Salute

Cannabis e emergenza psichiatrica: il grande silenzio

Possibili disturbi correlati all’uso di cannabis sono numerosi e ben documentati: deficit cognitivi, dipendenza, depressione, disturbi d’ansia, attacchi di panico, insonnia. Tuttavia l’aspetto forse più urgente della questione è l’insorgenza di episodi psicotici. Eppure l'unica narrazione corrente è quella del "nessun pericolo". Facciamo il punto

di Giuseppe Lorenzetti

Ieri mattina, al bar, un uomo ben vestito sulla sessantina di fronte al malumore del gestore che lamentava alcune difficoltà conseguenti alle nuove norme sanitarie, ha esordito ad alta voce con una frase scherzosa ed emblematica: “Adesso ci facciamo tutti una bella canna, così poi stiamo meglio”. Marijuana, cannabis, erba, hashish sono parole che negli ultimi anni sono entrate nel nostro vocabolario in modo subdolo e pericoloso. Quando si sente parlare di canne si pensa a una cosa (quasi) normale. Molti genitori di figli adolescenti preferiscono non intervenire. Sanno e non sanno. Sanno, ma preferiscono non pensarci. La considerano, tutto sommato, il minore dei mali, fino a che, forse qualcuno, non è costretto ad aprire gli occhi.

Carlo Fraticelli, direttore del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze dell’ASST Lariana, e Carlo Locatelli, direttore del Centro Antiveleni e Centro Nazionale Tossicologico dell’Istituto Maugeri di Pavia lavorano ormai da anni in stretto contatto. Perché? Il collegamento tra uso di sostanze psicoattive e emergenze psichiatriche è spaventoso. “Tra i giovani che arrivano al pronto soccorso psichiatrico, trovare qualcuno che non abbia THC (delta-9-tetraidrocannabinolo, uno dei maggiori principi attivi della cannabis) nel corpo è diventata una rarità”, afferma Fraticelli.

I possibili disturbi correlati all’uso di cannabis sono numerosi e ben documentati: deficit cognitivi, dipendenza, depressione, disturbi d’ansia, attacchi di panico, insonnia. Tuttavia l’aspetto forse più urgente della questione è l’insorgenza di episodi psicotici. Marta Di Forti e alcuni colleghi del King’s College in uno studio durato sei anni, a Londra, hanno ottenuto dei risultati sconcertanti: il rischio di incorrere in episodi psicotici per i consumatori di cannabis è tre volte maggiore rispetto ai non consumatori. In un campione di 410 pazienti, il 24% degli esordi psicotici era attribuibile all’uso di cannabis.

Questi dati sono confermati da numerosi studi facilmente reperibili, tra cui i lavori di Robin Murray, tuttavia l’informazione non gira. E’ scomoda, fastidiosa e non vuole essere ascoltata. Carlo Locatelli, parallelamente al suo lavoro quotidiano al centro antiveleni, si è impegnato in numerosi interventi nelle scuole del pavese: “I giovani non hanno bisogno di una predica o di un richiamo paternalistico, ma devono essere informati sui rischi reali, per poter prendere una scelta consapevole. Bisogna fare leva sulla loro curiosità, trovare il linguaggio giusto.

Oggi l’unica narrazione che hanno a disposizione è il fatto che quasi tutti i loro coetanei si drogano, che è una figata e che non è pericoloso. E’ necessario far capire loro l’altra faccia della storia”. Il punto è che la diffusione del problema è talmente ampia (i dati ufficiali dell’Espad Italia riportano che il 25,8 % dei giovani italiani nella fascia di età 15-19 anni ha fatto uso di cannabis nell’ultimo anno) e il vizio culturale (la droga “leggera”) talmente radicato che in pochi vogliono davvero sapere. Se fosse una cosa possibile, sarebbe interessante vedere i cambiamenti di opinione sul tema e di dedizione alla causa, dopo una visita guidata in un pronto soccorso psichiatrico.

Per intenderci, quando si parla di episodio psicotico acuto si intendono sintomi come allucinazioni, deliri, paranoia, che si presentano violentemente e inaspettatamente.

“Non sempre” – spiega Fraticelli – “c’è un biglietto di ritorno. I fattori che incrementano maggiormente il rischio sono tre: età, uso quotidiano, prodotti ad alta potenza”. Normalmente i ragazzi e le ragazze iniziano a usare cannabis tra la fine delle scuole medie e l’inizio delle superiori, quando il cervello è ancora in fase di sviluppo. Più è precoce l’età d’inizio, maggiori sono i rischi correlati.

Lo stesso discorso vale con la frequenza dell’utilizzo di cannabis, anche se, contrariamente a quanto comunemente si creda, questo fattore non è necessario a sancire danni gravi e/o permanenti. Anche un uso sporadico, infatti, può avere conseguenze nefaste. Infine bisogna considerare la potenza della sostanza. La cannabis che si fumava negli anni ‘70/’80 presentava normalmente una percentuale di THC (come riportato sopra, uno dei maggiori principi attivi della sostanza) che si aggirava attorno all’1/2 %. Oggi si arriva tranquillamente fino al 15/20 % e oltre. Per non parlare, delle nuove sostanze psicoattive, studiate dal centro antiveleni, di cui buona parte sono cannabinoidi sintetici (parenti stretti della marijuana), che hanno un principio attivo ancora più potente.

Prima di scrivere questo articolo, con l’aiuto di un amico, ho fatto alcune domande a conoscenti consumatori. Tra questi ci sono studenti di medicina e di psicologia, aspiranti magistrati e padri di famiglia. La principale giustificazione (non richiesta) era che con il loro utilizzo di cannabis non facevano male a nessuno. Ora, io posso capire, seppur con qualche difficoltà, che un ragazzino di 12/13 anni non si renda conto di ciò che sta facendo fumandosi una canna ed è proprio su questo punto che è necessario intervenire. Ma davvero faccio fatica a credere che professionisti plurilaureati, magari proprio in medicina, continuino a negare l’evidenza così spudoratamente.

Perché se anche un uomo adulto e “coscienzioso” si ritenesse capace di affermare che, contrariamente all’evidenza scientifica, su di sé un utilizzo moderato di cannabis non abbia particolari effetti dannosi, non è possibile non rendersi conto che, attraverso le proprie azioni e i propri pensieri, si sta alimentando un sistema estremamente pericoloso per moltissime persone, di cui la maggior parte giovani e inconsapevoli.

Ragionando per estremi, se anche solo l’1% dei consumatori di cannabis nella fascia di età 15-19 anni (in realtà la proporzione è molto più alta), andasse incontro a gravi conseguenze, considerata la pervasività del fenomeno, ci troviamo di fronte a diecimila persone che finiscono in un pronto soccorso psichiatrico in condizioni gravissime, di fronte alla beata ignoranza di uomini e donne più o meno colte, che quando il figlio o la figlia 14enne tornano a casa la sera con gli occhi tutti rossi, decidono di sorriderci su.

Questo non è un attacco nei confronti di nessuno, ma un’invocazione a riflettere. Certamente è difficile intervenire per un genitore, come per un insegnante, uno psicologo o un educatore, anche perché è necessario analizzare le motivazioni individuali di ognuno a ricorrere a questo tipo di azioni (molti raccontano di fumare per riuscire a “rilassarsi”). Tuttavia non può esserci alcun tipo di intervento se alla base manca la consapevolezza collettiva del problema. E’ infatti necessario un approccio integrato che cominci da una comunicazione fluida e chiara tra psichiatri, psicologi, medici di base, politica, istituzioni, forze dell’ordine, scuole, oratori, genitori e ragazzi.

Ciò è difficile per moltissimi motivi, a partire dagli ingenti interessi economici della criminalità organizzata nel settore dello spaccio, ma il nemico più grande, come sempre siamo noi stessi e la nostra stramaledetta voglia di far finta di niente di fronte ai problemi che non ci toccano direttamente. Io non auguro a nessuno di essere parente di un ragazzo o una ragazza che, da un giorno con l’altro, rischia di perdere la testa, di non essere più sé stesso, di rimanere coinvolto in un incidente, di prendere la via della tossicodipendenza, per colpa di qualche “innocua” canna. Il modo migliore per evitarlo è assumersi la responsabilità della propria consapevolezza sul problema, a partire dalla battuta al bar di quel signore sessantenne ben vestito, di fronte alla quale possiamo scegliere di farci una risata insieme a lui oppure di spiegargli perché non siamo d’accordo.

Lo dobbiamo fare in primis per noi stessi, per i nostri cari, ma anche per rispetto nei confronti di tutte quelle persone che sono rimaste coinvolte nel problema e dei professionisti che ogni giorno si dedicano ad esso.

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.