Sono rimasto impressionato dal vostro servizio di copertina dello scorso numero (Vita n. 40/09): 28 milioni di italiani nel 2008 hanno tentato la fortuna, per 700mila l’azzardo di Stato è diventato vera e propria forma di dipendenza.
Dal SuperEnalotto, al Gratta&Vinci e al Bingo, fino a giungere al nuovo Win for life si assiste infatti all’esplosione di nuovi giochi che promettono ricchezza e fortuna. È un’adesione imponente e diffusa che coinvolge soprattutto i ceti sociali più disagiati. Le ricevitorie sono popolate da giovani, pensionati, immigrati, casalinghe. Una tassa occulta che pesa sui più poveri e che arricchisce lo Stato e i gestori. Il business del gioco, dopo le liberalizzazioni degli ultimi anni, è diventato in Italia un vero e proprio settore industriale che muove cifre imponenti (oltre i 50 miliardi lo scorso anno), quasi tre punti del prodotto interno lordo. Le puntate sono cresciute del 13% nei primi mesi del 2009, e il nuovo Win for life ha incassato nei primi 15 giorni della sua esistenza qualcosa come 105 milioni, assegnati 37 vitalizi e girato alla ricostruzione in Abruzzo 23,5 milioni di euro. Il vero vincitore dell’azzardo di Stato è il fisco italiano: con i soldi incassati si finanziano gli interventi nelle emergenze e negli anni scorsi ha permesso di tappare svariati buchi nelle manovre finanziarie: nel 2008 sono stati quasi 7 i miliardi incassati. Siamo nello spazio delle libertà personali, però un giudizio morale va pure dato, soprattutto quando il gioco viene incoraggiato con un tam tam pubblicitario imponente, persino dalla televisione pubblica che propone in prima serata giochi e quiz a spron battuto. Inquietano i dati delle ultime indagini laddove evidenziano una crescente diffusione del fenomeno tra i giovani. È un segnale che non va sottovalutato: dietro si nasconde minacciosamente la proposta di una nuova visione della vita: il futuro legato al caso, la speranza “ricaricabile” come il telefonino, la vita vissuta nell’attesa dei “colpi di fortuna”.
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