Non profit

Articolo 30. C’è un’exit strategy: è il modello unico

Modesta proposta per uscire da una situazione kafkiana

di Redazione

L’articolo 30 del decreto anticrisi 2008 dovrebbe servire allo Stato per controllare quali enti non profit abbiano diritto alle agevolazioni, e quali no. Ha prodotto però un modulo della cui utilità si discute. Il nostro esperto lancia una proposta per superarlo in modo vantaggioso per tutti.
Parliamoci chiaro, senza opportunismi e difese di corporazione. L’articolo 30 ha messo in luce la necessità da parte della comunità nazionale di avere meccanismi snelli e umani di controllo degli enti non profit, al fine anche, ma non solo, di stanare i furbi e i disonesti. Come sappiamo questa necessità è stata tradotta in una norma insana (articolo 30) che non si confronta con la realtà dell’associazionismo, norma che ha partorito un modello illeggibile e dalla dubbia utilità. Forse sarebbe meglio uscire da una situazione così deleteria e arrivare a una soluzione con logica win-win, ovvero che porti vantaggio sia a chi impone l’adempimento, sia a chi lo subisce. Questa pertanto è la mia proposta.

Attenti allo zelig
Vi è uno zelig che si aggira per le vie tributarie, ed è il Modello Unico Enti non commerciali (Enc). Deve essere compilato da una platea di soggetti assolutamente eterogenea (da qui la sua natura di zelig): associazioni, fondazioni, onlus, condomini, enti pubblici economici, enti ospedalieri, trust, ma anche società ed enti non residenti. Si parla di enti pubblici e privati diversi dalle società, che non hanno quale oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale. Il famoso “di tutto, di più”.
Ai fini statistici e di comprensione di cosa sta facendo il non profit è inutile, in quanto per sapere qualcosa del non profit bisognerebbe estrapolare dai dichiaranti di questo modello gli enti non commerciali, verificare quanti tra questi ultimi sono anche “senza scopo di lucro”, e poi si avrebbe? la sola parte commerciale. Infatti, essendo una dichiarazione dei redditi (e come tali assoggettabili a imposta), chiede lumi ai soli enti che hanno entrate commerciali o redditi da terreni, fabbricati, partecipazioni. Ha pertanto utilità solo (e non è poco, capisco) per riscuotere le imposte sulla parte commerciale.
Ma facciamo finta per una volta di essere un Paese normale. Lo capisco, il salto è lungo, ma la fantascienza ci affascina. Immaginiamo che – mantenendo l’obbligo della dichiarazione per i soggetti che realizzano attività imponibili – si imponga a chi ha entrate non commerciali superiori ad una certa cifra (50mila euro?) di compilare pochi ma determinati riquadri del modello Unico Enc. Si parte dai dati anagrafici e dalla conferma del rispetto di determinate norme agevolative a seconda delle tipologie di enti; quindi alcune notizie riguardanti il volontariato non dovranno essere compilate dalle altre onlus, e così nei casi delle fondazioni, delle associazioni di promozione sociale, eccetera. In questo modo non si esigerà dal volontariato il rispetto di norme che non gli competono, ma si chiederanno delucidazioni sulle entrate commerciali e produttive commerciali (Dm 25 maggio 1995). A tutti verranno chieste informazioni sulle entrate, sulle diverse tipologie, sulla loro natura.

In America, invece…
Cosa si otterrà? La possibilità non di un “una tantum”, ma di un “continuum” di dichiarazioni che metterà l’Agenzia delle Entrate in condizione di monitorare, verificare, sanzionare chi dichiara il falso e i truffatori.
Poi si otterrà qualcosa di ancora più straordinario: uno spaccato fenomenale del non profit con quei numeri e trend che ridicolmente mancano da quasi dieci anni causa la scadenza (appunto decennale) del censimento Istat sul terzo settore. Ragioniamo ancora con i dati del 99, quindi sragioniamo, perché quei dati non rispecchiano ciò che è successo di recente, e pertanto non sappiamo quale sia il vero peso economico del movimento né, sui singoli enti, se l’amministratore o il direttore generale siano retribuiti, come in molti casi è ovvio e opportuno, e con quali cifre!
Non svenite; è bene mettere l’asticella un po’ più in alto. Perché altrimenti non si va da nessuna parte. Prendiamo ad esempio il Form 990 che determinate organizzazioni non profit americane devono compilare per vedere confermate, guarda un po’, le esenzioni dalle imposte.
Cosa chiede il fisco americano a questi enti? Tenetevi forte, scelgo a casaccio. Compensi degli amministratori, ma anche le spese sostenute per servizi professionali (anche i consulenti, sì), i costi di personale attribuibili al fundraising, eventuali benefits accordati ai dipendenti, le spese di viaggio, per le conferenze, i costi di attività di lobbying sostenuti per influenzare la pubblica opinione anche con iniziative legislative. E ancora, se ci sono rapporti economici con altri enti non profit o partiti politici; se l’ente ha avuto rapporti economici acquistando o vendendo beni o servizi, o prestando denaro a qualcuno dei donatori, dei volontari, degli amministratori, dei dipendenti (fuori dal contesto lavorativo). E si deve dichiarare se vi sono legami di sangue tra i componenti del consiglio di amministrazione.
Nel nostro Paese, quello del “tengo famiglia”, sarebbe bello vedere quanti, senza ragione – o se c’è, non è confessabile – fanno di un ente un esclusivo feudo familiare. E il bello di tutto ciò è che gli enti più virtuosi sarebbero spinti a pubblicare non solo il bilancio ma anche la dichiarazione Unico Enti non commerciali, per mostrarsi più trasparenti di una casa di vetro. È così che succede negli Usa.

Battete un colpo
Immaginiamo che queste notizie vengano inviate una volta l’anno, anche agli enti pubblici (Regioni, Province, Direzioni regionali delle Entrate) che controllano il mantenimento dei requisiti che consentono alle organizzazioni di stare nei registri (del volontariato, delle onlus, delle associazioni di promozione sociale). Un solo adempimento, più funzioni (amministrative, fiscali) soddisfatte. Una sola dichiarazione, chiara, della quale andare fieri, perché il fine del nostro ente è (anche) preservare la fiducia che il pubblico ci accorda da molto tempo. Si può pensare di introdurre una misura del genere in modo graduale, evitando che diventi un mostro con domande a ripetizione cui non si sa come rispondere perché pensate male e formulate peggio. Il costo per l’ente? Mentre compilo il bilancio posso riempire gran parte della dichiarazione; inoltre chiedere aiuto a un commercialista per gli enti sopra i 50mila euro diventa un costo ben inferiore all’1% delle entrate.
Questa è la proposta. Questi sono gli esempi. Se vi sono ragioni per sostenere questa proposta fatele sapere a Vita. Se vi è piaciuta, sottraete dal loro torpore le rappresentanze del non profit, evitando che giochino al “piccolo politico” come i bambini giocano al “piccolo chimico”. Diamo loro il mandato di cercare la via più trasparente e diretta per risolvere i problemi, per certificare la volontà di fare, e bene. Se ritenete non congrua, sbagliata, populistica questa proposta, parlate, argomentate. Non sono qui a sostenerla ad ogni costo. Sostengo un non profit più maturo, che non gioca di rimessa con gli enti pubblici; un terzo settore credibile, che propone, che fa un po’ meno convegni e condivide più sapere, che si presenta come parte più avanzata (e in questo anche un po’ aliena) della società.

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