Famiglia

Adozioni internazionali, per il rilancio manca una voce (e forse un tavolo)

Se davvero vogliamo rilanciare le adozioni internazionali, ecco che tra i tanti soggetti coinvolti nei tavoli di lavoro avviati dalla Cai c'è un grande assente: le persone con background adottivo. La parola a tre di loro: Alessandra Pritie Maria Barzaghi, Manuel Antonio Bragonzi e Devi Vettori, più un'operatrice, Daniela Bertolusso. Posizioni diverse, ma un punto in comune: «Lo sguardo dei figli oggi non può più mancare»

di Chiara Ludovisi

Per le adozioni internazionali è – almeno dovrebbe essere – l’ora del rilancio: nel nostro Paese, che ha visto un calo esponenziale dei numeri negli ultimi 15 anni (dai circa 4 mila bambini adottati all’anno nel 2010 a meno di 500 adozioni annue negli ultimi tempi), la riforma è quanto mai necessaria, al di là dei numeri. Nelle scorse settimane la Commissione Adozioni Internazionali ha avviato quattro tavoli tecnici che avranno il compito di elaborare proposte in risposta alle principali criticità (ne ha scritto qui Sara De Carli), in vista dell’Assemblea Generale degli Enti Autorizzati che si svolgerà nella prossima primavera.

Intorno a questi tavoli sono stati convocati i principali soggetti coinvolti nel sistema adottivo internazionale: rappresentanti della Cai, degli enti autorizzati, della magistratura minorile, professionisti ed esperti, rappresentanti delle associazioni familiari di carattere nazionale.

Il grande assente

C’è però un grande assente. A questi tavoli e, più in generale, in tutti i luoghi e i momenti di discussione e confronto necessari per la riforma: è l’adulto con background adottivo. Se infatti da un lato sono presenti e partecipi le associazioni dei genitori e delle famiglie, dall’altro esistono però anche gli adulti con background adottivo che da tempo chiedono di contribuire alla riflessione, portando un punto di vista imprescindibile: quello di chi l’esperienza dell’adozione l’ha vissuta da figlio.

Ne abbiamo parlato con tre di loro, tutti adulti, alcuni genitori e alcuni genitori adottivi a loro volta, tutti coinvolti in associazioni, tutti particolarmente attenti, interessati al mondo delle adozioni, alle sue luci e alle sue ombre. Un sistema che – su questo sono tutti d’accordo – può e deve essere migliorato. Per quanto differenti siano i loro punti di vista e le priorità indicate da ciascuno, alcune istanze comuni esistono e – dicono – è giusto e necessario che siano condivise nei luoghi politici e istituzionali in cui la riforma si va costruendo. 

«Oltre l’estetica dell’ascolto»

Alessandra Pritie Maria Barzaghi è figlia adottiva, madre biologica e madre adottiva, ha un fratello adottato in adozione nazionale e un fratello che è figlio biologico dei suoi genitori. «L’adozione, insomma, attraversa tutta la mia esistenza. Credo nell’importanza di dare voce a più storie possibili, come ho fatto nel libro Le verità dei figli adottivi, una biografia di comunità che documenta il senso collettivo di un gruppo di persone con storia adottiva. Il fine è il riconoscimento, la comprensione e la valorizzazione di un sentire comune». La realtà, però, ad oggi è diversa: «Il nostro coinvolgimento è ancora marginale, spesso simbolico e selettivo. La voce delle persone con backgorund adottivo viene spesso usata come testimonianza di storie a lieto fine, ma non riconosciuta come competenza generativa. Noi di PuntoAdozione (l’associazione fondata da Barzaghi, ndr) la chiamiamo “estetica dell’ascolto”: ti invito, ti ascolto, ma non ti lascio incidere davvero. Manca, in generale, una presenza strutturata e stabile degli adottati nel dibattito pubblico». 

Alessandra Pritie Maria Barzaghi 

Manca, questa presenza, anche nei tavoli istituiti dalla CAI in vista dell’Assemblea degli Enti Autorizzati: di qui l’idea, suggerita proprio da Alessandra, di «chiedere un altro tavolo, dedicato a noi: uno spazio nostro, tra pari, dove elaborare e proporre. Vorrei sperimentare un Open Space Technology per l’adozione: una metodologia orizzontale, partecipativa, senza agende precostituite, dove i partecipanti scelgono i temi da sviluppare e costruiscono le proposte. Avere un tavolo dedicato non è una richiesta di visibilità, ma di legittimità. Chi abita l’adozione dall’interno può vedere le crepe invisibili e le fragilità sistemiche dalle quali partire». Perché, allora, si fatica tanto a far sentire la voce degli adulti con un background adottivo? «La difficoltà affonda le radici in quello che chiamo “adottismo”, l’atteggiamento culturale che idealizza l’adozione come gesto salvifico e minimizza le complessità. Questo ci ha relegati troppo a lungo nel ruolo di figli da proteggere, non di adulti da ascoltare. Ma da qualche tempo qualcosa si muove. I nostri gruppi AMA Adozione (che sono gratuiti, si tengono online e sono organizzati in collaborazione con l’Associazione AMA Milano Monza e Brianza) dimostrano che il confronto tra pari funziona. Gli intergruppi con i genitori stanno portando aiuti concreti e sollievo alle famiglie. Gli adottati devono essere riconosciuti come adulti pensanti, portatori di sapere e visione». In cosa consiste questa visione? Innanzitutto, del «superamento del modello clinico che patologizza l’adottato. E anche in un cambio di narrazione: l’adozione non può più essere descritta solo come un atto d’amore. È un cammino da fare insieme, genitori e figli, nel tempo necessario. Non per “diventare genitori” o “diventare figli”, ma per intraprendere un percorso consapevole, che può essere arricchente se si parte da premesse corrette. Per troppo tempo gli adottati adulti sono stati percepiti come testimoni emotivi, ma non come persone competenti nella propria esperienza. Eppure, possono portare contributi critici, strumenti narrativi, sguardi trasformativi. Possono offrire chiavi di lettura nuove e prospettive oggi assenti nei luoghi in cui si decide l’adozione».

«Il figlio adottato non è un eterno bambino»

Manuel Antonio Bragonzi oggi ha quasi 50 anni. Ne aveva 8 quando una coppia milanese affrontò un lungo viaggio fino al Cile, dove Manuel era cresciuto, sotto la dittatura di Pinochet e sfuggito alla violenza del nonno. Dopo tre anni di vita da solo nel bosco, era stato trovato e trasferito in orfanotrofio, finché quei due giovani milanesi non gli offrirono il calore di una famiglia. Oggi Bragonzi è presidente dell’Associazione Nazionale Figli Adottati. «Abbiamo sempre desiderato e chiesto di partecipare ai tavoli e in generale ai confronti sulle adozioni nelle sedi istituzionali. Eppure continuiamo a non essere coinvolti. Questo ci dispiace, perché siamo sicuri che il nostro punto di vista sia fondamentale: il punto di vista dei figli, che può essere molto diverso da quello dei genitori».

L’idea di un ulteriore tavolo di lavoro, dedicato agli adulti adottati, invece, non lo convince: «Non credo sia una buona idea: il confronto deve essere tra tutte le figure coinvolte nell’ambito dell’azione: figli, genitori, operatori, solo tutti insieme potremmo giungere a delle conclusioni utili per rilanciare le adozioni internazionali». 

Manuel Antonio Bragonzi

C’è – questo va detto – un problema di rappresentanza: se le associazioni di adulti adottati esistono, alcune di queste sono però molto piccole e le posizioni, così come le priorità, sono spesso molto diverse e distanti: «Ciò non toglie che alcune istanze comuni ci siano e che potremmo portare quelle al tavolo di lavoro: per esempio, il sostegno in tutta la fase post adottiva, oggi molto carente e spesso responsabile di tanti fallimenti adottivi. A tal proposito, è possibile che alcune nostre posizioni siano distanti anche da quelle delle associazione dei genitori: per esempio, io personalmente non sono del tutto d’accordo sulla riduzione dei tempi prima dell’adozione, anzi penso che quattro incontri non bastino, credo ne servano almeno dieci per conoscere la famiglia e quindi riconoscerne l’idoneità. Questo non significa allungare i tempi, ma aumentare i confronti».

Dal punto di vista dei figli, però, la priorità non è tanto ridurre i tempi prima, quanto potenziare il supporto dopo: «Chiediamo una maggiore cura per il post adozione e credo che su questo siamo tutti d’accordo, pur nelle diverse sfumature e sfaccettature: innanzitutto occorre una maggiore attenzione al trauma vissuto dal bambino, che non è l’adozione, come si usa pensare, ma ciò che il bambino o la bambina hanno vissuto prima dell’adozione. Un anno di post adozione da parte dei servizi è davvero poco, innanzitutto per i figli ma anche per i genitori, spesso costretti a provvedere poi autonomamente a percorsi terapeutici e di sostegno. Dopo un anno, attualmente, la famiglia viene di fatto abbandonata. Credo che proprio la richiesta di una maggiore attenzione a questa fase possa essere l’istanza comune e condivisa non solo tra noi figli, ma anche con tutti gli altri soggetti coinvolti nel percorso. La nostra partecipazione ai tavoli è indispensabile per attuare quella riforma efficace che tutti desideriamo», afferma Bragonzi. E conclude: «Penso però che serva anche un cambiamento culturale: siamo abituati ad associare l’adozione all’immagine dei bambini, ma questi bambini poi diventano adulti, con un loro punto di vista e idee utili per il dibattito». 

«Serve una prospettiva politica»

Devi Vettori, nata in India e adottata a Firenze, oggi vive a Bologna ed è formatrice su tematiche adottive. Mamma di due bambini, è una delle fondatrici dell’associazione Legàmi Adottivi OdV. «Al momento, non credo siano state interpellate persone con storie di adozione, né a titolo personale né di associazionismo. O forse sono state coinvolte e semplicemente io non lo so. Ma se in effetti non venisse ascoltata la voce delle persone con background adottivo, sarebbe una grossa perdita in termini di pluralità di sguardi e di punti di vista. Credo sia importante un confronto anche con chi può portare nel discorso sfaccettature diverse», afferma. Un tavolo dedicato per lei può essere una buona idea, purché sia «sempre in dialogo con tutti gli altri tavoli, in uno scambio dove più voci trovino spazio. In verità dovrebbero esserci rappresentanti degli adottati in ogni tavolo».

Devi Vettori

Per quanto riguarda il tema della rappresentanza, «credo che l’esperienza biografica vissuta non possa essere l’ unico requisito per la partecipazione ai lavori, ma che serva una elaborazione non solo personale rispetto ai vari temi, oltre alle competenze per poterle affrontare. Per questo penso che, almeno al momento, potrebbero essere coinvolti i rappresentanti di associazioni, piuttosto che i singoli, così da evitare anche focus personali sia a livello di esperienze che di visioni. In definitiva, credo serva avere una prospettiva politica, intendendo come politica non la vicinanza rispetto ai partiti ma la consapevolezza che ci si muove nella società come cittadine e che le scelte rispetto a temi che coinvolgono la società hanno e devono avere una rilevanza che vada oltre l’esperienza del singolo». 

«Un tavolo dedicato no, ma il coinvolgimento è necessario»

Un tavolo “riservato” alle persone con un background adottivo non convince nemmeno Daniela Bertolusso, operatore di Avsi per le adozioni internazionali, con una lunghissima esperienza sia con le famiglie sia con gruppi di adulti che sono stati adottati. «Stiamo parlando di tavoli di lavori, finalizzati a proporre modifiche concrete e di sistema. Ben venga il punto di vista delle persone con background adottivo, ma all’interno dei tavoli esistenti, non con un tavolo a sé. Posto, ovviamente, che è la Cai a convocare i tavoli e a stabilirne la composizione». Il tema, però, c’è: «Io stessa, che faccio parte del tavolo di lavoro di lavoro dedicato alla formazione pre-decreto, coordinato dalla dottoressa Gemma Tuccillo, ho sollevato la questione della necessità di coinvolgere le persone con background adottivo».

Accanto ai quattro tavoli tematici avviati in vista della Assemblea Generale degli Enti Autorizzati, infatti, c’è un altro gruppo all’opera: quello dedicato alla formazione iniziale degli aspiranti genitori adottivi. «Un tema importante, dal momento che l’adozione internazionale di oggi richiede genitori adeguatamente preparati fin dall’ inizio», annota Bertolusso: parliamo di coppie e – a seguito della sentenza numero 33 della Corte costituzionale dello scorso marzo – anche di single. Una parte del lavoro sarà quindi connesso a questa novità, mentre un’altra parte è volta a superare la estrema differenza nella formazione pre-decreto che oggi c’è sui territori, che vede Piemonte, Emilia Romagna, Toscana e Veneto particolarmente impegnate (quella erogata dagli enti autorizzati dopo il conferimento del mandato è appena stata rivista, con le linee guida in vigore dal 1° maggio 2024). Il Tavolo ha iniziato i lavori il 10 giugno e chiuderà il 16 settembre: i suoi componenti stanno esaminando i protocolli operativi delle varie regioni e porteranno la loro analisi e le loro conclusioni in Conferenza Stato-Regioni, dal momento che questa formazione compete ad esse. A ottobre si terrà un seminario residenziale per gli operatori pubblici dell’adozione internazionale ed entro la fine dell’anno un convegno in cui ci si confronterà anche con il lavoro che sta facendo l’Associazione Italiana Magistrati per i Minori e per la Famiglia – Aimmf.

«Uno dei contributi che ho portato al Tavolo riguarda proprio il fatto che la formazione iniziale degli aspiranti genitori adottivi è troppo adultocentrica, ci si trova a confrontarsi con operatori, coppie che hanno già adottato, rappresentanti delle associazioni familiari… ma manca il punto di vista delle persone con background adottivo», afferma Bertolusso. «Ci sono territori in cui questa richiesta sta già prendendo sostanza. È ovvio che queste persone devono essere preparate, perché il tema non è “portare una testimonianza”, fare una narrazione autobiografia o avere un atteggiamento rivendicativo».

Foto di apertura da Unsplash. Le foto interne sono state fornite dagli intervistati. Ha collaborato Sara De Carli

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