Mondo

Aibi e Ciai, si accende il confronto

In allegato il documento firmato da Ciai, Anfaa, Batya e Cnca che risponde al Manifesto per una nuova legge dell'adozione internazionale promossa da Aibi

di Benedetta Verrini

No, l’adozione non è in crisi. Non tutti i bambini vulnerabili sono anche adottabili. Non servono più adozioni internazionali, ma adozioni più rispettose del criterio di sussidiarietà. Il Ciai (insieme ad Anfaa, Batya e Cnca nel documento allegato) risponde punto su punto al “Manifesto per una nuova legge dell’adozione internazionale” promosso da AiBi qualche tempo fa.

L’associazione fondata da Marco Griffini aveva infatti predisposto un “manifesto politico” volto al rilancio dell’adozione internazionale in cui si manifestava una grande preoccupazione per i numeri e i trend del settore: secondo AiBi, infatti, la forbice tra bambini abbandonati e disponibilità delle coppie ad adottare si sta allargando drammaticamente. Per questo motivo, l’ente ha distribuito presso tutti i tavoli istituzionali una proposta di rilancio dell’adozione, che prevedesse anche nuovi istituti come il riconoscimento della kafala, l’affido internazionale e la preadozione dei nascituri.

Il manifesto AiBi è arrivato anche alle oltre 80 organizzazioni che si ritrovano nel gruppo Crc e che valutano l’applicazione della Convenzione dell’Infanzia nel nostro Paese. Il solo altro ente autorizzato alle adozioni internazionali all’interno del gruppo Crc è proprio il Ciai che, dopo un’attenta riflessione, in collaborazione con Anfaa, Batya e Cnca ha deciso di prendere le distanze dalle posizioni AiBi.
In sostanza, il contro-manifesto rianalizza i dati sulle adozioni e invita a non eccedere nei toni: l’Italia resta il secondo paese nel mondo nella classifica delle adozioni, i dati Unicef sui bambini orfani nel mondo (168 milioni) parlano di minori che non sono necessariamente abbandonati e dunque non in stato di adottabilità.

Anzi, sottolineano Ciai, Anfaa, Batya e Cnca, proprio perché i bambini vulnerabili, nel mondo, sono così tanti, è necessario promuovere nei paesi d’origine politiche sociali atte a farli crescere in una famiglia (nella propria oppure, quando ciò è impossibile, in un’altra affidataria o adottiva nella loro comunità d’appartenenza) e non bisogna utilizzare lo strumento della cooperazione internazionale per ottenere più bambini stranieri da adottare. Con ciò, viene ribadita un’assoluta contrarietà al trasferimento della Commissione Adozioni sotto l’egida del Mae (oggi è incardinata presso la Presidenza del Consiglio).

Sul fronte legislativo nazionale, poi, le quattro organizzazioni rigettano l’ipotesi di ampliare il quadro dell’adozione a kafala, affido internazionale e adozione del nascituro. “La kafala è e resta una forma di affido nel diritto islamico”, sottolinea Marina Raymondi, responsabile del Centro Studi Ciai, “La sua forma giuridica non è compatibile con l’adozione legittimante italiana e non rientra nemmeno nel campo di applicazione della Convenzione Aja del 1993. L’affido internazionale è un istituto non necessario e foriero di abusi, potrebbe nascondere forme di “adozione in prova” assolutamente ingiuste nei confronti dei minori. Sull’adozione del nascituro, infine, esprimiamo una netta contrarietà: è necessario prevenire comportamenti predatori e solo dopo la nascita, libera da condizionamenti, la partoriente può decidere se riconoscere o no il proprio bambino”.

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.