Minori

Campi Rom, gli sgomberi non risolvono il problema: bisogna portare i bambini a scuola

Il tredicenne alla guida dell'auto che ha travolto e ucciso a Milano una signora settantunenne e i suoi amici di undici e dodici anni provenivano da un campo rom di una zona vicino al luogo dell'incidente. Una situazione difficile, la loro, tra dispersione scolastica e disagio. Dialogo con Stefano Pasta, responsabile del servizio rom della Comunità di Sant’Egidio nel capoluogo lombardo

di Veronica Rossi

Avevano 13, 12 e 11 anni i quattro ragazzini che a Milano hanno investito e ucciso la settantunenne Cecilia De Astis, a bordo di un’auto rubata (probabilmente non da loro). Tutti i bambini – perché è questo che, sostanzialmente, sono – provengono da un campo nomadi in via Selvanesco, non lontano da Gratosoglio, il quartiere della periferia sud dove è avvenuto il fatto. Le famiglie da cui provengono paiono essere al di fuori della rete di sostegno formata da associazioni e istituzioni, che pur è presente ed ha fatto tanto per l’inclusione delle persone rom della città. «È un episodio terribile, ma più che gridare allo sgombero, dovremmo mettere in campo un buon lavoro sociale», dice Stefano Pasta, responsabile del servizio rom della Comunità di Sant’Egidio a Milano.

Che riflessioni le suscita questo episodio?

Premetto che come Comunità di Sant’Egidio non seguivamo queste famiglie. Peraltro ho letto un’intervista della madre in cui dichiarava che erano arrivati a Milano da pochi mesi, non so se fosse vero. Prima di tutto vorrei esprimere grande solidarietà per la morte di questa signora e per la sua famiglia. Detto questo, come società dobbiamo chiederci: «Come ci interroga come società questa vicenda?».

Che risposte si dà lei?

Alcune famiglie rom – come questa, almeno da quello che sembra dalle ricostruzioni di ieri e di oggi – sono fuori dalle reti di aiuto dei servizi sociali del Comune o delle associazioni. Come ho già detto, Sant’Egidio non conosce nello specifico queste famiglie, ma è stata presente nell’area di via Selvanesco per alcuni periodi in questi anni. È una zona in cui gli sgomberi ci sono stati. Chi in maniera semplicistica invita allo sgombero, sta chiedendo qualcosa che negli ultimi anni è avvenuta almeno una decina di volte. Nel tempo sono si sono susseguite diverse famiglie: all’inizio degli anni ‘90 Fabrizio Gatti ha scritto Viki che voleva andare a scuola, parlando proprio di ragazzi di origine albenese che stavano in questa zona. Detto questo, il fatto è terribile, ma il determinismo sociale è sempre sbagliato, soprattutto quando si parla di bambini.

In che senso?

Quello che ci sentiamo di dire, come Comunità di Sant’Egidio, è che si può fare molto con le famiglie rom. A Milano in questi anni abbiamo seguito la scolarizzazione di centinaia di famiglie e minori, che abbiamo conosciuto nelle baraccopoli anche non lontano da questa zona. Oggi alcuni fanno le superiori, altri sono all’università. Serve anche l’aggancio con le reti sociali del territorio. Per esempio la scuola e la parrocchia si sono contraddistinte in questi anni, ma anche il Comune stesso. Va detto che negli ultimi 15 anni il numero di bambini non scolarizzati tra i minori rom sono diminuiti drasticamente così come sono calate, a Milano come altrove, le persone che vivono in baraccopoli. Ci sono delle piccole sacche, dei piccoli gruppi che, come questo, sono rimasti fuori dai percorsi fatti finora.

Cosa si può fare per evitare situazioni di questo tipo?

Di fronte a dei ragazzini così, senza giustificare nulla né a loro né alle loro famiglie, non possiamo accontentarci di proclami che chiedono lo sgombero. Occorre affiancare alla giusta condanna per l’episodio un lavoro sociale. Facciamo per esempio un monitoraggio sul perché ci sono dei minori in dispersione scolastica. Il diritto/dovere all’obbligo scolastico è previsto dal nostro ordinamento. Iniziamo ad applicarlo seriamente. Non mi sorprende, poi, che questo episodio – di nuovo, senza giustificarlo – sia avvenuto nel pieno del mese di agosto, in un momento in cui il presidio sociale è meno forte nella città.

Sono quindi minori che vivono una situazione di abbandono da parte della società?

Io non mi sento di dire da parte della società. A Milano, con un’ottima sinergia da parte delle molte associazioni e del Comune sono stati fatti dei progetti molto seri e infatti tantissimi minori, centinaia, sono stati tolti da situazioni simili a questa e avviati alla scolarizzazione. Per le ricostruzioni si tratta di famiglie arrivate da poco, non conosco la storia nelle città dove hanno vissuto prima. Parlerei piuttosto di famiglie che non sono state incluse al momento – non per forza perché siano mancate le opportunità – in percorsi di tipo sociale. D’altro canto, di fronte a ragazzini che commettono atti di questa gravità, possiamo sicuramente parlare di fallimento educativo e interrogarci su cosa si possa fare ancora.

Nella foto La Presse controlli di polizia locale e carabinieri nel campo rom di via Selvanesco dove sono rientrati i ragazzi protagonisti dell’incidente mortale in cui ha perso la vira Cecilia De Astis

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