Mondo

Caro Obama, parli all’islam sbagliato

Il presidente americano non ha capito che il radicalismo musulmano non nasce nelle comunità tradizionaliste, ma all'interno delle società secolarizzate occidentali

di Redazione

Profondo conoscitore del Medio Oriente, che l’ha stregato dopo il suo primo viaggio in Afghanistan nel 1969, Olivier Roy è professore alla Ehess, l’École des hautes études en sciences sociales di Parigi, e dal 1984 è consulente del ministro degli Esteri francese. La figura di Barack Obama, sostiene Roy all’indomani del fallito attentato sul volo Amsterdam-Chicago e alle tensioni sempre più forti con lo Yemen, non basta per creare ponti culturali con un mondo islamico che si sta via via allontanando dal modello occidentale, come, d’altronde, da quello dell’islam delle origini. «Imbevuto di ideologia modernista, l’islam di adesso, per esempio dei giovani musulmani in Egitto, ma anche in Turchia, non è l’islam tradizionale», spiega Roy. «Queste nuove generazioni hanno riformulato l’islam e l’hanno fatto in termini occidentali, attraverso la globalizzazione. Ma questa riformulazione non porta necessariamente ad una versione liberale della religione, piuttosto dà un ulteriore valore di contrapposizione all’islam in quanto “marchio” oppositore all’Occidente». Così anche il messaggio di augurio da parte della Casa Bianca all’Iran in occasione del capodanno persiano è stato di pura facciata, e poco effetto ha avuto sul popolo iraniano. Prosegue Roy: «L’Iran è già costituito da una società laica, secolarizzata. La maggior parte degli iraniani non pratica la religione, e hanno anzi una forte avversione per l’attuale regime islamico». Ma nemmeno Obama rappresenta un’alternativa «perché non è più l’Occidente ciò che attrae i giovani. Si tratta di una generazione frammentata, che non crede nei miti, ma alla libertà personale».
È vero che ogni contesto ha proprie caratteristiche locali, ma secondo il sociologo francese il distacco dal modello occidentale come da quello dell’islam tradizionale è un fenomeno globale nel suo insieme. Come è stato evidente anche per la questione del referendum svizzero contro i minareti. Ragiona Roy: «Il problema è del marchio religioso nella sfera pubblica. La questione di questi marchi religiosi – crocefissi, minareti, hejab – è che, in realtà, sono anche marchi culturali». Se prendiamo il crocefisso, per esempio, «il governo italiano alla corte di Strasburgo sosteneva che fosse un simbolo puramente culturale, ma questa posizione non poteva essere condivisa dalla Chiesa cattolica, per la quale il crocefisso è un segno religioso. Siamo quindi di fronte a una contraddizione che imbarazza anche la Chiesa, che non può per esempio sostenere la posizione della Lega Nord, che dà al crocefisso un valore puramente politico e identitario, anche se è nell’interesse ecclesiastico riavere i crocefissi nelle aule scolastiche». In Svizzera è la stessa questione: «La campagna contro i minareti era una campagna contro gli immigrati, gli stranieri; quindi per coloro che hanno votato contro i minareti, cultura e religione sono la stessa cosa».
Ma l’Occidente, oltre ad aver creato questa “nuova versione di islam”, che impatto ha avuto nei Paesi musulmani? Ancora Roy: «Quasi tutti i giovani attentatori radicali islamici sono cresciuti a Ovest: a Marsiglia, Londra, Parigi, o nel New Jersey. L’islam radicale non è un effetto che straborda in Occidente e ha origine nel conflitto mediorientale, ma è una conseguenza dell’ibridità tra Est ed Ovest». Il problema dunque non sono le società tradizionali. «Una società tradizionale non crea alcun problema all’Occidente: mentre lo fanno le società occidentalizzate». La conseguenza è che «abbiamo un islam occidentale, che si reinventa e normalizza secondo un modo di pensare ereditato dall’Ovest». Per questo «non basta un presidente che apparentemente ha buone intenzioni per cambiare o migliorare i rapporti tra Stati».

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