Lavoro sociale

Assistente infermiere, una nuova figura per gli anziani e la cronicità

Il 21 giugno è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto che introduce il nuovo profilo professionale dell'assistente infermiere, a metà tra infermiere e oss. Opererà in contesti di cronicità e fragilità, sia ospedalieri che domiciliari. Novità anche per gli Oss. I pareri di Ascari (Legacoopsociali) e Degani (Uneba Lombardia). E il no dei sindacati.

di Chiara Ludovisi

Una figura professionale nuova, chiamata a colmare una delle tante debolezze del sistema sanitario italiano: la carenza di infermieri rispetto al bisogno assistenziale della popolazione, soprattutto quella anziana o con disabilità. Si chiama “Assistente infermiere” ed è nato ufficialmente il 21 giugno scorso, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del DPCM 28/02/2025. In parole semplici, si tratta di una figura professionale intermedia tra l’Oss (operatore socio sanitario) e l’infermiere professionale, pensata per supportare l’assistenza a pazienti cronici, con disabilità o patologie mentali o terminali, sia in contesti ospedalieri che domiciliari.

Una figura “necessaria”?

Questa figura nasce dalla necessità, dichiarata nel testo del decreto, di «rispondere in maniera  differenziata  ai crescenti bisogni di salute della popolazione» e di «adottare modelli organizzativi innovativi nei quali integrare operatori qualificati con competenze specifiche che possano collaborare in ambito sanitario e socio-sanitario con la professione infermieristica e integrare le equipe multidisciplinari».

Di fatto, si tratta di un «operatore in possesso della qualifica di operatore socio-sanitario che a seguito di un ulteriore percorso formativo consegue la qualifica di assistente infermiere». Le sue attività si svolgono «secondo le indicazioni dell’infermiere e in collaborazione e integrazione con gli altri operatori». Tra le attività previste, la rilevazione dei parametri vitali, somministrazione di ossigeno, il primo soccorso, il supporto alla somministrazione di terapie e la preparazione di medicazioni semplici, sempre su indicazione dell’infermiere, ma anche attività educative e formative di base rivolte ai pazienti.

Nel decreto e in particolare nell’allegato sono declinate competenze, funzioni, limiti d’intervento ed è descritto il percorso formativo necessario per il conseguimento di questo ruolo, riservato a chi abbia già una qualifica di Oss ed eserciti già questa professione. L’accesso è infatti riservato a chi sia in possesso di diploma di scuola secondaria e almeno 24 mesi di esperienza come Oss, o in alternativa a chi abbia almeno 5 anni di esperienza negli ultimi 8 anni, in questo caso però previo modulo propedeutico di almeno 100 ore. La formazione, di competenza delle regioni e delle province autonome,  deve avere una durata compresa tra 6 e 12 mesi, per un totale di almeno 500 ore (200 teoriche, 280 di tirocinio, 20 ore di esercitazioni e simulazioni). Al termine, è necessario superare un esame teorico-pratico per ottenere un attestato valido a livello nazionale.

Sempre nella Gazzetta Ufficiale del 21 giugno, è stato pubblicato un altro decreto (DPCM 25/03/2025), che contiene anche una revisione della figura dell’Oss, a vent’anni dalla sua istituzione (nel 2001), per adeguarla ai bisogni attuali dei servizi sanitari e sociosanitari. Tra le principali novità, il prolungamento della durata minima della formazione a 1.000 ore, ma al tempo stesso l’abbassamento del requisito d’istruzione minimo dal possesso del diploma di scuola superiore a quello del primo ciclo di istruzione. Ancora, vengono ampliati e chiariti gli ambiti e i contesti di attività di questa figura e si fa naturalmente riferimento alla possibilità di accedere al percorso di formazione per diventare assistente infermiere.

Una novità dalla lunga storia

Per quanto la figura dell’assistente infermiere si possa considerare nuova, battezzata appunto il 21 giugno scorso, in realtà affonda le sue radici in un passato più e meno recente. Già nel 2012 si iniziò a parlarne, quando durante un tavolo tecnico tra ministero della Salute e Regioni, fu proposta una figura intermedia definita “aiuto infermiere” o CoSS, che però non vide la luce. Con l’emergenza pandemica e la carenza di figure infermieristiche – ma anche di Oss – specialmente all’interno delle Rsa, il tema tornò alla ribalta. Nel 2021 quindi vennero presentate alla Camera due proposte di legge, finalizzate a riformare la qualifica Oss. In quello stesso anno, la legge 73/2021 (Sostegni bis) incluse per la prima volta l’Oss nell’area sociosanitaria, riconoscendola ufficialmente. In generale, l’obiettivo era innalzare il livello formativo degli Oss, per affidare loro compiti e mansioni più specificatamente sanitari, al fine di alleggerire, in alcuni contesti e a determinate condizioni, il lavoro in carico agli infermieri, soprattutto alla luce di una domanda crescente di assistenza. L’idea fin dal principio suscitò pareri discordanti, con un dibattito che periodicamente si riaccese, soprattutto in occasione di diverse iniziative regionali: tra il 2021 e il 2022, soprattutto Veneto, Liguria e Lombardia sperimentarono percorsi formativi diretti ad ampliare le competenze e quindi gli ambiti d’intervento degli Oss, trasformandoli in quelli che qualcuno chiamò “super Oss” e qualcun altro “mini infermieri”.

Pareri favorevoli e contrari

Ora, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto che di fatto istituisce questa figura, il dibattito torna a riaccendersi: ad accomunare favorevoli e contrari, c’è l’auspicio – e la raccomandazione – che per affrontare un oggettivo problema quantitativo – la carenza di infermieri – non si sacrifichi la qualità professionale, a scapito della salute e la sicurezza dei pazienti.

Ne abbiamo parlato con Massimo Ascari, presidente di Legacoopsociali: «La figura dell’assistente infermiere risponde a un fabbisogno importante, quale la carenza di figure infermieristiche, specialmente in alcuni ambiti, quale la somministrazione dei farmaci. Per esempio, nei centri diurni per disabili la normativa prevede la presenza di infermieri per poche ore a settimana (da 4 a 6), per cui la somministrazione delle terapia diventa un problema: questa nuova figura, una volta formata, potrà dare contributo importante in questo contesto, permettendo ai servizi sociosanitari di compiere un bel passo avanti. Non dimentichiamo poi che si tratta di figure con una preparazione e un’esperienza certificata, completata da un percorso formativo supplementare».

Questa nuova figura, una volta formata, potrà dare contributo importante, permettendo ai servizi sociosanitari di compiere un bel passo avanti

Massimo Ascari, presidente Legacoopsociali

Al tempo stesso, occorre però grande attenzione: «Dobbiamo evitare assolutamente un uso maldestro di tali figure professionali: non possiamo abbassare la qualità, con figure meno qualificate che vadano a sostituire professionalità più alte. Al tempo stesso, la professionalità degli infermieri è indiscussa, con una formazione universitaria e un profilo di alto spessore, che resterà distinto e diverso da quello dell’assistente».

Massimo Ascari (Legacoopsociali)

Oltre che nelle strutture, nelle Rsa, nei centri diurni, la nuova figura potrà essere impiegata anche in ambito domiciliare: questo ha sollevato, in passato, le perplessità dei caregiver familiari, preoccupati di vedere entrare nelle loro case, al fianco dei loro cari, figure non adeguatamente formate. Su questo Ascari si sente di rassicurare: «La declaratoria del profilo lo rende fortemente dipendente e supervisionato dall’infermiere professionale e spero vivamente che così accadrà nella pratica. L’assistenza domiciliare integrata, che ha un profilo sanitario, non cambierà come struttura, così come non cambierà il ruolo dell’infermiere professionale. Piuttosto, potrebbe inserirsi un altro profilo professionale, che coadiuverà ma non sostituirà l’infermiere. Nel momento in cui il decreto verrà applicato, occorrerà verificare proprio che non avvengano sostituzioni: sarebbe come sostituire un medico con un infermiere».

È un altro profilo professionale, che coadiuverà ma non sostituirà l’infermiere. Nel momento in cui il decreto verrà applicato, occorrerà verificare proprio che non avvengano sostituzioni

Massimo Ascari

Un’altra sottolineatura importante riguarda le condizioni di lavoro, «che devono essere dignitose, con un salario che permetta di mantenere una famiglia e condizioni di lavoro compatibili. In particolare, dobbiamo interrogarci seriamente sulla fuga degli infermieri – e dei medici – dalle strutture ospedaliere. Li abbiamo chiamati eroi durante l’emergenza pandemica, poi li abbiamo abbandonati. Mentre introduciamo questa nuova figura, è importante che affrontiamo seriamente la questione della crisi e la fuga degli infermieri, come dei medici». Un ultimo aspetto riguarda il coinvolgimento di chi, come Legacoopsociali, conosce bene il mondo sociosanitario: «Non siamo stati coinvolti in un confronto – denuncia Ascari – nel quale avremmo avuto diversi suggerimenti da offrire».

Decisamente critico, rispetto alla nuova figura introdotta dal decreto, è Antonio De Palma, presidente di Nursing Up, il principale sindacato autonomo degli infermieri in Italia. Il decreto è per lui «un errore madornale, frutto di un accordo Stato-Regioni discutibile». La nuova figura – afferma De Palma – «è solo una triste e pericolosa toppa mal cucita per coprire la cronica carenza di personale, non certo per migliorare la qualità dell’assistenza. Il rischio è quello di una sanità spaccata, confusa e senza visione, in cui i progetti veri, come l’infermiere di famiglia, restano lettera morta. Continueremo la nostra battaglia per tutelare la professionalità degli infermieri e garantire un’assistenza pubblica di qualità».

Luca Degani (Uneba)

Al contrario, suggerisce una «lettura positiva» Luca Degani, presidente di Uneba Lombardia: «Da quasi 10 anni, cioè a partire dal Patto per la Salute di Renzi e fino al Dm 77 del Pnrr, ci ripetiamo il mantra “dall’ospedale al territorio, dall’acuzie alla cronicità”. La capacità di cronicizzare le malattie acute ha infatti cambiato i bisogni di salute della popolazione. Di conseguenza, stanno cambiando anche i luoghi di risposta a questi bisogni: penso alle Case di comunità, o agli Ospedali di comunità e in generale all’idea di valorizzare un nuovo modello di presa in carico della popolazione. Questo, alla luce del fatto che il 30% degli abitanti ha almeno una patologia cronica: parliamo di 18 milioni di persone, che consumano il 70% delle risorse del Fondo sanitario». È in questo contesto più ampio che si inserisce opportunamente, per Degani, la nuova figura professionale, «che risponda a una peculiarità italiana: il rapporto tra personale medico e infermieristico. In Italia, a ogni medico in formazione, corrispondono 0,9 infermieri in formazione. Questo si è verificato soprattutto da quando si è introdotta la formazione universitaria per gli infermieri. Una formazione che peraltro è pensata soprattutto per l’ambiente ospedaliero, quindi le acuzie». Ma il principale problema sanitario italiano, come dicevamo, è appunto la cronicità: «È soprattutto a quest’ultima che l’assistente infermiere potrà e dovrà dedicarsi: la popolazione cronica e fragile, tra cui anziani e persone con disabilità». Anche Degani, come Ascari, sottolinea quanto questa figura possa essere cruciale soprattutto nella somministrazione dei farmaci, «soprattutto negli ambienti della cronicità, dove c’è una componente di ripetitività che non necessita di una formazione infermieristica specializzata».

Soprattutto gli anziani potrebbero beneficiare di questa nuova figura: «Penso soprattutto all’alimentazione enterale, che pure ha un carattere ripetitivo ma richiede comunque attenzione e quindi preparazione professionale; oppure al trattamento delle piaghe da decubito, o alla gestione delle limitazioni delle azioni contenitive». In altre parole, la figura dell’assistente infermiere, se inserita nei contesti giusti e con le previste funzioni, potrebbe contribuire a superare quella violazione – la contenzione, appunto – ancora diffusa nelle strutture sanitarie e sociosanitarie per persone anziane o con disabilità e spesso imputata alla carenza di personale. 

Infine, c’è un’altra possibile positiva ricaduta sociale che questa nuova figura potrebbe avere: «Questa formazione, non universitaria ma costruita con le università – spiega Degani – potrebbe essere offerta a quasi un milione di giovani tra i 18 e i 30 anni che nel nostro Paese non studiano e non lavorano: i cosiddetti Neet. Con l’ulteriore vantaggio di inserire popolazione giovane in questo ambito lavorativo, laddove la figura dell’Oss è spesso over50».

Un elemento critico viene invece indicato, sempre da Degani, nel decreto relativo all’Oss: «Non so perché si sia deciso di abbassare il titolo di studio minimo dal diploma superiore a quello di terza media: questo rischia di abbassare la qualità professionale di questa figura». Infine, «bisogna essere molto chiari nel definire il rapporto tra assistente infermiere, che non deve essere ancillare, ma complementare, in relazione alle diverse tipologie di pazienti fragili e cronici, lasciando invece agli infermieri professionali l’ambiente delle acuzie». 

In apertura, foto di Uneba

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