Non profit

Alzheimer, qual è la questione

Risposte innovative alle malattie della longevità. Esperti a confronto

di Redazione

È oggi una delle maggiori sfide sanitarie e sociali.
Le politiche sino ad oggi messe in campo non bastano
più. L’unica risposta è un welfare comunitarioIntervistato da vita.it in occasione del convegno «Longevità e Alzheimer: costruire welfare di comunità», il vice ministro con delega alla Sanità, Ferruccio Fazio, ha giustamente puntualizzato: «L’Alzheimer rappresenta oggi una delle maggiori sfide per la sanità pubblica, essendo l’età il maggior fattore di rischio associato alla sua insorgenza. Se l’organizzazione dei servizi spetta alle Regioni, da parte del ministero e dello Stato va assicurato il periodico aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) e la revisione dei principi fondamentali in base ai quali Regioni, Asl e Comuni devono realizzare la rete assistenziale. Negli ultimi anni si è introdotto e normato il principio della messa a carico della spesa sanitaria di una significativa quota parte dei diversificati interventi della cosiddetta “area dell’integrazione socio-sanitaria”. Di fatto, sempre più tende ad espandersi il settore assistenziale rivolto alle persone affette da cronicità, alle quali occorre assicurare un ventaglio di risposte assistenziali che coprano un arco di possibili interventi (sociali, sociali a rilevanza sanitaria, sanitari a rilevanza sociale, sanitari)». Già, d’accordo sulla disaminina, ma come organizzare il ventaglio di risposte?
La proposta emersa dal convegno è quella di ripartire dal welfare di comunità. Come ha sottolineato in apertura il professor Mario Trabucchi: «Il modello per l’Alzheimer deve essere un modello di grande flessibilità perché è una malattia imprevedibile. Inoltre, l’Alzheimer è una malattia della comunità e nella comunità. Pensate al problema dello stigma o dello spaesamento culturale di fronte a un padre o a una madre in cui si spengono i centri della coscienza. In secondo luogo è la malattia che tocca la comunità perché il costo di terapia e diagnosi sono sempre più forti. Ma non c’è bisogno solo di soldi, c’è bisogno di tempo, di ascolto: tutti gli studi dicono che la crisi più grave del care giver è quella di restare chiuso nella diade, lui e il suo paziente».
Welfare di comunità è concetto più facile da enunciare che da costruire, per questo il convegno ha convocato tutti gli attori, istituzioni pubbliche, ordini professionali (come gli infermieri), aziende, imprese sociali, volontariato e associazionismo, per un confronto a tutto campo e perché affiorasse alla coscienza quanto sia fondamentale un’alleanza tra tutti gli attori della comunità della cura.
Senza dimenticare, come ha notato lo scrittore e filosofo Riccardo De Benedetti in chiusura: «Nell’Alzheimer viene meno la coscienza, la percezione dell’io. Ho sentito parlare di presa in carico totale della persona, giusto, ma stiamo attenti perché nell’Alzheimer ciò che svanisce è proprio ciò con cui abitualmente designiamo la persona. La presa in carico non può allora che modificare radicalmente l’idea abituale di persona. L’Alzheimer interroga a livello quasi ontologico. L’Alzheimer ci chiede di avere un’idea di persona molto più ampia di quella dominante nella nostra società: “noi siamo ciò che facciamo”. Affrontare la cura è possibile, quindi, solo producendo una nuova cultura. Perciò è anche una sfida culturale». Insomma, una sfida nella sfida. Come ha onestamente ammesso l’assessore alla Famiglia e alla solidarietà sociale della Lombardia, Giulio Boscagli: «Se non si cambia, il sistema non sta più in piedi».

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