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Psicologia

Adolescenti, quanto pesa lo shaming?

Fra i minori autori di reato, sempre più spesso la messa alla prova termina con esito negativo. Una parte del problema sono i progetti standard. E se a monte ci fosse una conoscenza più approfondita dei ragazzi? «Nell'ambito del progetto "Tra Zenit e Nadir" abbiamo messo a punto due nuovi strumenti per una valutazione psicologica: uno "misura" lo shaming», spiegano Silvio Masin e Silvio Ciappi. Un webinar li presenta

di Sara De Carli

Da un lato c’è “il solito” progetto, standardizzato sulle possibilità offerte dalla rete territoriale che collabora con i servizi sociali: tipicamente, volontariato in una residenza per anziani. Dall’altro c’è la possibilità di creare un progetto sartoriale, che abbia a che fare con il singolo ragazzo, con le sue caratteristiche, con il reato commesso. In mezzo, c’è una valutazione del ragazzo, dal punto di vista psicologico. Un assessment che fa la differenza, anche in termini di adesione al progetto, di recidiva, di reinserimento del minore nella sua comunità di relazioni e che oggi può contare su due strumenti innovativi: l’intervista narrativo-relazionale e uno strumento per valutare lo shaming, ossia la vergogna.

Stiamo parlando di adolescenti e giovani adulti autori di reato e di giustizia ripartiva: della possibilità cioè di attivare percorsi efficaci di reinserimento sociale per giovani a cui invece la società tende a guardare solo come “cattivi ragazzi”, “irrecuperabili”. È destinato a loro il progetto “Tra Zenit e Nadir: rotte educative in mare aperto”, finanziato dall’impresa sociale Con i Bambini e frutto della consolidata collaborazione tra la Fondazione Don Calabria e il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (Cnca) nel campo della giustizia riparativa. 

Martedì 19 dicembre, dalle 10 alle 13, è in programma il quarto webinar di approfondimento sulla giustizia riparativa, gratuito e aperto a tutti (qui il programma e qui il form per iscriversi): il focus è proprio questo momento cruciale della valutazione psicologica dei ragazzi, come momento preliminare alla definizione del progetto. Di “Strutture di personalità e coinvolgimento dei minori autori di reato nei programmi di giustizia riparativa” parleranno Silvio Ciappi, criminologo, psicoterapeuta, psicopatologo clinico e forense e docente universitario, esperto di programmi di giustizia riparativa, Antonio Calvanese, psicologo e psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, vicepresidente dell’Ambulatorio sociale di psicoterapia della Fondazione Don Calabria di Verona e Filippo Resenterra, psicologo e psicoterapeuta a orientamento psicanalitico, responsabile dei progetti di area penale esterna di Areté cooperativa sociale di Legnago (VR). 

Valutare: ossia il contributo della psicologia alla giustizia riparativa

«Dopo due anni di attività, nell’ambito del progetto sta emergendo una metodologia valutativa dei minori, che abbiamo utilizzato su una cinquantina di ragazzi sui 320 presi in carico dal progetto. I risultati ci sono, questo punto della valutazione preliminare è uno dei prodotti del progetto che sta emergendo con maggiore evidenza. Con il webinar vogliamo condividere la metodologia di questa analisi valutativa e la sua efficacia», racconta Silvio Masin, responsabile tecnico dell’area minori di Fondazione Don Calabria per il Sociale Ets. Valutare cosa, esattamente? «Il singolo ragazzo, le sue condizioni psicologiche, il modo in cui riesce a narrarsi, il modo in cui si guarda e si sente guardato. È un’analisi per conoscerlo meglio», spiega Silvio Ciappi, psicoterapeuta e criminologo. Gli strumenti utilizzati sono due, come si diceva: l’intervista narrativo-relazionale, elaborata dallo stesso Ciappi e già pubblicata e uno strumento per valutare lo shaming. Li utilizzeranno gli psicologi, ma è possibile anche lo stesso educatore abbia un ruolo attivo nell’assessment. Il primo «è uno strumento capace di “vedere” quando il minore riesce a narrare se stesso e la sua famiglia, il contesto in cui vive, le strutture in cui abita. È un modo per far riflettere il ragazzo non solo sulle sue fragilità ma anche sulle sue risorse, tra cui c’è anche non la società ma la comunità, la sua comunità degli affetti», precisa Ciappi. Il secondo, quello che mette a fuoco il tema della vergogna, invece è uno strumento nuovo, utilizzato per la prima volta in Italia proprio nell’ambito del progetto “Tra Zenit e Nadir”, messo a punto in collaborazione con alcune istituzioni universitarie americane. Ma perché è interessante valutare la vergogna? 


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Perché misurare lo shaming?

È sempre Ciappi a rispondere: «La vergogna in questo momento è un sentimento molto presente nel vissuto degli adolescenti, più della “classica” colpa. Mentre la colpa nasce da un nostro sguardo interno, da un’idea di morale o di etica, la vergogna è un sentimento che nasce dalla riprovazione che ci arriva dall’esterno, dallo sguardo dell’altro, della società. La vergogna deriva dal fatto che lo sguardo del mondo su di noi è insufficiente, cattivo, negativo e che ci fa sentire goffi, inadatti, inadeguati. Oggi attraverso i social gli adolescenti sono perennemente esposti allo sguardo del mondo: lo shaming oggi è un tema centrale negli agiti e nella testa degli adolescenti, per questo noi vogliamo valutarlo clinicamente, tramite un test già tradotto e adattato ai ragazzi che incontriamo nei percorsi di giustizia minorile». 

La vergogna in questo momento è un sentimento molto presente nel vissuto degli adolescenti, più della “classica” colpa. È un tema centrale negli agiti e nella testa degli adolescenti, per questo vogliamo valutarlo clinicamente

Silvio Ciappi

Valutare perché?

La finalità di questo assessment clinico non è fare diagnosi fini a se stesse né “rileggere” attraverso queste chiavi le ragioni che hanno portato i giovani a compiere il reato che hanno compiuto, precisa Ciappi, ma offrire uno strumento utile al professionista che si interfaccerà con il minore, dando indicazioni utilizzabili nell’immaginare il suo progetto e nel relazionarsi con lui, posta – appunto -una conoscenza più precisa del suo funzionamento. «Sono strumenti utili per la presa in carico, l’ottica è questa», esplicita Masin. «Lo sguardo sul passato ci serve nella misura in cui ci dà indicazioni utili per il futuro. Più strumenti d’altronde è proprio la richiesta che arriva da chi lavora nei servizi della giustizia minorile. Il webinar aperto a tutti vuole proprio mettere a disposizione una tecnica e una metodologia, mostrare come questa prevalutazione prima di impostare i progetti diventi quasi una conditio sine qua non. Se partiamo dal progetto, come abbiamo sempre fatto, rischiamo una non adesione del ragazzo al percorso, e quindi il fallimento. I dati delle messe alla prova negative ne sono un esempio».

Attività del progetto Tra Zenit e Nadir – foto da Fondazione Don Calabria

Masin infatti racconta come le percentuali di messe alla prova con conclusioni negative, per i minori autori di reato, siano in crescita: «La ragione è proprio il fatto che non c’è una valutazione ex ante del ragazzo e questa mancanza non ci permette di costruire percorsi sartoriali per il singolo: si chiede troppo a un ragazzino che non è pronto o viceversa… Le statistiche parlano chiaro. Nel progetto “Tra Zenit e Nadir”, con 320 ragazzi presi in carico, in questo momento abbiamo una adesione altissima ai percorsi. I ragazzi si sentono più coinvolti nel loro percorso perché lo hanno co-costruito e perché avvertono che è fatto “su misura” per loro».

Le percentuali di messe alla prova con conclusioni negative, per i minori autori di reato, sono in crescita: una ragione è proprio il fatto che non c’è una valutazione ex ante del ragazzo e questa mancanza non ci permette di costruire percorsi sartoriali per il singolo

Silvio Masin

Antisocialità e prosocialità

L’ultimo aspetto su cui un approfondimento psicologico aiuta è quello della antisocialità e prosocialità. I ragazzi autori di reato – racconta Masin – «sono tutti caratterizzati da una grandissima solitudine: hanno una rete amicale irrilevante, una scarsissima rete sociale che li porta a non conoscere le opportunità offerte dal territorio, famiglie fragili e molto deleganti. In sintesi, hanno grandi difficoltà relazionali e vivono situazioni di confine». Per questo è importante fare arrivare al ragazzo il messaggio che non ci sono solo le fragilità ma anche le risorse e che tra le risorse c’è anche la comunità. «Non la società ma la sua comunità degli affetti», sottolinea Ciappi. «Qual è la comunità relazionale o affettiva che hai in testa? Come può attivarsi?». Questo ragionamento fatto insieme al ragazzo «facilita la fiducia nei confronti degli adulti. L’adolescente autore di reato tendenzialmente ha –  per quello che ci siamo detti – poca fiducia nei confronti dell’adulto, anche perché spesso un adulto che si interessa a lui e che cerca di aiutarlo  non lo ha mai visto. Incontrare una persona che si interessa a lui e non solo l’ennesimo professionista che deve adempiere a un compito, è una spinta importante per la prosocialità».

Foto di Jan Prokes, Pexels


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