali: libertà, solidarietà, uguaglianza, giustizia, pace? È così che il nostro lavoro è prima di tutto un?esperienza di dialogo fra noi, perché ci dobbiamo confrontare su questioni e situazioni quotidiane che la donna algerina affronta, per cercare di offrire non tanto delle soluzioni, ma punti di riferimento che possano aiutare le nostre lettrici a trovare loro stesse le proprie risposte».
Lo scandalo del Codice
Hayat vuole essere uno strumento di formazione socio-culturale, rivolto soprattutto a donne che hanno un basso livello di istruzione e poche opportunità di emancipazione sociale. Per loro Hayat è una finestra sul mondo, su questioni che altrimenti sarebbero condannate a ignorare: un approccio semplice ma efficace ai diritti della donna, alla sua dignità e al suo ruolo prezioso nella società. «Anche qui», continua Umberta, «come ovunque nel mondo, la donna ha bisogno di essere considerata, riconosciuta e valorizzata nella sua ricchezza, ma anche formata, aiutata a conoscere e a capire il ruolo che è chiamata a svolgere nella famiglia e nella società. Certo, tutto questo rappresenta ancora oggi una conquista».
La tanto contestata approvazione del Codice della famiglia ne è l?ennesima riprova. Con questo atto il Paese fa enormi passi indietro e pone un pesante freno a un cammino che aveva visto la società civile e soprattutto le donne lottare non solo per il giusto riconoscimento dei loro diritti, ma anche per una società più aperta e pluralista.
Sta di fatto che oggi la donna algerina continua a essere considerata un cittadino di serie B, che necessita di un tutore maschio per concludere il matrimonio. La moglie deve obbedire al marito, il quale più prendersi più spose e può anche ripudiarle. Quanto all?eredità, alla donne spetta la metà di quello che va all?uomo.
«Nei villaggi», racconta Umberta, «è ancora relativamente frequente la poligamia. Purtroppo la povertà fa anche regredire i dati della scolarizzazione e le prime a farne le spese sono le bambine: se bisogna fare una scelta, sarà sempre in favore del maschio». Ancora oggi, nel Paese, il 30% della popolazione è analfabeta, e tra le donne la percentuale sale al 40. In ambito economico, nonostante una significativa crescita (+7% del Pil nel 2004) la disoccupazione resta attorno al 38% e sono soprattutto le donne a faticare nella ricerca di un impiego.
Sfogliando le pagine
«Oltre a servizi tecnici, come quelli di cucito, ricamo, ricette di cucina», dice Umberta, «Hayat tratta di alcuni temi cruciali come la vita di coppia, l?educazione dei figli, la salute, i diritti… Parallelamente pubblica articoli su personalità emblematiche, soprattutto femminili. In molte famiglie viene letta da tutti, e poi diventa oggetto di dialogo, anche tra marito e moglie. E sempre più suscita l?interesse anche di insegnanti, medici e paramedici, che la utilizzano come mezzo di formazione».
Nella rivista c?è anche una rubrica di testimonianze delle lettrici, con vissuti pieni di coraggio, abnegazione e speranza. Si parla anche di pace, dialogo e tolleranza. «Ho conosciuto Hayat grazie alle mie vicine», scrive una lettrice, «che mi hanno passato qualche numero. Questa rivista aiuta a imparare, è il legame tra la donna che resta in casa e il mondo esterno. Ho appreso molte cose, e mi sono decisa a chiedere aiuto, perché io e la mia famiglia siamo in pericolo. Grazie alla rivista ho imparato ad affrontare la vita con coraggio e a superare le difficoltà».
La scheda
Giornaliste nel Maghreb in crescita, ma minacciate
Il giornalismo è sempre più rosa in tutto il mondo, Mediterraneo compreso. Secondo l?ultimo studio della Federazione Internazionale dei giornalisti (Fig), riferito al 2001, la quota delle donne tra i professionisti negli ultimi 10 anni è salito dal 27 al 40%. Novità importante: ai primi posti, subito dopo i Paesi occidentali, arrivano Cipro, Marocco, Algeria e Tunisia. Anche se in questi Paesi sono ancora pochissime quelle che riescono a raggiungere posti di comando: le donne editore, capi di dipartimento o di testata sono solo lo 0,6%. E il futuro si preannuncia poco roseo per il lavoro delle donne dopo l?approvazione del nuovo Codice della famiglia, che reintroduce la figura del ?tutore?, o wali, perché la donna anche maggiorenne possa sposarsi. Unica apertura, la legge concede alla donna il diritto di scegliere il suo tutore. Resta anche la poligamia, seppure sottoposta al consenso previo delle mogli presenti e future e all?autorizzazione del presidente del tribunale competente che dovrà verificare il parere delle spose. Unici punti apprezzati dalle donne l?obbligo del marito di dare un tetto alla moglie e ai figli affidati alla madre, in caso di divorzio, e l?abolizione del matrimonio per procura con il quale una donna si ritrovava sposata a sua insaputa.
Anna Pozzi
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