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Adolescenti e genitori: al “Carro” c’è un aiuto per tutti

Da trent'anni a Monza si occupa di educazione e dispersione scolastica. Oggi "Il Carro" è diventato impresa sociale. La nuova urgenza? La salute mentale degli adolescenti e dei giovani (compresi i volontari). Con genitori che hanno anch'essi bisogno di aiuto

di Arianna Monticelli

Si chiama “il Carro”, si legge passione educativa. Quella che porta ad andare incontro ai ragazzi e alle ragazze, ogni volta cambiando pelle, con gli strumenti più adatti per guardare a peculiarità e urgenze sempre nuove. In questa cittadella nel cuore di Monza, negli spazi messi a disposizione dai padri Barnabiti al Carrobiolo, il contrasto al disagio giovanile, la lotta alla dispersione scolastica con scuole di seconda possibilità, l’accoglienza, il sostegno a ragazzi e famiglie e l’inclusione sociale sono una missione da 30 anni esatti. Questa storica realtà brianzola nel 2023 da associazione è divenuta impresa sociale, per rafforzare il lavoro di rete e per rispondere ancor più tempestivamente ai bisogni educativi del territorio. 

Dal 2011 alla direzione c’è Simona Ravizza. La regola con cui opera ogni giorno, accanto a un team composto da una quindicina di professionisti e da circa 60 volontari, è che “uno vale uno”. «Quando parliamo di protagonismo dei ragazzi, la partecipazione deve essere la metodologia di lavoro. Dare spazio ai loro desideri, dai più piccoli ai più grandi, è il cuore dell’intervento educativo», sottolinea la direttrice. La comunicazione unidirezionale non funziona. L’ascolto partecipato è la prima regola. Un esempio concreto è la nascita della squadra di calcio integrato: gli operatori si sono immaginati un appuntamento periodico nel campetto del centro ma poi sono stati i ragazzi a manifestare il bisogno di prendere parte a un campionato. «Oggi partecipano a gare Csi e l’inclusione è andata ben oltre il campo di gioco, perché è stato condotto un lavoro per far capire che il risultato è una loro conquista. Questo li motiva ad essere sempre più propositivi», dicono gli operatori.

Nuove forme di partecipazione

Con questa metodologia, nel 2024 “il Carro”, in un lavoro di rete, intende entrare nelle scuole medie per dare vita a “parlamenti scolastici” per la promozione dei diritti dei ragazzi e delle ragazze. «Si tratta di qualcosa di diverso rispetto ai consigli comunali dei ragazzi», precisa Ravizza, «che comunque, sono sempre di più una rarità. Ai più giovani serve una presa di consapevolezza delle loro potenzialità. Fare cultura educativa è produrre progetti insieme e non proporre semplici azioni». 

Al “Carro” operatori esperti, affiancati dai volontari a rotazione, si occupano del centro di aggregazione giovanile pomeridiano frequentato da 70 utenti, della scuola popolare (una quindicina gli studenti all’anno) capace di rimotivare allo studio, dell’esperienza della scuola per mare e di un centro diurno. Diverse le modalità di accesso alle attività: gli utenti arrivano su segnalazione dei servizi sociali, su indicazione delle scuole o con accesso assolutamente libero. Perché tra gli obiettivi c’è anche quello di integrare, far incontrare mondi e realtà diverse e affrontare le fragilità anche educando alla condivisione.


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Salute mentale degli adolescenti: un’urgenza ma non un’emergenza

Oggi l’urgenza è quella della salute mentale. Sempre più genitori arrivano al Carrobiolo disorientati, in cerca di aiuto. L’appello è il medesimo, in forme diverse: «Ho bisogno di qualcuno che mi indichi cosa fare con mio figlio». Talvolta sono i docenti a segnalare gravi problemi. La creazione del gruppo “Famiglia e benessere” è la prima risposta. «Da gennaio 2024 parte un’equipe multidisciplinare dedicata», spiega Ravizza. «Il coordinamento pedagogico permette la presa in carico di tutta la famiglia, con psicoterapeuta, pedagogista e operatori. Una neuropsichiatra infantile supervisiona il team». I genitori sempre più spesso non sanno come affrontare figli che non escono dalla stanza, che non vogliono più andare a scuola, che passano il tempo ai videogiochi in solitudine. Persino mangiare a tavola diventa un problema. «Non dobbiamo però lavorare sul concetto di emergenzialità, perché il limite dell’emergenza è che non prevede l’analisi della progressione del fenomeno. È su questo invece che si deve lavorare, con percorsi collettivi, domiciliari o di scuola popolare in base ai bisogni individuali, per non ritrovarsi mai spiazzati e agire subito», dice Ravizza. La fascia d’età più colpita è quella dai 14 ai 19 anni. Il primo gruppo di lavoro sarà di 6 ragazzi.

Tanti ragazzi arrivano per aiutarci; poi scopriamo che alle spalle hanno importanti storie di fragilità e necessitano di essere sostenuti esattamente come gli altri. Oggi l’elemento di autocura che c’è nel volontariato diventa spesso preponderante

Simona Ravizza

Il disagio dei volontari

Con maggiore frequenza succede anche che  a manifestare disagio siano i giovani volontari. «Tanti ragazzi arrivano per aiutarci; poi scopriamo che alle spalle hanno importanti storie di fragilità e necessitano di essere sostenuti esattamente come gli altri. Chiunque faccia volontariato gode di una forma di autocura. Quello che percepiamo oggi è che questo elemento di autocura diventa spesso preponderante rispetto alla scelta di ricercare il benessere attraverso il tempo donato per gli altri», evidenza Ravizza. Si agisce allora con un supporto, talvolta consigliando un impegno meno intenso. A volte basta un’attenzione in più. «Qui ci si abbraccia tantissimo e se per caso un giorno non vieni, ti chiamo e ti chiedo perché non ci sei: non è una forma di controllo, ma è l’attenzione di cui i ragazzi hanno immensamente bisogno». 

Foto dell’impresa sociale Il Carro


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