Per i dizionari è come tutte le altre, ma biblioclastìa è una parola da cui i bibliofili si guardano con un misto di attrazione, curiosità e sconcerto. Tecnicamente, biblioclastìa è una «tendenza morbosa alla distruzione dei libri» e, di conseguenza, al rogo delle biblioteche che può interessare individui, gruppi o intere collettività. Umberto Eco ne distingue di tre tipi: la biblioclastìa fondamentalista, non così comune nella storia anche se oggetto di grande attenzione (pensiamo al celebre rogo della Biblioteca di Alessandria d’Egitto), quella per interesse e infine quella per incuria. Quest’ultima è forse la più diffusa e strisciante e sembra confermare, nella nostra «modernità che dimentica» (la definizione è dell’antropologo inglese Paul Connerton) la vecchia massima del poeta Paul Valéry, secondo il quale «i libri hanno tre nemici: il fuoco, i parassiti e il più temibile di tutti, l’uomo».
Una particolare forma di biblioclastìa per incuria è quella da “carenza di magazzini”. Alla necessità di liberare spazi, le biblioteche rispondono ? specie negli Usa, ma il comportamento si sta diffondendo a macchia d’olio ? “dismettendo” e mandando al macero o nei mercatini di seconda scelta quei volumi che sembrano non incontrare l’interesse dei lettori.
La conseguenza è che libri giudicati ora di poca importanza solo perché di poco appeal, e spesso presenti in unica copia in biblioteche di zona, vengono distrutti senza nemmeno il privilegio della digitalizzazione, che interessa solo “classici” e best-sellers rischiando di generare un circolo vizioso tra attualità e memoria.
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