Giustizia

Carcere, la lettera di 35 accademici a sostegno di “Ristretti Orizzonti”

Trentacinque docenti universitari hanno firmato una lettera aperta indirizzata al Dap per supportare la testata dell'istituto padovano, dopo l’emanazione di una nota in cui si limitano gli orari in cui i detenuti di alta sicurezza possono uscire dalle celle. L’estensore Davide Galliani: «Non si può generalizzare e considerare tutte le persone di quelle sezioni problematiche perché ci sono stati eventi critici. Chiediamo un confronto con il Dipartimento»

di Ilaria Dioguardi

Il 27 febbraio scorso il direttore generale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria-Dap ha emanato una nota, avente ad oggetto le modalità di custodia dei detenuti di alta sicurezza, in cui si impone una restrizione sugli orari di apertura delle «camere di pernottamento» e attività separate dai detenuti comuni. Preoccupati per le conseguenze, 35 docenti universitari italiani hanno scritto una Lettera aperta al Dap in sostegno di Ristretti Orizzonti, testata la cui redazione è da 28 anni nella Casa di reclusione Due Palazzi di Padova, impegnando quotidianamente una cinquantina di detenuti e contribuendo al loro futuro reinserimento nella società. Tra di loro, anche chi proviene dal circuito alta sicurezza. La lettera è stata redatta da Davide Galliani, professore di Diritto costituzionale all’Università di Milano.

Galliani, perché lei e 34 suoi colleghi avete deciso di scrivere una lettera al Dap?

Ci tengo a precisare che non è un appello, che viene fatto alla ricerca di firme, di sostegno, di legittimazione. Con questa lettera aperta chiediamo al Dap un momento di riflessione per comprendere se ci sono spazi per tornare sui propri passi su un tema molto importante. Ho chiesto l’adesione di un numero limitato di colleghi che si occupano di diritto penitenziario. Da quando la lettera è diventata pubblica, sto ricevendo la volontà di aderire di tanti altri colleghi. Ci fa piacere ma lo scopo non era fare massa critica.

Siamo partiti da un caso specifico, quello della testata Ristretti Orizzonti, un giornale che esiste da quasi 30 anni e fa molte cose buone, che inizia a subire le ripercussioni della nota, che prevede un regime di custodia dei detenuti di alta sicurezza in cella chiusa.

La nota del Dap con oggetto Modalità custodiali circuito Alta Sicurezza:

Cosa significa, per Ristretti Orizzonti?

Significa che i detenuti di alta sicurezza non possono più uscire dalla loro sezione per andare nella redazione del Due Palazzi di Padova e fare le attività che ormai da tanti anni facevano. Sono tutte attività importanti perché hanno come scopo la rieducazione, la risocializzazione. Uno degli strumenti formidabili della testata è il Notiziario quotidiano dal carcere, che tutte le mattine la redazione invia agli iscritti alla newsletter e che pubblica sul proprio sito: una vera e propria rassegna stampa, a tappeto, precisa, delle notizie sul carcere del giorno precedente. Uno strumento indispensabile per gli studiosi, per gli addetti ai lavori, che vanno a scovare gli articoli anche delle testate più piccole, basta che parli di detenuti o di carcere. Questa nota del Dap rischia di portare negative ripercussioni su questo lavoro, che era collettivo.

Quanto è importante che, in carcere, ci siano lavori collettivi?

Una delle tante positività di Ristretti Orizzonti era quella di mettere insieme detenuti comuni e di alta sicurezza. Con questa nota, i detenuti di alta sicurezza devono avere una custodia a celle chiuse. Lo spunto di questa lettera aperta nasce dalla testata padovana come strumento importante e di conoscenza, da tutelare. Ma iniziano a esserci grossi problemi per diversi progetti in carcere, anche delle università.

Il diritto allo studio vale per tutti i detenuti, dal primo all’ultimo. Anche i detenuti al 41 bis hanno il diritto di iscriversi all’università. Viste le esperienze passate di vita di molti detenuti, lo studio fino al livello universitario andrebbe incentivato: sono molto importanti per permettere la rieducazione. Crediamo che su una materia così delicata come quella riguardante i regimi di custodia, bisognerebbe rispettare la Costituzione, la quale dice che i modi della detenzione devono essere stabiliti con legge.

La Lettera aperta al Dap in sostegno di “Ristretti Orizzonti”:

Ci spieghi meglio.

Una cosa è la nota del direttore generale della Direzione generale detenuti e trattamento del Dap (Ernesto Napolillo, ndr), un’altra è una legge, che implica dibattito parlamentare, scontro, dialogo tra maggioranza e opposizione, quindi una discussione della società, che in miniatura è il Parlamento. La Costituzione, non a caso, prevede una riserva di legge.

Tecnicamente, quella del 27 febbraio scorso è una nota, di fatto è una circolare che è tutto tranne che una legge, approvata in un modo del tutto differente rispetto alla trasparenza, alla collegialità, a tutto quello che è il Parlamento. Sembra una questione di forma, ma in realtà non lo è affatto. È costituzionalmente necessario che ad esprimersi sia il Parlamento, e non il Governo, il Dap, il direttore generale.

«Non possono essere consentite libertà di movimento e aggregazione tipiche del modello custodiale aperto – si legge nella circolare – poiché l’osservazione e la vigilanza devono essere sempre improntate alla massima attenzione».

Io e i miei colleghi universitari, che hanno firmato con me la lettera aperta, riteniamo che sia difficile trovare una qualche compatibilità tra una Costituzione che parla di sviluppo della persona e di eliminazione degli ostacoli che ne impediscono il pieno sviluppo, parla di responsabilità penale personale, di rieducazione, e le celle chiuse: quanto stanno dentro questo perimetro costituzionale? Immaginare che si possa fare più rieducazione chiudendo le persone per maggior tempo nelle celle, piuttosto che facendocele stare di meno, mi sembra abbastanza azzardato. Non è che la nota del Dap sia avulsa dal discorso della rieducazione.

La nota del Dap dice anche che «l’amministrazione penitenziaria deve adoperarsi, sul piano organizzativo affinché le persone detenute e internate siano assegnate agli istituti, ovvero alle sezioni degli istituti, sulla base di un criterio di omogeneità» al fine di «meglio realizzare le azioni di osservazione scientifica della personalità e di trattamento individualizzato»

Sì, il Dap afferma che la migliore individualizzazione del trattamento la si ottiene con le celle chiuse perché, in questo modo, si evitano le promiscuità tra i detenuti, si trattano in modo più specifico. Per questo, i detenuti di alta sicurezza restano nell’alta sicurezza. Anzi: nelle celle di alta sicurezza. È un tornare indietro, un regredire da cella aperta a cella chiusa. Un aggravamento della condizione è comprensibile e ragionevole quando c’è alla base una motivazione. Se ci sono stati dei problemi legati ai detenuti di alta sicurezza, vanno affrontati caso per caso. Non si può partire da uno specifico caso, per il quale si potrebbe dire che era meglio aver avuto la cella chiusa, per chiudere tutti i detenuti di alta sicurezza, anche persone che non hanno mai dato problemi.

Questo è quello che contestate, la generalizzazione?

Il Dap dice che, chiudendo i detenuti di alta sicurezza nelle loro celle, si ottiene più individualizzazione. Noi diciamo che in realtà si cozza contro l’individualizzazione perché il miglior trattamento individualizzato, tendente alla rieducazione, si ha guardando la singola persona, non considerandole tutte uguali. Il Dap dice, nella nota, che sono successi degli eventi un po’ critici, problematici. Quello che non va bene è la generalizzazione nel considerare tutti i detenuti di alta sicurezza in modo critico poiché sono successe delle questioni critiche. Io in carcere vado da tantissimi anni occupandomi di ergastolo ostativo. Ho conosciuto tanti detenuti di alta sicurezza. È irragionevole presupporre che, perché sono in quella sezione, sono un pericolo per l’ordine e la sicurezza: questo fa purtroppo la nota del Dap.

Cosa chiedete con la vostra lettera aperta?

La nostra lettera vuole essere un invito a confrontarci con il Dap, vorremmo chiedergli se, forse, non ha preso un po’ troppo in fretta questo provvedimento e discuterne. A nostro avviso, ci sono delle questioni che vanno dibattute, partendo dallo stesso punto di vista. Se vogliamo garantire la sicurezza e l’ordine dentro gli istituti penitenziari, il modo migliore è trattare ogni persona in modo personalizzato, diversamente da come si trattano le altre.

Se si trattano tutti allo stesso modo, non si garantiscono affatto perché, ripeto, ci sono persone che non hanno mai avuto a che fare con delle criticità. Nessuno nega che in carcere ci siano tanti problemi. Chiediamo una riflessione su quelle che possono essere le conseguenze più gravi di questa circolare, che è di quasi tre mesi fa. Ho scritto adesso questa lettera perché iniziano a vedersi gli effetti. Questa nota del Dap rappresenta un po’ l’andazzo del carcere.

Qual è l’andazzo del carcere?

Oltre ad essere un mondo conosciuto pochissimo dalle persone, ci sono una miriade di atti (come quello di cui stiamo parlando), circolari, note, linee guida, che rendono ancora tutto più oscuro, tutto poco trasparente. Però per un detenuto cambiano la vita, quindi bisogna incentivare la massima trasparenza. I dati sulle carceri, sul sito del ministero della Giustizia, ci sono, ma non tutti e, quelli che ci sono, non sono aggiornati come dovrebbero essere. Non bisogna nascondere le difficoltà e tantomeno i punti di forza. A tutti fa comodo non guardare dentro un carcere perché tanto pensiamo che là ci stiano delle persone che hanno sbagliato, che sono in colpa.

Foto di apertura di Grant Durr su Unsplash

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