Pnrr
Case e ospedali di comunità? Una rivoluzione che va a rilento
La segretaria generale di Cittadinanzattiva, Anna Lisa Mandorino, commenta il report della Corte dei Conti sullo stato di avanzamento dei lavori. Il 30 giugno 2026 è vicino, ma ad oggi sono state collaudate appena 58 Case di comunità e 17 Ospedali di comunità: il 5,5% di ciò che era previsto. «Manca anche la coprogettazione», dice Mandorino

Centoquattro pagine ricche di tabelle, numeri e considerazioni che non giungono del tutto inaspettate e annunciano un prossimo futuro pieno di incertezze. La relazione semestrale della Corte dei Conti sullo “stato di attuazione degli interventi di Pnrr e Pnc”, relativamente alle Case e agli Ospedali della comunità mostra un Paese che in buona parte è fortemente in ritardo rispetto alla scadenza del giugno 2026. La Sezione centrale di controllo, presieduta dal magistrato Mauro Orefice e chiamata a esprimersi sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, nella relazione precisa che «la strategia d’azione prevista dalla Missione 6, le cui risorse ad oggi ammontano complessivamente a 17,32 miliardi di euro, consta di due linee di intervento, finalizzate a migliorare le dotazioni infrastrutturali e tecnologiche per l’assistenza sanitaria territoriale (8,2 miliardi di euro, ndr), nonché a promuovere la ricerca scientifica ed il potenziamento delle competenze professionali, l’innovazione e la digitalizzazione del Sistema sanitario nazionale (9,1 miliardi di euro, ndr)», come illustrato dalla tabella seguente.

Una curiosità: nel rapporto, la Missione 6 non figura tra le aree più critiche. Tuttavia, la situazione appare decisamente allarmante e i lavori, salvo poche eccezioni, sono mediamente in forte ritardo rispetto all’obiettivo del giugno 2026. Naturalmente, ci sono territori più virtuosi di altri. Il Centro-Sud appare molto indietro rispetto al Nord Italia, anche per le croniche criticità strutturali: questo sistema più vicino al territorio era già più presente o efficiente, prima del Covid, in Toscana, Emilia Romagna e Lombardia. A un anno dal fatidico traguardo, risultavano avviati lavori per 1.168 Case di comunità rispetto al target di 1.038 ridefinito dal Governo. Ebbene, soltanto 58 strutture risultavano collaudate. Analoga situazione si registra per gli Ospedali di comunità: appena 17 di essi risultavano collaudati al 20 giugno scorso, ma i lavori avviati riguardano 307 strutture (il target inizialmente era di 357 ospedali).
«La nostra organizzazione sta monitorando l’avanzamento dei lavori finanziati con il Pnrr sin da quando il Piano nazionale di ripresa e resilienza è stato pensato», spiega Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva. «Tempo addietro, con le altre organizzazioni del Terzo settore ci lamentammo perché avevamo rilevato una scarsa partecipazione nella fase di costruzione del Pnrr (qui il numero di VITA dedicato, ndr). Almeno per quanto ci riguarda, ci siamo impegnati nella fase di monitoraggio dell’andamento delle misure previste e dei fondi allocati. Qualche anno fa, in occasione del Festival della partecipazione (un’iniziativa pubblica promossa da Cittadinanzattiva e ActionAid Italia, ndr), lanciammo l’iniziativa “Follow the money” per seguire il flusso dei fondi allocati sul Pnrr. Prevedemmo ciò che poi, in buona parte, è accaduto e che la Corte dei Conti ha puntualmente rilevato, vale a dire le lentezze nell’utilizzo di queste risorse. In buona parte riguardano la Missione 6 ma coinvolge anche una parte della Missione 5, collegata alla salute. Con OpenPolis, nel corso degli anni, abbiamo ricostruito l’andamento degli interventi previsti dalla Missione 6».

La Corte parla di un’attuazione che, limitatamente ai primi sei mesi del 2025, risulta «sostanzialmente in linea con gli obiettivi europei». Un paradosso? «No, perché non esclude di fatto la lentezza di cui parlavo», commenta il numero uno di Cittadinanzattiva. «E questa lentezza riguarda gli interventi di natura strutturale, orientati a costruire o ristrutturare le Case e gli Ospedali di comunità che saranno messi a disposizione di un sistema di assistenza territoriale che pure noi abbiamo apprezzato. Il problema è che questo tipo di interventi, nel nostro Paese, richiede tempi piuttosto lunghi e incontra spesso ostacoli o inciampi. Ecco perché, sin dall’inizio, avevamo espresso una certa preoccupazione. C’è la necessità di accelerare, e lo sottolinea anche la Corte dei Conti. Ma, al momento, non ci sono le prospettive che facciano pensare a una positiva conclusione di tutto il percorso».
C’è poi un’altra questione che Cittadinanzattiva sottolinea sempre: «Quella delle disparità territoriali. Alcune regioni sono più avanti, altre decisamente indietro: queste ultime sono quelle che hanno dovuto affrontare il processo ex novo. A volte ci sono ostacoli esterni, come le elezioni o le improvvise dimissioni, come è accaduto pochi giorni fa in Calabria». Come spesso accade, le Regioni più strutturate vanno a passo spedito mentre le altre arrancano. «Ma proprio per queste ultime, un intervento del genere è doppiamente importante», fa notare Mandorino. «Mi sembra estremamente difficile che, al 30 giugno 2026, siano realizzati tutte le Case e gli Ospedali di comunità. Non solo: per quella data dovrà essere stato individuato il personale che dovrà lavorarci e questa è una sfida altrettanto grande».
In questa vicenda, da tempo è emerso un elemento che lascia attoniti: una certa diffidenza di una parte della politica (sia a livello nazionale che territoriale) su questo tipo di infrastrutturazione che andrà a inserirsi in una riforma della sanità più complessa. Non tutti ci credono. Anzi, molti ancora oggi pensano che le Case di comunità siano una sorta di poliambulatori. È un problema culturale, soprattutto. «Questo tema è emerso sin dall’inizio», riconosce la segretaria generale di Cittadinanzattiva. «Tra l’altro, la denominazione è stata scelta proprio perché parliamo di una struttura che promuove la salute di una comunità, attraverso l’assistenza territoriale, la prevenzione, la gestione delle malattie croniche. Si va persino oltre il concetto della sanità di prossimità. Insomma, parliamo dei settori più scoperti del sistema sanitario nazionale. È uno dei motivi per cui molta gente si reca al Pronto soccorso anche per problemi di lieve entità. Per il mondo del Terzo settore, questi sono i desiderata che dovrebbero consentire di tutelare la salute nel suo insieme. Non è solo la risposta a un bisogno di sanità immediato, riguarda un ruolo proattivo. Va poi precisato che le 1.038 Case della comunità progettate non consentono una distribuzione territoriale tale da risolvere i problemi. Una delle nostre battaglie riguarda, infatti, la dislocazione delle Case di comunità: nate per coprire soprattutto le aree più marginali e rarefatte, non coperte dai servizi, alla fine saranno costruite soprattutto nei territori già coperti: secondo una ricerca che pubblicammo tempo fa, parliamo di un buon 84% di strutture dislocate nel Centro-Nord. Vien da dire che piove sul bagnato».
Va detto che le Case della comunità non potranno risolvere tutti i problemi che, soprattutto con la pandemia, si sono moltiplicati. «Certo che no. Ma sarebbero un bel passo avanti, a patto che vengano collegate con gli ambulatori di medicina generale e non con i singoli medici, oltre che con le farmacie di prossimità, in particolare con quelle rurali. Occorre una nuova organizzazione di tutta la rete, un cambio di passo. Diventa difficile persino ipotizzare quanto sarà realizzato tra meno di un anno: noi facciamo il possibile per monitorare la situazione, cercando i singoli dati, ma la stessa Corte dei Conti ha ricordato nel suo documento che, accanto alla necessità di accelerare i tempi, c’è pure l’esigenza di rendere trasparenti le informazioni per i cittadini, il Terzo settore e tutte le organizzazioni che lavorano su questi temi, proprio per garantire un monitoraggio puntuale. Le criticità sono comunque note: il divario iniziale che storicamente penalizza il Centro-Sud e il problema delle aree interne, per le quali questo intervento avrebbe dovuto essere più efficace».
Cittadinanzattiva ripartirà sin dalle prossime settimane con un aggiornamento del monitoraggio, insieme alle altre realtà con cui è in rete. «Deve crescere il sistema di coprogettazione», avverte Anna Lisa Mandorino. «Il Terzo settore dev’essere un facilitatore di questo processo, altrimenti si corre il rischio di avere strutture sanitarie molto tradizionali. E persino molto poco ambiziose rispetto agli obiettivi di questa riforma. La coprogettazione, per definizione, dovrebbe essere condivisa con tutte le parti interessate al processo di cambiamento, in caso contrario si parla di altro».
Credits: la foto d’apertura della Casa di comunità di Tradate è della Regione Lombardia; la foto di Anna Lisa Mandorino è di Cittadinanzattiva
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