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Cambiate la Banca, ha toccato il Fondo

Il “popolo di Seattle”chiede la riforma di World Bank e Fmi

di Piergiorgio Greco

Il popolo di Seattle di nuovo in piazza. Questa volta a Washington: per chiedere ai ?G 7? di riformare la Banca Mondiale. Puntava ad attirare l?attenzione del mondo ma l?interesse dei media si è soffermato più su aspetti marginali (gli scontri con la polizia, l?abbigliamento ?folkloristico? dei manifestanti, l?origine ?sessantottina? della protesta) che sul cuore della battaglia. «Questo tipo di copertura dei media alle contestazioni antiglobalizzazione mira a mettere in secondo piano le richieste concrete dei manifestanti», sostiene Francesco Martone, promotore in Italia della ?Campagna per la riforma della Banca Mondiale?. Invece, la gente in piazza chiede « di ?Riformare e non abolire le istituzioni?, siano esse il Fondo Monetario o la Banca Mondiale». E di voler cambiare hanno tutte le ragioni, come spiega Josepli Stiglitz, l?ex economista capo della Banca, oggi tra le menti pensanti della protesta: «Chi accusa l?Fmi di non ascoltare i Paesi in via di sviluppo, di essere un?istituzione non democratica, di proporre soluzioni che aggravano il male invece di curarlo, ha completamente ragione. Ero alla Banca Mondiale proprio durante le crisi della Corea e della Russia e ho visto modi di intervenire sconcertanti. L?ipocrisia di queste istituzioni», continua uno dei possibili candidati al Nobel per l?economia, «è stata evidente soprattutto nel caso della Corea; sono stati gli Usa a spingere per la concessione di forti prestiti. Ebbene, il mercato statunitense ha beneficiato più delle condizioni poste per il salvataggio finanziario che di ogni altro accordo di libero scambio». Che le massime istituzioni economiche internazionali, l?Organizzazione mondiale del commercio, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario, funzionino male e con poca trasparenza lo dimostrano alcuni episodi recenti, come il sostegno economico accordato dalla Banca Mondiale a iniziative dannose per l?ecosistema: ben 2,7 miliardi di dollari sono stati stanziati per 17 progetti che aumenteranno l?effetto serra. Ma ora c?è un nuovo presidente. «Sin dalle sue prime dichiarazioni, il neopresidente Kohler non ha lasciato intravedere lo spiraglio di una riforma seria e sostanziale di questa istituzione», osserva Martone, «ma ha affermato che la strada intrapresa ultimamente è quella giusta: un semplice ritocco di facciata». Quelle che pomposamente vengono definite ?strategie integrate di lotta alla povertà? (PRSP), infatti, in un primo tempo sono state accolte con soddisfazione dalle ong e dai governi del Terzo Mondo. Ma subito dopo i nodi sono venuti al pettine: potranno beneficiare di questi sostanziali interventi soltanto quegli Stati che avranno i parametri a posto, cioè quei governi che saranno costretti a ?svenarsi?per poter compiacere Washington. «Il problema principale», prosegue Martone, «rimane la trasparenza. Possibile che i Parlamenti nazionali non debbano essere coinvolti in decisioni che hanno una forte ricaduta sul tenore di vita di intere popolazioni?». Strettamente collegata a questo problema è, poi, la modifica del criterio di voto del Fondo: «Oggi, infatti, chi mette più soldi, cioè gli Usa, ha un peso incomparabilmente più importante». Ma la disfunzione più urgente rimane la democratizzazione delle istituzioni: i Paesi in via di sviluppo e la stessa società civile, le ong, attualmente contano troppo poco. Senza contare che ai governi si impongono soluzioni iperliberiste, non in grado di risolvere i problemi dello sviluppo e rispondere alla domanda di nuova occupazione. Senza forti tagli alla spesa sociale, infatti, e senza privatizzazioni nessun Paese può accedere a tali programmi. Per questo su 43 Paesi sottoposti a programmi di riduzione della povertà, il 72% ha visto aumentare il numero dei disoccupati e ridurre i salari. Altro che folklore. Cosa chiedono le ong 1. Più trasparenza. Oggi tutte le decisioni sono prese tenendo all?oscuro i Parlamenti nazionali, le ong e la società civile. 2. Più democrazia. I governi dei Paesi in via di sviluppo chiedono di essere ascoltati. È necessario rivedere il meccanismo di voto evitando di dare tutto il potere a chi ?mette più soldi? ,cioè agli Usa. 3. Più controllo esterno. Non è concepibile che sia l?establishment di Washington a stabilire i criteri di assegnazione dei fondi. Un organismo esterno di valutazione eviterebbe che siano ?i ragionieri? ad avere la meglio sui politici. 4. Più attenzione alle crisi di breve durata. Il Fondo non ha competenza sulle questioni di povertà, problemi che appartengono a politiche di lungo respiro. Questo campo andrebbe lasciato alla Banca Mondiale. 5.Più libertà. Oggi i prestiti sono sottoposti al veto del Fondo Monetario: può ottenere finanziamenti soltanto chi attua politiche rigorose di aggiustamento strutturale.


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