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Attivismo civico & Terzo settore

Al presidente poligamo non bastano tre mogli

Un'analisi disincantata della situazione politica e sociale del Paese

di Padre Giulio Albanese

Zuma incarna i due volti
di una nazione che vuole modernizzare il continente. Ma che è ancora
prigioniera di logiche populistiche e di un potere dai contorni tirannici.
La vera scommessa sarà quella di ridurre la forbice tra ricchi e poveri
Il Sudafrica potrebbe esprimere – basta consultare un manuale aggiornato di geografia economica per rendersene conto – livelli di benessere pari, se non addirittura superiori, agli standard occidentali, ma è ancora ostaggio del proprio passato coloniale. Il tanto agognato “rinascimento africano” che doveva caratterizzare la svolta del “dopo apartheid” non ha ancora generato quei risultati promessi sia dal Padre della Patria, Nelson Mandela, che dal suo successore, l’ex presidente Thabo Mbeki. Per carità, è già stato un miracolo che sia stata scongiurata la guerra civile nel momento in cui avveniva il tracollo del regime segregazionista. E invece l’odioso regime di Pretoria uscì di scena senza che – miracolosamente, è il caso di dirlo – vi fossero inutili spargimenti di sangue.
Quell’11 febbraio del 1990 era un giorno limpido di fine estate quando dal cancello del penitenziario di Victor Vester, vicino Città del Capo, usciva dopo 27 anni il detenuto politico numero 46664. Ma vent’anni dopo la liberazione di Mandela il cammino per l’affermazione del “bene comune” è ancora in salita, se si pensa che oggi il potere è tutto concentrato nelle redini di un personaggio alquanto controverso, il presidente Jacob Zuma.
A preoccupare gli analisti non è tanto il fatto che sia un poligamo estremamente prolifico capace di seminare figli a destra e a manca, anche fuori dei matrimoni contratti con le sue tre mogli ufficiali, quanto piuttosto il suo modo di fare politica che, a detta dei suoi detrattori, risponde alle logiche nepotistiche e populistiche tipiche di certi regimi africani.
Basta leggere il recente rapporto pubblicato da Amnesty International The State of the World’s Human Rights per rendersi conto delle evidentissime debolezze dell’apparato statale e amministrativo sudafricano. «Corruzione e nepotismo», stigmatizza Amnesty, «impediscono alla popolazione di aver accesso ai servizi di base e agli alloggi e portano al collasso le amministrazioni locali amplificando le proteste delle comunità colpite. Povertà, crescenti tassi di disoccupazione e di criminalità, così come la crisi nella sanità pubblica, sono sfide importanti per il nuovo governo». Per non parlare dei limiti del sistema giudiziario, soprattutto in termini di integrità e autonomia, come nel caso del ritiro dei 16 capi d’accusa mossi nei confronti di Zuma per corruzione, frode, racket e riciclaggio di denaro.
E cosa dire dell’epurazione a tappeto dei mendicanti, bambini di strada e altre categorie socialmente emarginate svolta in questi mesi dalla polizia nelle grandi città sudafricane in vista dei Mondiali?
Nel frattempo, la crisi economica globale si è fatta sentire pure in Sudafrica anche se recentemente il ministro delle Finanze, Pravin Gordhan, davanti al Parlamento nazionale, ha spiegato che il deficit di bilancio per il 2009 è stato pari al 6,7% del Prodotto interno lordo, contro una stima iniziale del 7,3%, ma pur sempre superiore all’1% registrato nel 2008. La posta in gioco è alta se si considera che il Sudafrica è l’unico Paese del continente africano a sedere attorno al tavolo del G20. Inoltre, questo Paese rimane la vera potenza di riferimento, a livello politico-diplomatico, una responsabilità a cui Zuma non potrà rinunciare facilmente, essendo in gioco il destino del continente africano.
Una cosa è certa: la vera scommessa, guardando al futuro, consisterà innanzitutto e soprattutto nel ridurre la forbice tra i ceti ricchi e quelli meno abbienti che comunque rappresentano ancora la stragrande maggioranza della popolazione. Va infatti ricordato che a tutt’oggi la distribuzione del reddito in Sudafrica è considerata in assoluto tra le più inique del mondo.
Da questo punto di vista, le Chiese cristiane si stanno impegnando nel risanamento del tessuto sociale. Una sorta di “solidarietà critica” – termine tecnico adottato dal Sacc, il Consiglio ecumenico delle Chiese del Sudafrica – di pieno appoggio alle iniziative politiche sociali non in contrasto con i fondamentali valori umani e cristiani.


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