Mondo
Africa: l’agenda di Bush
Stanotte il presidente americano partirà per l'Africa. 5 i Paesi visitati in 5 giorni. Le sue dichiarazioni
di Redazione
Il presidente americano George W. Bush lo aveva detto chiaro nel corso della campagna presidenziale: l’Africa e’ fuori dagli interessi strategici della sicurazza nazionale. Ma poi le cose si sono fatte piu’ complicate (terrorismo, aids, rischi petroliferi, scontri commerciali, e via dicendo) rispetto alle prime letture: ed ecco che stanotte parte per il continente nero. Un tour de force: cinque paesi e ancor piu’ capi di stato in cinque giorni. Portera’ una bisaccia carica di doni; ma e’ gia’ chiaro che saranno modulati con attenzione rispetto alla buona volonta’ dei partner; e trovera’ una sostanziale antipatia di fondo, poiche’ gran parte dell’Africa, a partire da Nelson Mandela, ha condannato l’intervento in Iraq. Ma ha, anche, uno straordinario bisogno di aiuti.
Rispetto a questa doppia situazione, Bush ha rilasciato alla Cnn International una dichiarazione: ”E’ molto importante che gli Usa non mostrino al mondo solo i muscoli, ma anche il cuore”. E dunque, prima tappa in Senegal, con sosta obbligata (prima di lui l’avevano fatto il suo predecessore Bill Clinton, festeggiatissimo ma con la bisaccia vuota, e Giovanni Paolo II; ma anche tutti i turisti reduci dai bagordi di Dakar, dove per pochi e svalutati franchi centroafricani si puo’ avere di tutto e di piu’) a Goree, lfiisola dove venivano ammassati gli schiavi, poi spediti a dissodare il ‘nuovo mondo’. ”Il peccato originale degli Usa”, l’ha definito il consigliere per la sicurezza nazionale signora Condoleezza Rice; e su questa lunghezza d’onda parlera’ Bush. Ma la parte importante della tappa (peraltro poco piufi di mezza giornata) non sarafi certo quella, tutta mediatica, dellfi isola degli schiavi; bensifi lfiincontro con i presidenti regionali (oltre a quello senegalese, quelli di Ghana, Mali e Sierra Leone), con cui si dovrafi fare il punto sulla vicina Liberia. Il cui presidente Charles Taylor efi, infine, sulla via dell’esilio in Nigeria, come imposto da Bush, ma continua ad invocare, e con lui tutta la regione, force di peacekeeping statunitensi. E Washington continua a esitare. Da Dakar a Pretoria, Sudafrica, dove il vecchio Mandela (amicone di Clinton) non si fara’ trovare. Ma il presidente attuale Thabo Mbeki si’: aids e commercio certamente sul tavolo; ma anche lo Zimbabwe, da dove il ‘padre padrone’ Robert Mugabe non si vuole muovere, malgrado la rovina del paese. Finora Pretoria e’ stata morbida nei suoi confronti; ma forse la ‘bisaccia’ di Bush la spingera’ su posizioni piu’ dure. Il presidente americano porta, infatti, 15 miliardi di dollari di aiuti quinquennali per la lotta all’Aids (in realta’ virtuali: promessi, cioe’, ma non stanziati: potrebbero sbloccarsi, e presto, soprattutto verso i paesi piu’ amici); e, ancor piu’ importante, l’Agoa, African Growt and Opportunuty Act. E’ una legge che apre i protettissimi mercati Usa all’export africano: ma, ed e’ esplicitamente affermato, solo ad alcuni selezionati paesi. Poi sara’ la volta del Botswana, ancora tanto aids, e dell’Uganda, dove ci saranno si’ i complimenti al presidente Yoweri Museweni per i brillanti risultati raggiunti contro la sindrome da immunodeficienza acquisita; ma anche, e lo scrive oggi l’autorevole settimanale regionale East African, un richiamo al leader ugandese perche’ eviti un terzo mandato presidenzale. A Kampala Bush incontrera’ forse altri presidenti, tra cui quello keniano Mwei Kibaki. Ottimi i rapporti bilaterali, ma paura del terrorismo (il che ha fatto cancellare a Bush la tappa di Nairobi, prevista nel viaggio di gennaio, poi annullato per la guerra in Iraq). E sara’, tra le altre, una buona occasione per tirare fuori un’altra cornucopia dalla bisaccia: 100 milioni di dollari per la lotta al terrorismo. Infine la tappa in Nigeria. Oggi sconvolta da durissimi scontri tra polizia e scioperanti: si parla di oltre una decina di morti. Democrazia ed aids in primo piano; ma, sullo sfondo, il petrolio. La Nigeria e’ l’ottavo esportatore mondiale, ed ha ancora margini di crescita: Washington la vuole stabile ed alleata, cosi’ da garantire approvviggionamenti in caso di crisi mediorientali. E’, sostanzialmente, lo stesso motivo per cui si batte molto per la pace in Sudan (oggi in Kenya riprendono i negoziati), altro grande, ma per ora essenzialmente potenziale, produttore di petrolio.
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