Scuola

Borsellino alla maturità: bene ma vent’anni fa a scuola di mafia si parlava di più

Tra le sette tracce della maturità 2025 una è dedicata a Paolo Borsellino. Un invito agli studenti a riflettere sul valore dell’impegno per la legalità. Il maestro e scrittore Alex Corlazzoli, che nelle scuole lavora per tenere viva la memoria del magistrato: «Una traccia però che chiama in causa la responsabilità degli adulti e delle istituzioni»

di Rossana Certini

maturità 2025

È suonata puntuale alle 8:30 la campanella che ha segnato l’inizio della Maturità 2025 per oltre mezzo milione di studenti italiani. Sono 524.415 i candidati (511.349 interni e 13.066 esterni) impegnati oggi, 18 giugno, nella prima prova scritta di Italiano, comune a tutti gli indirizzi di studio. Sette le tracce predisposte dal ministero dell’Istruzione, suddivise tra analisi del testo, testi argomentativi e temi di attualità. Gli studenti hanno sei ore di tempo per misurarsi con la scrittura e il pensiero critico. Un appuntamento che coinvolge 13.900 commissioni e quasi 28mila classi, e che ogni anno restituisce uno spaccato interessante della società attraverso le proposte di tracce scelte per le riflessione dei maturandi.

Tra le sette tracce una, in particolare, assume un valore simbolico importante: il testo di Paolo Borsellino I giovani, la mia speranza, tratto dal settimanale “Epoca” del 14 ottobre 1992.

«Una traccia significativa, anche perché affronta un tema molto caro a Paolo Borsellino, quello dei giovani e del dialogo che lui stesso cercava di instaurare con le nuove generazioni», spiega Alex Corlazzoli, maestro membro della Fondazione don Milani, giornalista e autore di Paolo sono (Giunti), un taccuino immaginario che parte da fatti reali e che racconta in prima persona la vita del magistrato ucciso il 19 luglio del 1992 da Cosa nostra nella strage di via D’Amelio assieme ai cinque agenti della sua scorta. Prosegue Corlazzoli: «Una traccia su Borsellino me l’aspettavo già da tempo, e sinceramente pensavo sarebbe arrivata con altri ministri, molto prima».

L’esperienza che Corlazzoli ha vissuto a contatto diretto con studenti e insegnanti entrando nelle scuole italiane per raccontare il suo libro lo porta a dire con certezza che: «Soprattutto coloro che a scuola hanno approfondito con i docenti la figura di Paolo Borsellino, riusciranno a restituirne non solo il profilo professionale ma, anche, quello umano: la sua capacità di parlare di giustizia, le sue esperienze personali legate al lavoro in carcere e persino il suo lato più ironico». Borsellino amava la bicicletta, il mare e apriva la sua casa agli amici di scuola per aiutarli con le ripetizioni. Un aspetto intimo e generoso che Corlazzoli ha raccontato nel suo libro.

I ragazzi sapranno affrontare questa traccia con passione e intensità, raccontando ciò che provano oggi come giovani della loro generazione

Alex Corlazzoli

«Gli spunti offerti da questa traccia sono davvero tanti», prosegue, «soprattutto per quei ragazzi – e sono molti – che non hanno conosciuto Borsellino solo attraverso una riga nei libri di storia ma che grazie all’impegno degli insegnanti hanno intrapreso tra i banchi di scuola un vero percorso di conoscenza e riflessione fatto di incontri, approfondimenti e analisi critica sul tema delle mafie».

In quest’ottica, la scelta del ministero non sembra solo simbolica ma si inserisce in un percorso educativo che dovrebbe essere stato costruito durante l’anno scolastico affrontando temi come le stragi di Falcone e Borsellino, la mafia, il concetto di legalità e lo Stato in modo serio. Se si sono letti testi, visti documentari e fatto discussioni in aula allora gli studenti avranno gli strumenti critici per contestualizzare e portare riflessioni proprie nello svolgimento della traccia.

«Negli ultimi tre anni ho incontrato centinaia di studenti, dalle scuole primarie alle superiori, viaggiando in tutta Italia per raccontare la figura di Paolo Borsellino attraverso il mio libro», prosegue Corlazzoli. «Dalla Sicilia al Piemonte, ovunque ho trovato grande attenzione, sensibilità e soprattutto il desiderio, da parte degli insegnanti, di costruire con i ragazzi un percorso di riflessione critica. Sono convinto che all’interno del mondo della scuola ci sia una profonda consapevolezza dell’importanza di figure come Falcone e Borsellino. Forse, però sarebbe il momento di estendere questa attenzione anche ad altre vittime delle mafie, spesso dimenticate. Di recente, ad esempio, sono stato in Puglia e ho scoperto con dispiacere che molti degli studenti delle scuole secondarie di primo grado che ho incontrato non conosceva la storia di Michele Di Fazio, un giovane ucciso proprio a Bari».

Da qui, l’invito a una riflessione più ampia, che chiama in causa anche le responsabilità degli adulti e delle istituzioni perché come spiega Corlazzoli: «Ben venga che lo Stato inviti i ragazzi a riflettere sulla figura di Paolo Borsellino. Ma è fondamentale che anche noi adulti ci interroghiamo su una realtà preoccupante: molti giovani non conoscono davvero cosa sia la mafia. E questo è il vero dramma. Spesso i ragazzi pensano che riguardi solo il Sud, ignorano le differenze tra ’ndrangheta, Cosa Nostra e camorra. Esiste ancora un Nord che preferisce non vedere e un Sud dove le mafie vengono accettate per convenienza, dove troppo spesso gli insegnanti scelgono di non affrontare certi temi. Un impegno che invece, negli anni Novanta e nei primi Duemila, era molto presente nel lavoro educativo».

Foto di apertura Valentina Stefanelli / LaPresse

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