Mondo

Bank of Greece, un disastro a prezzo di sangue

Quel gesto dimostrativo ad Atene

di Redazione

Ad Atene, capitale di una Grecia spinta sull’orlo del default, settimana scorsa gli studenti hanno messo simbolicamente nel mirino la sede di Bank of Greece. Latte di vernice rossa sulla facciata rendono efficacemente l’idea di quanto le follie dell’economia di carta stiano provocando nella vita reale delle persone. La Banca di Grecia è la banca nazionale e come tutte le sue consorelle è una banca privata. Anomalie di un modello che ha consegnato a queste istituzioni il potere non solo di creare il credito, ma anche di battere moneta. Quello che sta accadendo in Grecia è sintomo di una crisi che è sistemica. Siamo davanti a due economie. Quella reale è generata da un’azione imprenditoriale e genera Pil; è l’economia nella quale i cinesi stanno dominando incontrastati. C’è poi un’economia di carta che si regge su un sistema bancario che è stato trasformato in un Giano bifronte: lo sportello commerciale è stato affiancato da quello finanziario. Il primo è quello dove la gente mette i propri risparmi e che quindi deve dare prospettive sicure. Il secondo sportello è quello dove è lecito qualunque investimento a rischio. Ma i due sportelli sono comunicanti e le ricchezze bruciate dalla spregiudicatezza del secondo finiscono con l’intaccare anche i risparmi messi al “sicuro” nel primo. È una logica perversa, grazie alla quale è stato possibile immettere nel sistema migliaia di miliardi in derivati, che sono spesso carta straccia. Erano 650mila miliardi nel 2008, si erano ridotti a 600mila dopo la crisi e la chiusura delle bad bank; hanno raggiunto i 700mila miliardi in questi mesi. Una somma che vale 13 volte il Pil mondiale e che non destabilizza più solo le economie private ma fa saltare le economie degli Stati, a tutti i livelli, da quello nazionale a quello locale. Tante Regioni e Comuni negli anni passati avevano investito in questi titoli derivati senza sapere a cosa andavano incontro. Il “prezzo” dei derivati potrebbero essere anche tagli ai servizi del welfare. Più reale di così…
Ma quella finanziaria non è l’unica leva speculativa: C’è anche quell’altra leva, azionata dai cinesi sui costi del lavoro: forme di sfruttamento di tenore quasi schiavistico stanno destabilizzando il mercato del lavoro a livello mondiale. Pechino ha fatto sue le logiche del mercato non per creare una ricchezza diffusa tra la popolazione ma per il bene di una nomenklatura e di un manipolo di nababbi.
Oggi l’economia è terra di missione, ha bisogno di un percorso di redenzione. Il primo passaggio è quello di proteggere le commodities da tutti i meccanismi speculativi. Le materie prime, da quelle alimentari a quelle energetiche, devono essere protette da un mercato calmierato e governato. Si dice che così l’economia mondiale avrà meno spinta verso la crescita. Ma a parte che la crescita non è un dogma, dobbiamo anche vedere di quale crescita stiamo parlando. Se quella valutata con il parametro ormai logoro del Pil o con un parametro finalmente diverso che saprà tenere finalmente in conto la qualità della vita.

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