Giustizia
Carceri minorili? Non funzionano perché manca il valore educativo della pena
Due ragazzi sono evasi dall’istituto penale per i minorenni di Milano Cesare Beccaria. «Gli istituti hanno una scarsa, se non scarsissima, efficacia», dice l’educatore Franco Taverna, responsabile area adolescenza dalla Fondazione Exodus di don Mazzi e presidente dell’associazione Semi di Melo. «Il problema non riguarda il Beccaria ma è generale, il metodo non funziona quasi dappertutto. Dobbiamo superare le sbarre: la motivazione per una trasformazione positiva può nascere solo in un contesto sano di cura»
di Anna Spena
Domenica 8 settembre due ragazzi, fratelli, sono evasi dall’ istituto penale per i minorenni di Milano Cesare Beccaria. I due sarebbero riusciti a scavalcare il muro di cinta. I fratelli di nazionalità egiziana hanno 16 e 17 anni.
«Uno dei due era già fuggito nel giugno scorso e rintracciato nel giro di qualche giorno. Non c’è pace evidentemente nelle carceri del Paese, che si guardi al circuito per minori, in cui permangono detenuti fino al 25esimo anno d’età, o a quello per adulti», dice il segretario generale del sindacato della polizia penitenziaria Uilpa Gennarino De Fazio.
«Se l’Istituto Penale Minorile Beccaria fosse gestito da un ente del Terzo settore, visti i ripetuti e gravi episodi che si sono susseguiti in questi primi 7 mesi dell’anno 2024, un normale ente di vigilanza sarebbe presto intervenuto con un provvedimento di chiusura o perlomeno di sospensione della licenza», dice Franco Taverna, responsabile area adolescenza dalla Fondazione Exodus di don Mazzi e presidente dell’associazione Semi di Melo. «Considerato il mandato, che è quello di far eseguire una condanna penale attraverso una misura rieducativa, il servizio di vigilanza sarebbe andato a controllare la correttezza della documentazione formale e l’efficacia del trattamento erogato e credo che, alla fine di questa valutazione, questo controllore si sarebbe trovato in una paradossale situazione: l’istituto possiede una formale correttezza nello svolgimento del suo compito ma ha una scarsa, se non scarsissima, efficacia. In altre parole, le carte vanno bene, ma il sistema non funziona».
Gli episodi gravi all’interno degli istituti per minorenni negli ultimi anni si sono ripetuti con una frequenza mai vista prima, quelli del Beccaria sono solo gli ultimi, appunto, ed è evidente la fatica degli operatori a trovare soluzioni accettabili che non si riducano esclusivamente all’inasprimento dei dispositivi repressivi e sanzionatori».
«Ora», continua Taverna, «il punto veramente grave della vicenda degli istituti di pena per minorenni, è che il Beccaria non è un caso isolato. Il problema non riguarda il comandante o la Direzione o gli agenti di questo istituto. Il problema, mi pare, è generale, il metodo non funziona quasi dappertutto. Davanti a questa situazione ci possono essere due strade. La prima è quella di cancellare la ricca e avanzata storia della giustizia minorile italiana, esempio, mi spingo a dire, di civiltà, umanità e scienza per molti altri Paesi non solo del nostro continente, e applicare anche per i minorenni, addirittura sotto il 14 anni, i medesimi criteri utilizzati per gli adulti. Introducendo nuove fattispecie di reati, essendo inflessibili nelle condanne affinché siano da monito per il popolo, aumentando i dispositivi e il personale per il controllo. La seconda strada è quella di ripensare il sistema alla luce dei cambiamenti sociali che sono sopraggiunti».
Secondo Taverna «la prima strada», dice, «se ho capito bene, è quella auspicata dagli attuali decisori dell’apparato della Giustizia in Italia. È una strada sbagliata alla radice perché i fatti hanno finora dimostrato che la carenza principale non sta nei mezzi che mancano ma nel metodo ormai superato. La seconda strada è certamente più difficile perché richiede capacità di analisi dei fenomeni e elaborazione di strategie aggiornate, mirate non solo alla sicurezza immediata ma ad una prospettiva di sicurezza nel lungo periodo. In questo senso il ripensamento più importante da fare non si solo riferisce allo spessore delle sbarre alle finestre ma piuttosto al valore educativo della pena, che deve essere presente ed efficace. Per un ragazzo che ha commesso un reato è importante la presa di coscienza dell’errore e la valutazione delle sue conseguenze ma solo in un ambiente sereno, orientato alla cura delle relazioni, animato da autorevolezza e insieme da una paziente cucitura delle dimensioni affettive può far intravedere un cambiamento possibile. La motivazione per una trasformazione positiva può nascere in un contesto sano di cura. Serve piuttosto un nuovo modello di formazione per gli adulti che hanno responsabilità con la presenza costante di figure educative».
Quattro anni fa la Fondazione Exodus di don Mazzi ha avviato una sperimentazione, con la collaborazione di alcuni Centri per la Giustizia Minorile, e l’ha chiamata “Progetto Pronti Via!”. L’iniziativa è sostenuta dall’Impresa Sociale Con i bambini, per offrire a minori che hanno commesso reati, forti esperienze educative.
Credit foto Pixabay
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