Medio Oriente
Amiry-Moghaddam (Iran Human Rights): «Il regime si sconfigge dal basso, non con le bombe di Israele»
Un attacco frontale da parte del governo israeliano ha eliminato figure chiave della Repubblica islamica ma ucciso anche 200 civili. «Dopo il primo attacco da parte di Israele, si pensava che si sarebbe limitato a colpire i siti nucleari ma ora lo scenario è drammaticamente cambiato», dice Mahmood Amiry-Moghaddam fondatore dell’ong Iran Human Rights. «Gli iraniani vogliono poter decidere come liberarsi da soli e continuare la loro battaglia per la democrazia. La guerra si deve fermare»

Nel dicembre scorso, Il neuroscienziato iraniano-norvegese Mahmood Amiry-Moghaddam che ha fondato in Norvegia l’ong Iran Human Rights (Ihrngo) aveva affermato con convinzione: «Nessuna dittatura può reggersi solo sulla repressione. Ora è importante prepararsi a costruire un’alternativa».
E con cauto ottimismo aveva detto che il 2025 avrebbe potuto essere un anno cruciale per il popolo iraniano più preparato, dopo la repressione brutale del movimento “Donna, Vita, Libertà”, a creare un’alternativa democratica. Non poteva immaginare che il 2025 sarebbe stato l’anno di un attacco frontale da parte del governo israeliano che avrebbe eliminato figure chiave della Repubblica islamica ma ucciso anche 200 civili, gettando nel panico gli abitanti di Teheran privi di rifugi per proteggersi dai bombardamenti israeliani. Sconcertato, come lo sono tutti gli attivisti della diaspora iraniana, a VITA spiega: «Dopo il primo attacco da parte di Israele, si pensava che si sarebbe limitato a colpire i siti nucleari ma ora lo scenario è drammaticamente cambiato. Più la guerra continua e più diventa imprevedibile immaginare le ripercussioni. Non è così che si può sperare in un cambiamento democratico. Resto convinto che la vera minaccia per il regime sia il suo popolo che non accetta la corruzione, l’incompetenza, la ferocia della dittatura, ma la transizione democratica deve avvenire dall’interno. Se Israele prevedeva che l’attacco avrebbe portato la gente in strada a manifestare, ha sbagliato i suoi calcoli. Ora prevale il terrore per i bombardamenti e gli arresti di dissidenti con l’accusa di spionaggio. La guerra si deve fermare».
Il direttore di Iran Human Rights, impegnato da anni a fare campagne di advocacy contro le esecuzioni (580 solo nei primi sei mesi del 2025), teme che l’escalation possa portare a una recrudescenza delle condanne a morte. «Le autorità iraniane hanno intensificato le sentenze di condanne a morte contro persone accusate di spionaggio per Israele negli ultimi mesi. Dopo l’esecuzione di Mohsen Langarneshin il 30 aprile e Pedram Madani il 28 maggio, altri dieci uomini rischiano l’esecuzione per la stessa accusa. Senza aver avuto un processo equo e subito torture e maltrattamenti per estorcere confessioni. Perciò Iran Human Rights sta chiedendo alla comunità internazionale di fermare la macchina della morte nella Repubblica Islamica».
Il suo sconcerto di attivista e di scienziato, che ha mappato con un report la diffusione capillare del dissenso nella società civile di ambientalisti, sindacalisti, giornalisti, insegnanti, è condiviso sia dalla diaspora sia dagli iraniani che in patria ora devono affrontare la doppia violenza della guerra e della repressione. Come il famoso rapper Toomaj Salehi, scarcerato dopo aver rischiato la condanna a morte. Su Instagram ha scritto: «”Evacuare Teheran” non è altro che uno slogan populista a cui seguirà: “Non volevamo uccidere civili iraniani; si sono semplicemente rifiutati di lasciare la zona di guerra”. Ma come possono oltre 9 milioni di persone – senza carburante, spesso senza abbastanza risparmi per trasferirsi e senza una seconda casa in un’altra città – evacuare Teheran? Se avete intenzione di uccidere il popolo iraniano, abbiate almeno l’onestà di non nascondere il peso di questa responsabilità. La tua guerra non è contro il popolo iraniano. Se li attacchi, in verità uccidi gli ostaggi. E voi sapete bene che un crimine del genere pianterà semi di odio che potrebbero privare generazioni – la nostra e la vostra – della pace e della calma che tutti desideriamo. Nessun bambino dovrebbe diventare vittima delle decisioni prese dai politici che si nascondono dietro le mura di ferro dei loro palazzi».
Parole simili a quelle espresse anche dal premio Nobel per la Pace 2023 Narges Mohammadi che ha chiesto di fermare la guerra e di non distruggere Teheran. Anche perché nella paura delle bombe israeliane, della repressione del regime, c’è un altro rischio fatale che potrebbe annientare coloro che possono rappresentare un’alternativa ai mullah: i prigionieri e le prigioniere politiche rinchiusi nel carcere di Evin nella capitale iraniana. Come ci ha fatto notare l’attivista iraniana, Rayhane Tabrizi, che vive in Italia. «A Evin è rinchiuso il futuro dell’Iran, non deve essere bombardato», ha dichiarato. Per questa ragione e per la repressione brutale che gli iraniani si attendono dal regime, Mahmood Amiry-Moghaddam chiede che si ponga fine alla guerra. Convinto che il cambio di regime non avverrà sulla punta delle baionette. «Gli iraniani stanno scoprendo tutte le debolezze della Repubblica islamica che ha affamato il popolo per dedicarsi alla guerra interna ai dissidenti, per procura attraverso i gruppi proxy come Hezbollah e Hamas, sanno di essere bersagli mobili degli israeliani e non avere luoghi dove rifugiarsi, ma vogliono poter decidere come liberarsi da soli e continuare la loro battaglia per la democrazia».
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