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Calcio, scommesse e Gazzetta, i cerchi che si chiudono

I sindacati protestano per una presunta “legge bavaglio”, ma tutto tace su colossale, macroscopico, scandaloso fronte del conflitto di interessi e di opportunità generati dall’azzardo nell’infosfera. Il ministro Abodi parla a proposito delle scommesse sportive di “Catena del valore”, la Lega di serie A vuole abolire il Decreto dignità, e intanto Gazzabet...

di Marco Dotti

La Gazzetta dello sport del 5 gennaio 2024

«Scommesse è l’ora della svolta», titola a doppia pagina la Gazzetta dello Sport di venerdì 5 gennaio. Vigilia dell’Epifania e a sperare che la Befana porti in dono una vera e propria liberalizzazione del settore scommesse sono soprattutto fondi di investimento e concessionari dell’azzardo di Stato. Per arrivare a tanto serve un primo, decisivo passaggio: l’abolizione dell’odiato divieto introdotto dal Decreto Dignità di pubblicizzare scommesse e altre forme di azzardo sulle maglie ufficiali delle squadre di calcio, ma soprattutto di accordarsi ufficialmente per ogni tipo di partnership con operatori del settore.

Quante storie per un piccolo divieto!

Una normativa che, ricorda la Gazzetta «è la più rigida dei principali campionati europei». Per questo la Lega di Serie A, dopo aver incassato il colpo della mancata proroga del Decreto Crescita, che avrebbe consentito alle società di calcio forti risparmi fiscali sui costi di acquisto e ingaggio di nuovi calciatori esteri, cerca di passare al contrattacco chiedendo che vengano cancellate proprio quelle norme del Decreto Dignità che, in vigore dal 2019, vietando ogni forma di sponsorizzazione diretta o indiretta dell’azzardo hanno mostrato la loro piena efficacia sul piano sociale, della prevenzione e, soprattutto, sono state un primo, necessario argine alla diffusione indiscriminata della sottocultura dell’azzardo.

La vera posta in gioco è un’altra

Ma non lasciamoci trarre in inganno: la posta in gioco è ben altra rispetto alla pubblicità.
Riguarda infatti un vero e proprio cambio di registro e di sistema. Anche qualora non si riuscisse ad abrogare in toto il divieto di pubblicità previsto dalla legge, le società dell’azzardo sarebbero ben contente di – citazione letterale dalla Gazzetta«non “turbare” il lavoro delle associazioni e degli enti che lottano contro la ludopatia» (sic!) pur di avere mano libera sulle scommesse. Singolare considerazione del Terzo Settore, quella che vede lasciare campo libero a «enti» e «associazioni» sulle marginalità, nel momento stesso in cui non concede alcuno spazio al loro protagonismo culturale, politico, sociale, in una parola: alla loro capacità di attivazione democratica. 

Per questo, anche senza toccare il Decreto Dignità, importante per “chi vorrebbe dare le carte”, anziché aspettare che arrivino sul piatto, è “aggirarlo” nella parte in cui scoraggia ogni forma di partnership esplicita. Determinante (per loro) è che si giunga al (loro) obiettivo: incorporare il sistema delle scommesse all’interno delle fonti di finanziamento del sistema calcio. Quando un cerchio si chiude, non c’è più nulla da fare. Per alcuni è un profitto, per altri diventa una prigione.

Il cambio di registro invocato dalla Lega è proprio la trasformazione del sistema-calcio, già oggi in gran parte nelle mani di fondi di investimento speculativi, in un dispositivo integrato con il mondo delle scommesse. Un mondo dove le quote societarie sono anch’esse in gran parte nelle mani degli stessi fondi. Detto in due parole: si tratta di chiudere un cerchio che il Decreto Dignità ha finora impedito di chiudere. Fanno gola, ovviamente, gli oltre 13 miliardi di euro che gli italiani hanno scommesso sul calcio nel 2022. Ma fa gola, soprattutto, il valore simbolico che calcio e storia sportiva sanno ancora generare.

Scommesse e calcio: una catena di… disvalore

Di fronte a queste cifre il Ministro per lo Sport e i Giovani (sottolineiamo il secondo lemma, spesso dimenticato) Andrea Abodi ritiene si possa parlare di una catena del valore (letterale) e dichiara alla Gazzetta che troverebbe corretto «che anche gli organizzatori degli eventi (i club, ndr) possano partecipare alla catena del valore. Oltre allo Stato, agli scommettitori e ai concessionari delle scommesse, c’è un quarto soggetto (i club, ndr) che merita di partecipare alla distribuzione degli utili».
Del soggetto principale, la società, e delle esternalità negative generate da questo intreccio pericoloso tra sport e azzardo meglio che si occupino “enti” e “associazioni”, trattati quasi fossero “professionisti della sfiga”. Con quali costi è impossibile dirlo, visto che l’Italia non ha mai istituito una vera, seria e super partes indagine epidemiologica sul tema.

Da quale pulpito

Strano Paese, il nostro. Anche sul fronte dell’informazione. I sindacati protestano – a torto o a ragione – per un emendamento che introduce il divieto di pubblicare il contenuto delle ordinanze di custodia cautelare fino al termine dell’udienza preliminare, ma tutto tace su colossale, macroscopico, scandaloso fronte del conflitto di interessi e di opportunità generati dall’azzardo nell’infosfera.

Prendiamo proprio la Gazzetta dello Sport, gruppo Rcs.  Pare un lontano ricordo la protesta con cui nel 2014 i giornalisti della rosea reagivano all’ipotesi della nascita di GazzaBet, un’agenzia di scommesse sportive inizialmente interna al gruppo RCS. Si arrivò allo sciopero e i giornalisti tolsero le firme contro l’ipotesi di associare il marchio della Gazzetta al business delle scommesse. Per tentare di far recedere Rcs dal suo intento, i giornalisti le hanno provate tutte.

I giornalisti della redazione comprarono addirittura una pagina su un quotidiano del gruppo rivale (la Repubblica) per protestare contro le decisioni commerciali presi dalla proprietà del loro giornale (Rcs): fatto senza precedenti nella storia del giornalismo italiano.

Come scriveva in un comunicato il Comitato di Redazione della Gazzetta dello Sport: «abbiamo scritto comunicati, distribuito volantini, rilanciato il nostro messaggio su radio, tv e social network, scioperato, ottenuto l’appoggio dell’Ordine e della Federazione nazionale dei giornalisti. E ci avete aiutati anche voi, firmando a migliaia una petizione online su change.org, insieme ai personaggi dello sport e dello spettacolo che vogliono una Gazzetta lontana da chi gestisce le scommesse. Non è bastato».

Oggi GazzaBet – crasi tra “Gazzetta” e l’inglese “Betting”, scommessa – è tornata a nuova vita. Ed è una vita tutta sua, autonoma rispetto al giornale. Dopo una prima fase, dal 2014 al 2017, e un progetto sviluppato in collaborazione con Playtech, seguì un’eclisse durata di alcuni anni. Ora, quello che si presenta a tutti gli effetti come un bookmaker moderno, sotto l’aura del più prestigioso quotidiano sportivo italiano, è tornato in rete. In partnership con un’altra società: Microgame Spa, “gaming technology” e “service provider” leader del mercato italiano.

Microgame, si legge sul sito di GazzaBet, «opera nella raccolta del gioco regolamentato a distanza da oltre vent’anni, e fornisce tecnologie e servizi ad oltre 50 operatori del mercato italiano». Ed è proprio così, perché Microgame opera con oltre 50 concessionari di Stato per il settore online e oltre 120 brand di settore.  Non solo: proprio nel 2017 Microgame siglava una collaborazione con SportPesa, gigante africano del gambling, presente in diversi Paesi, sponsor ufficiale della squadra di calcio del Torino. Il tutto proprio mentre SportPesa acquisiva la partecipazione di maggioranza (75%) di Rcs Gaming dal Gruppo RCS e del suo brand principale GazzaBet.

A proposito di cerchi che si vorrebbero chiudere, di cerchi che si chiudono e di cerchi chiusi (leggi: Decreto Dignità) che chi ha davvero a cuore il nostro Paese e ciò che lo sport ha rappresentato e, in parte, ancora rappresenta dovrebbe impegnarsi affinché non si riaprano più.


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