Leggi e norme
Anziani, la finta riforma del governo Meloni
Delude il testo definitivo del decreto legislativo per l'attuazione della legge delega sulla riforma della non autosufficienza, per il metodo e per i contenuti. Ci sono azioni positive, ma la riforma tanto attesa no. Nulla cambia a livello strutturale rispetto ai modelli di intervento. A parte la valutazione iniziale e il bonus temporaneo per 30mila anziani su un milione, tutto resta com'è
L’11 marzo il Consiglio di Ministri ha approvato in via definitiva il decreto legislativo che dà attuazione della Legge Delega 33/2023, “Deleghe al governo in materia di politiche in favore delle persone anziane”: è così giunto al traguardo il percorso normativo avviato con l’introduzione della riforma dell’assistenza agli anziani nel Pnrr, nell’aprile 2021. Il decreto – il 15 marzo 2024, numero 29 – è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 18 marzo. La fine della corsa, tuttavia, lascia l’amaro in bocca. Due sono infatti, oggi, i motivi di delusione.
Il primo è di contenuto: nel decreto ci sono innegabilmente diverse cose utili, ma non è la tanto attesa riforma del settore, prevista dal Pnrr e attesa da un quarto di secolo. Riforma peraltro che la Legge Delega 33/2023, con il suo impianto innovativo, tratteggiava. Il secondo è di metodo: pochi altri provvedimenti possono vantare contemporaneamente la mancata intesa da parte delle Regioni, il mancato recepimento delle modifiche “di sostanza” chieste dalle Commissioni parlamentari e la chiusura del confronto con le organizzazioni della società civile impegnate sul campo. In questo caso specifico, le sessanta organizzazioni riunite nel Patto per un nuovo welfare per la Non Autosufficienza, ossia la gran parte delle organizzazioni della società civile coinvolte nell’assistenza e nella tutela degli anziani non autosufficienti nel nostro Paese: proprio grazie a loro la riforma della non autosufficienza venne inserita come uno dei pilastri del Pnrr, dopo essere stata invece “dimenticata” nella prima versione del nostro piano strategico.
Il Governo ha dato priorità a tale riforma e ha saputo recepire le preziose osservazioni di Parlamento e Conferenza Unificata, integrando il testo con i contributi di Senato e Camera e di Regioni, Province e Comuni. Il risultato è un pieno coinvolgimento a tutto vantaggio dei cittadini
Maria Teresa Bellucci, viceministra per il Lavoro e le Politiche Sociali
Nonostante le dichiarazioni della viceministra Bellucci sull’importanza del confronto con Regioni e Parlamento, il decreto approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri lo scorso 11 marzo è sostanzialmente identico a quello che il Governo aveva approvato a fine gennaio: le richieste di modifiche avanzate dalle Regioni e dal Parlamento, così come le proposte e le osservazioni della società civile non hanno trovato ascolto presso il Governo, risultando poco più di un dovuto giro di valzer. Soprattutto per quanto riguarda l’introduzione dello Snaa, la riforma della domiciliarità e quella dell’accompagnamento, che erano pilastri strutturali della riforma disegnata nella legge delega e spariti dal decreto legislativo. L’unica modifica di rilievo, fra le tante osservazioni fatte al decreto in queste settimane, è il comma 2 dell’articolo 2, che mette una toppa a quell’articolo 40 introdotto all’ultimo secondo per cui – avevano rilevato le Regioni – gli anziani fra i 65 e i 69 anni rischiavano di esser tagliati fuori dai servizi. L’articolo 40 resta ma ora il testo bollinato all’articolo 2 precisa che «resta ferma la disciplina relativa alla realizzazione di prestazioni, interventi e servizi assistenziali nell’ambito dell’offerta integrata dei servizi sociosanitari in favore di persone non autosufficienti già prevista a legislazione vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto».
Ma il bassissimo livello di consultazione e dialogo sociale – lo abbiamo già detto in tante altre occasioni e con questo e con altri Governi, per esempio con il governo Draghi proprio sul Pnrr – significa perdere occasioni di innovazione, impatto ed efficacia, perché il Terzo settore non porta solo capacità operativa di rispondere alle emergenze, ma porta alte competenze tecniche e know how che si traducono in visione, innovazione, proposte di policy. Su questo tema specifico per esempio, l’ampio grado di consenso che le proposte presentate dal Patto per la Non Autosufficienza avevano trovato all’interno di una compagine tanto numerosa e diversificata, era la conferma di quanto fosse chiara, tra gli addetti ai lavori, quale fosse la direzione da imboccare per il cambiamento.
Perché la riforma non dipende solo dalle risorse
«Ci sono alcune cose buone, senza dubbio, a cominciare dalla revisione della valutazione della condizione di non autosufficienza dell’anziano. Il sistema attuale viene effettivamente superato, insieme alla molteplicità delle valutazioni attuali, in favore di due sole valutazioni», commenta Cristiano Gori, coordinatore del Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza. «Non è però la riforma per gli anziani non autosufficienti che gli altri Paesi europei hanno fatto molti anni prima dell’Italia (ad esempio la Germania nel 1995 e la Spagna nel 2006), perché quella prevedeva una revisione complessiva del sistema, che qui non c’è». Già nel marzo 2022 d’altronde questo per Gori era tanto chiaro da essere quasi un aut-aut: «la riforma o è di sistema o non è», ci diceva in questo articolo.
La questione dei fondi va ribaltata: non solo non ci sono soldi, ma non ci sono percorsi riformatori per cui chiedere più soldi. Non c’è né un disegno d’insieme né un disegno sugli specifici interventi
Cristiano Gori, coordinatore Patto per la Non Autosufficienza
Ma perché il disegno della riforma è così cruciale? Perché è quello che determina il cambiamento vero per gli anziani. «Per dare giudizio non c’è da fare altro che mettersi dal punto di vista della persona anziana non autosufficiente: che cosa cambierà domani?», si chiede Gori. La sua risposta? «Vedrà migliorato il percorso per l’accesso ai servizi, ma non avrà più risposte. E il problema non è tanto che non ci sono soldi, ma che non c’è un disegno per il miglioramento delle risposte. I soldi si possono sempre cercare, ma qui la questione è innanzitutto un’altra: la capacità di ridisegnare il welfare. Si tratta – in altre parole – della progettualità: solo se questa è solida, ha senso discutere di finanziamenti. Ad esempio, nella prossima legge di bilancio, per cosa si potranno chiedere più fondi? Per delle sperimentazioni? La questione dei fondi va ribaltata: non solo non ci sono soldi, ma non ci sono percorsi riformatori per cui chiedere più soldi. Non c’è né un disegno d’insieme né un disegno sugli specifici interventi». Cose che invece nella Legge 33 erano previsti: si chiamano Sistema Nazionale per la Popolazione Anziana non Autosufficiente-Snaa, riforma della domiciliarità, riforma della residenzialità, riforma dell’accompagnamento. Parole che restano nel decreto legislativo, ma con un significato esclusivamente formale e non più sostanziale.
Che cosa ci vuole per fare una riforma?
La riforma dei servizi e delle politiche per gli anziani non autosufficienti, lo ricordiamo, è uno degli impegni che l’Italia si è presa nel Pnrr. La riforma è necessaria e attesa da vent’anni: impensabile continuare a dare agli anziani non autosufficienti risposte disegnate in un’epoca storica in cui i numeri e le caratteristiche della non autosufficienza erano completamente diversi da quelli di oggi e (soprattutto) di domani. Ma che cosa serve perché “mettere mano” alle prestazioni per gli anziani non autosufficienti sia davvero una “riforma”? Che cosa fa la differenza? «Una riforma è tale se fa dell’assistenza agli anziani un settore unitario e con una sua autonomia rispetto agli altri e se mette in campo degli interventi integrati al suo interno. Questo perché la non autosufficienza ha caratteristiche specifiche», risponde Gori. Un po’ quello che è successo con l’assegno unico familiare: la riforma c’è stata quando si sono prese le varie misure precedenti e le si sono messe insieme.
Una riforma è tale se fa dell’assistenza agli anziani un settore unitario e con una sua autonomia rispetto agli altri e se mette in campo degli interventi integrati al suo interno. Questo perché la non autosufficienza ha caratteristiche specifiche
Cristiano Gori
Uno, vedere la non autosufficienza come tema unitario e specifico
In questi due anni di dibattito, racconta Gori, del Sistema Nazionale per la Popolazione Anziana non Autosufficiente inizialmente si notava il fatto che avrebbe permesso di costruire finalmente l’integrazione tra sociale e sanitario, superando la frammentazione degli interventi, «ma poi nel tempo l’attenzione si è rivolta molto anche ad un altro aspetto, cioè al fatto che lo Snaa avrebbe permesso alla non autosufficienza di avere una visibilità politica e quindi una legittimazione istituzionale: l’assistenza agli anziani non autosufficienti con lo Snaa sarebbe diventata un oggetto di politiche pubbliche, con un suo perimetro ed un sua rappresentazione, cosa che oggi non è. All’inizio si sottolineava soprattutto l’integrazione, poi la legittimazione, che non esclude la prima».
Lo Snaa secondo la legge 33/2023 aveva la responsabilità – a livello centrale, regionale e locale – della programmazione integrata di tutti gli interventi a titolarità pubblica per la non autosufficienza, appartenenti a sanità, sociale e prestazioni monetarie Inps. «In pratica, gli attori pubblici coinvolti programmano congiuntamente come utilizzare l’insieme delle risorse per la non autosufficienza, mantenendo invariate le rispettive competenze. Nel decreto, invece, la programmazione integrata non riguarda più l’insieme delle misure di responsabilità pubblica bensì i soli servizi e interventi sociali. In tal modo, però, lo Snaa viene mantenuto nella forma ma cancellato nella sostanza», spiega Gori.
Due, immaginare nuovi modelli di intervento
Il secondo elemento costitutivo della riforma della non autosufficienza dovrebbe essere la definizione di nuovi modelli di intervento, che siano adatti all’evoluzione dei bisogni e alle caratteristiche della persona anziana. Ma non se ne trova traccia nel decreto. «Prendiamo i tre interventi che oggi assorbono maggiori risorse: la residenzialità, la domiciliarità e l’indennità di accompagnamento», prosegue Gori. «Su nessuno dei tre il disegno di legge ha un progetto riformatore. Tutto resta com’è oggi».
C’è la nuova prestazione universale da 850 euro al mese per gli over80 con meno di 6mila euro di Isee, è vero, ma questa si aggiunge all’indennità di accompagnamento senza andare a toccarla: «una precisa scelta del Governo», si legge nella relazione tecnica. «Nel passaggio dalla legge delega al decreto legislativo viene cancellata la prevista riforma dell’assistenza domiciliare. Si sarebbe dovuto introdurre un modello di servizi domiciliari specifico per la non autosufficienza, che oggi in Italia non esiste. Rimane il coordinamento tra gli interventi sociali e sanitari erogati dagli attuali servizi domiciliari, ma sono assenti aspetti decisivi quali la durata dell’assistenza fornita e i diversi professionisti da coinvolgere. A mancare quindi è una nuova risposta specifica per il bisogno al domicilio degli anziani non autosufficienti», afferma Gori.
Prendiamo i tre interventi che oggi assorbono maggiori risorse: la residenzialità, la domiciliarità e l’indennità di accompagnamento. Su nessuno dei tre il disegno di legge ha un progetto riformatore. Tutto resta com’è oggi
Cristiano Gori
Sulla residenzialità, la situazione è interlocutoria dal momento che il decreto non contiene indicazioni precise e rimanda ad un successivo ulteriore decreto. La riforma dell’indennità di accompagnamento, invece, è scomparsa benché l’accompagnamento oggi assorba il 44% della spesa per la non autosufficienza e sia giudicata da più parti come inefficace. «La nuova prestazione universale è un intervento temporaneo per il biennio 2025-202, che lascia immutata l’indennità e vi aggiunge ulteriori risorse (850 euro mensili per utente). Una misura che si colloca nell’antica tradizione italiana di aggiungere qualcosa all’esistente, lasciandolo così com’è e stratificando il nuovo sopra il vecchio, senza riformare. In ogni modo, la prestazione sarà fruita da una platea molto ridotta, 30mila persone over80 che riceveranno l’indennità su un totale di un milione di over 80», conclude Gori.
Più che la sperimentazione di un intervento riformatore è un “bonus anziani”, visto il requisito di accesso legato alla condizione economica, visto che non è previsto un monitoraggio degli esiti della sperimentazione e visto che l’ipotesi di allargarla all’intera platea degli anziani non autosufficienti avrebbe dei costi francamente insostenibili.
Foto di Ina/Sintesi
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