Volontariato

Affinati: «Willy, l’eroe che prima non c’era»

Ripartire in nome di Willy Monteiro Duarte significherebbe compiere un grande atto educativo: mettere a tema la nostra fragilità riscoperta e la risposta corale a cui necessariamente siamo chiamati. Senza paura di usare la parola che Willy ha dimostrato di conoscere bene: fratellanza. La proposta dello scrittore Eraldo Affinati, fondatore della scuola Penny Wirton

di Sara De Carli

Willy è un eroe positivo da affidare ai giovani. Proprio in questi giorni, in cui la scuola riparte. Ripartire in nome di Willy Monteiro Duarte significherebbe compiere un grande atto educativo, mettere a tema la nostra fragilità appena riscoperta e la risposta corale che a cui necessariamente siamo chiamati. È così che ha Eraldo Affinati – scrittore, professore e fondatore della Penny Wirton, scuola gratuita d'italiano per migranti – rilegge il tempo che stiamo vivendo, unendo la cronaca che leggiamo sui giornali, magari illudendoci che sia lontana, che si impasta con il tessuto dei giorni di tutti.

Che significa concretamente il suo invito a ripartire nel nome di Willy?
Willy Monteiro Duarte rappresenta un eroe positivo per i giovani, che spesso tendono a identificarsi con personaggi malavitosi. Qui – serve ripeterlo? – c’è anche una responsabilità dei media, perché l’eroe positivo solitamente è un fallito o uno sfigato, uno con cui un adolescente difficilmente si può identificare. Willy invece è un ragazzo come tanti altri, che giocava a pallone, era diplomato all’alberghiero, che aveva una grande vitalità. Era come tanti altri ma sapeva bene tre cose: cos’è la generosità, cos’è la capacità di reagire di fronte a un’ingiustizia e cos’è l’amicizia. Willy è morto per aiutare un amico, è uscito dalla zona d’ombra per un amico, è entrato in azione per lui. Ha pagato prezzo più alto, ha pagato troppo, ma è un esempio clamoroso di amicizia. L’amicizia è la chiave, perché i ragazzi oggi hanno perso la dimensione di fede, anche quella di fede in una ideologia o politica, sono estremamente disillusi, ma hanno invece una enorme fiducia nell’amicizia.

L’eroe positivo solitamente è un fallito o uno sfigato, uno con cui un adolescente difficilmente si può identificare. Willy invece ha pagato prezzo più alto, ha pagato troppo, ma è un esempio clamoroso di amicizia. L’amicizia è la chiave, perché i ragazzi oggi hanno perso la dimensione di fede, anche quella di fede in una ideologia o politica, sono estremamente disillusi ma hanno invece una enorme fiducia nell’amicizia.

Willy Monteiro Duarte rappresenta un eroe positivo per i giovani o potrebbe rappresentarlo? Perché è difficile francamente pensare che un pezzo di mondo giovanile, per come arriva anche alle cronache, possa amozionarsi e appassionarsi e identificasi con chi entra in azione in prima persona per un amico…
Quello è il lavoro nostro, di adulti e di educatori. Abbiamo un’occasione. Noi dovremmo riuscire a indicare Willy come esempio di un ragazzo che si è speso ed è uscito dall’indifferenza. Ha aperto gli occhi e lo ha fatto in modo istintivo, anche questo è interessante. Io credo che qui ci sia anche un pezzo della sua origine capoverdiana, di ragazzi di seconda generazione come lui, con la scuola Penny Wirton, ne conosco moltissimi e senza retorica mi sento di dire avere una storia multiculturale, una storia di migrazione, potrebbe avergli dato una carta in più. Anche se non se ne rendono conto, l’avere dentro di sé e in famiglia esperienze diverse, li rende più originali, più capaci di capire le ragioni dell’altro, più flessibili, proprio perché hanno tante identità dentro di sé.

La pandemia ci ha fatto capire che non basta curare se stessi e che il mors tua vita mea non funziona. Il Covid ha rovesciato quel detto latino, oggi sappiamo che nessuno si salva da solo ma che ci dobbiamo salvare insieme: vita tua vita mea. La consapevolezza di questa coralità prima del Covid era più pallida. Per questo dobbiamo cercare di non perderla.

Lei ha indicato fragilità e coralità come parole-chiave della ripartenza post Covid19. Perché?
La pandemia ci ha lasciato un sentimento positivo, su cui come educatori dobbiamo lavorare: è il sentimento di fragilità e di coralità. Ci siamo sentiti tutti sotto minaccia, fragilit, e dobbiamo cercare di non smarrire quel senso di vitalità che è nato per rispondere alla fragilità. Molti ragazzi si sono sentiti chiamati a un intervento militante. Dobbiamo ripartire da questo sentimento. Insieme a Marco Gatto, in un libro che sta per uscire – I meccanismi dell’odio – abbiamo ragionato proprio su questo. La pandemia ci ha fatto capire che non basta curare se stessi e che il mors tua vita mea non funziona. Il Covid ha rovesciato quel detto latino, oggi sappiamo che nessuno si salva da solo ma che ci dobbiamo salvare insieme: vita tua vita mea. A cui aggiungo che non si può essere felici se l’infelicità colpisce chi ti sta accanto. La consapevolezza di questa coralità prima del Covid era più pallida. Per questo dobbiamo cercare di non perderla. Non dobbiamo dimenticare quella paura che ci ha – diciamolo – affratellato. Come educatori abbiamo la sfida di riuscire a conservare questo germoglio di sentimento di fratellanza, trasversale, che ci unisce al di là delle passioni politiche, dei colori e delle diversità. In questo senso il nostro sguardo deve andare su Willy, perché solo quella sua risposta vitale può contrapporsi alla rabbia e all’ignoranza. La risposta alla violenza e al vuoto degli aggressori di Willy è solo il recupero delle ragioni di cui Willy si è fatto, senza pensarci, protagonista.

L’altro appello che lei ha fatto è quello a dare spazio ai giovani, a fidarci di loro, a renderli protagonisti… È stato fatto oggettivamente poco, anche in questa riapertura delle scuole: ci siamo per lo più limitati a dargli elenchi di regole da seguire e doveri da rispettare.
Alla Penny Wirton – siamo arrivati a 50 scuole in tutta Italia, con un rapporto uno a uno – abbiamo formato alcuni liceali italiani ad essere docenti dei loro coetanei immigrati. In questi giorni ne stiamo chiamando alcuni, perché oltre alle lezioni a distanza stiamo organbizzando dei piccoli gruppi che girino per Roma per fare lezione all’aperto, al Colosseo, al Circo Massimo, sulle rive del Tevere… i ragazzi italiani e i ragazzi immigrati. È molto bello sentire la loro disponibilità, devo dire che sono loro in questi giorni a dare fiducia e forza a me.

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Cara lettrice, caro lettore: il 25 e 26 ottobre alla Fabbrica del Vapore di Milano, VITA festeggerà i suoi primi 30 anni con il titolo “E noi come vivremo?”. Un evento aperto a tutti, non per celebrare l’anniversario, ma per tracciare insieme a voi e ai tanti amici che parteciperanno nuovi futuri possibili.