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Famiglia

Adozione, invertire i fattori per vedere oltre l’etichetta di special needs

Non sono una novità gli "appelli" per provare a trovare una famiglia a bambini in situazioni particolari. La novità è la pubblicazione anche di una foto del bambino. Lo sta sperimentando AiBi per far capire che un bambino è più dei suoi special need. Intervista alla referente del progetto "Figli in attesa"

di Sara De Carli

Incontrarsi e scegliersi, prima di dire sì a un’adozione. Almeno in fotografia. Per provare a superare la freddezza delle etichette e mostrare che dietro uno special need c’è comunque e innanzitutto un bambino. È “l’inversione di fattori” che da fine luglio AiBi sta sperimentando con il portale “Figli in attesa”. Ce ne parla Monica Colombo, dello staff adozioni internazionali di AiBi, referente del progetto Figli in attesa.

Facciamo un passo indietro, come nasce questa idea?

Il portale si concretizza adesso, ma l’avvio della riflessione che vi ha portato risale a tantissimi anni fa. Nel corso degli anni in Italia sono già stati sperimentato diversi modi per lanciare degli appelli per l’adozione di alcuni bambini. Una ventina di anni fa, quando c’era pressoché solo la carta, ricordo delle inserzioni su Avvenire, Famiglia Cristiana, Donna Moderna per trovare famiglie disponibili all’affido, all’adozione nazionale o internazionale di minori. Erano anche qui casi specifici, spesso c’era una richiesta di intervenire e “far girare” l’informazione: per esempio una fratria, un fratello o una sorella già grande, un’adozione fallita. Anche AiBi l’ha fatto. Già allora sperimentavamo. Erano storie che andavano rese visibili perché altrimenti nessuno se di quei bambini se ne sarebbe occupato. Situazioni particolari, bambini fragili… Lo stesso discorso vale oggi, anche perché purtroppo non esiste ancora la famosa banca dati per cui nemmeno i tribunali riescono a far incrociare la disponibilità delle coppie con i bisogni dei minori, così che magari esiste in Italia la coppia x che è disponibile ad adottare un adolescente e sarebbe una buona famiglia per l’adolescente y, ma nessuno è in grado di fare questo matching fra territori diversi, a meno che la coppia dia disponibilità su più tribunali.

Oggi suscita qualche perplessità l’idea di una “vetrina” dei minori. Ieri no, solo perché la carta faceva meno paura del web?

Allora non faceva scandalo a nessuno, forse in effetti perché questi appelli restavano confinati sulla carta e parevano più gestibili. Ma non cambia molto, anche qui i nomi sono di fantasia, c’è solo l’indicazione della macroregione geografica e non c’è mai la data di nascita, solo l’anno.

Gli appelli raggiungevano il loro obiettivo?

C’erano sempre delle coppie che chiamavano, quando si fa un appello di questo tipo normalmente qualcuno che risponde c’è sempre, proprio perché l’appello ti coinvolge, tocca delle corde, tocca qualcosa di vivo in te. Ovviamente questa risonanza emotiva che ti fa chiamare è un punto di partenza, da lì ad arrivare all’adozione o all’affido ce ne passa… Però è un modo per sensibilizzare e portare all’attenzione di tutti una realtà dell’affido e dell’adozione che è un po’ diversa da quella stereotipata che abbiamo nell’immaginario e che ci passa una certa informazione. I bambini hanno sempre la loro storia, le loro caratteristiche, la loro dimensione.

Il punto quindi è come “far passare” questa storia, far “incontrare” il bambino al di là delle etichette di un’età o di uno special need.

Sì, per far trasparire la loro voglia di famiglia, il loro essere bambini in carne ed ossa, in una società che spesso ha una unica modalità di comunicazione.  Per questo abbiamo pensato di supportare i nostri appelli anche con delle immagini, come possibilità per questi bambini e ragazzini che stanno nelle “neglected list” di aprire un contatto. Parlo delle liste che i paesi di origine mandano periodicamente agli enti autorizzati, con i nomi dei ragazzini che fanno più fatica a trovare una famiglia. Abbiamo una ventina di storie, normalmente ne pubblichiamo una a settimana… Quando arriva la nuova lista dai vari paesi facciamo un check per controllare se quel bambino è ancora nella lista o è stato abbinato. Noi abbiamo deciso di creare un’area riservata, con accesso limitato alle sole coppie che hanno già un decreto di idoneità all’adozione internazionale, proprio perché lo scopo non è creare curiosità attorno a questi bambini ma aiutarli a trovare una famiglia. In altri Stati che lavorano con questa stessa modalità, queste informazioni sono aperte a tutti. È una modalità utilizzata negli Usa, in Brasile, nella Federazione russa, in Moldavia. Ricordo che qualche anno fa, qui, ci fu una trasmissione tv dedicata all’accoglienza che ospitava gli appelli dei bambini in attesa. Per noi è una cosa nuova, ma in diversi paesi di origine avviane da qualche tempo ormai.

In questa area riservata, che informazioni si trovano?

Maggiori informazioni rispetto a quel breve profilo che tutti possono vedere sul sito, ma sempre preservando la privacy. Per esempio invece di America Latina ci sarà il nome del paese, se il paese ci ha autorizzato a dirlo. Anche la foto la mettiamo solo se l’autorità centrale del paese lo ha esplicitamente autorizzato. E anche l’immagine del bambino, anche dove ci sono patologie, l’immagine non va a mettere in evidenza la patologia. L’idea è che al di là delle quattro righe in cui balza all’occhio una patologia o uno special need la foto aiuti a ricondurre tutto a un bambino: vogliamo far vedere che un bambino è più della somma di quelle righe. Crediamo che questo possa accadere se due adulti incrociano lo sguardo di un bambino, ne vedono il volto: lì può accadere che alcune paure si stemperano e si capisca che non è la sua età o la sua patologia quello che definisce un bambino. Prima avevamo un disegno, non una foto, che però si ispirava sempre alla foto: la novità è l’aggiunta delle fotografie.

Una delle proposte di AiBi è quella delle vacanze preadottive, che ancora di più vanno in questa direzione di conoscersi e scegliersi…

Se crediamo che mettere una foto ci possa aiutare a far vedere l’anima che c’è oltre le poche righe di un testo, figuriamoci cosa accade quando un bambino e una coppia possono sperimentare cosa sia una relazione vera. Anche questo progetto viene da lontano. Già vent’anni le coppie che arrivavano all’adozione erano in generale molto legate all’idea del bambino piccolo, tranne quelle che avevano ospitato i bambini dei vari soggiorni terapeutici dalla Bielorussia o dall’Ucraina, che chiedevano l’adozione di bambini già grandi. Ci siamo interrogati sul perché di questa differenza. La risposta è che quelle famiglie avevano potuto vivere una relazione con il bambino. In quei casi la coppia e il bambino erano consapevoli e si sceglievano. Le vacanze preadottive sono un progetto specifico della Colombia, che prevederebbe un mese di vacanza, sperimentando una cultura diversa e cosa significa vivere in una relazione famigliare. Sono stata in Colombia già nel 2010 per parlarne e la Colombia ha in corso colloqui con le autorità centrali di diversi paesi su questo.


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